I diamanti del lago

Era un pomeriggio sereno, senza vento, senza nuvole e i dolci raggi dorati del sole penetravano nella stanza.*

Andreas rovistava, come  di consueto, tra i cimeli della signora Louisa, per la quale lavorava da più di tre anni e quando lei si assentava con la cugina Cecilia, lui si precipitava a cercare un qualche indizio che lo conducesse alla madre. Mentre sfilava i libri accatastati nello scaffale, la polvere gli  appariva davanti, come se l’irradiarsi del sole desiderasse distoglierlo dal suo grande  affannarsi per invitarlo, forse,  ad una riflessione. Andreas aveva appena compiuto ventitré anni e l’unica ragione che lo convinse ad accettare il lavoro di maggiordomo in quella casa fu la presenza di un antico pianoforte, che gli procurò un’immagine della mattina in cui scomparve sua madre. Lei gli sussurrò:

"Tornerò non appena avrò finito di tenere la lezione di pianoforte!”

Andreas non si ricordava nulla prima d’allora, conosceva appena quello che gli avevano raccontato all'orfanotrofio e cioè che fossero  oriundi dell’Inghilterra immigrati in Olanda pochi anni dopo la sua nascita ma sulla giovane donna, Elisa, nulla. Un giorno una delle levatrici dell’orfanatrofio in cui viveva Andreas, Cecilia, notò una grande rassomiglianza con suo cugino  Paul, morto in guerra in Africa,  così mostrò la foto del giovane a sua zia Louisa, la quale ne fu subito entusiasta. Era l’ora del tè, il pendolo dell’orologio oscillava con frenesia, Andreas non aveva ancora miscelato gli infusi ne apparecchiato la tavola, stava per posizionare le anticaglie al loro posto  quando qualcuno bussò alla porta e gli oggetti che teneva tra le braccia caddero tutti a terra. Stava per mettere ordine allo scompiglio ma le nocche sconosciute picchiarono ancora con più vigore . Consapevole del rischio a cui andava in contro, se a bussare fosse stata la signora Louisa, con grande seccatura aprì la porta ma sorprendentemente non trovò nessuno.

Le pale del mulino a vento erano immobili, come i tulipani dello sterminato campo di colore rosso e giallo di fronte a lui, l’unica cosa che pareva muoversi erano le oche nel laghetto circostante, che provocavano un leggero movimento ondulatorio, ma nei dintorni non c'era traccia di esseri umani. Andreas richiuse la porta quasi sbattendola ed esclamò:

"Da non credere, sarò forse diventato pazzo?”  esclamò a gran voce, scuotendo la testa e appoggiandosi la mano sulla fronte .

Poi alzò lo sguardo e un uomo vestito in frac gli apparve davanti.

“Dunque dove si trova il pianoforte?” domandò aggiustandosi il papillon “Come mai sta lì in palato, non abbiamo tempo da perdere!"

Il gentiluomo si levò il cilindro attendendo con impazienza un gesto del ragazzo, la signora Louisa poteva rientrare da un momento all'altro e senza capire il motivo, Andreas acconsentì.

Tirò via il ricamo bianco che copriva la tastiera scoprendo piacevolmente che li sotto tutto brillava, si accomodarono sugli sgabelli facendoli scricchiolare, fu lì che lo strumento iniziò a rivivere.

Trascorsero delle ore a suonare ma il sole non calava, continuava ad illuminare la piccola porzione di pianoforte di fronte al giovane Andreas.

“Sir John Stainer ha portato a termine il suo compito ragazzo, ora sta a te continuare, ricorda ciò che ti ho insegnato, le note giuste possono far vibrare  quello che apparentemente non si vede, ma c’è“

Andreas battè le ciglia e l’insegnante svanì nel nulla, Andreas pensava fosse stato un sogno ma niente lo faceva pensare, era accaduto davvero, e ora era in grado di suonare quello strumento che aveva per lungo tempo ignorato. Eppure, era sempre stato là, a cosa gli sarebbe servito poi?

In quel momento la signora Louisa aprì la porta, il pendolo riprese a ciondolare, il raggio di sole si mosse fino  a raggiungere lo spigolo del pianoforte, quando la tramontana spalancò le finestre facendo girare tutte le pagine dello spartito, infine si placò mostrando una foto tra le note del pentagramma. Andreas l’afferrò, c’erano una donna con un neonato, dall’altro lato invece trovava scritto:

Andreas and I

Kimberley  August 1886

“Cosa stai facendo, razza di screanzato?“

“Signora questo sono io?“

“Ma come ti permetti a ficcare il naso tra le mie cose?“

“Voi conoscevate mia madre?“

“Ma cosa vai blaterando!“

Il cuore di Andreas stava battendo all’impazzata, un’immagine gli balzò agli occhi, si trovava in una stanza buia nel retro di un bar, era seduto sulle gambe del padre quando un uomo gli si scaraventò addosso.

“Dove sono i miei diamanti?“ il ricordo svanì al cadere del padre sul pavimento.

“Vostro figlio è mio padre?“

La foto cadde a terra e il vento freddo riprese a soffiare sottraendo quella foto che poco prima  gli aveva svelato, ora era la nonna ad afferrarla.

“Potevamo essere ricchi a quest’ora, ho tentato di convincere tuo padre a non tradire i suoi compagni, ma lui ha preferito quella ladra inglese rispetto alla patria, Paul stava combattendo per la nostra terra quando trovarono un giacimento aurifero senza precedenti nel Witwatersland allora la guerra si fece più feroce e fu lì che Paul s’invaghì di tua madre e decise di fuggire via con lei”

“Per questo mi trovo in Olanda?”

“Tua madre ha nascosto i diamanti e la sua testardaggine l’ha condotta alla sua fine“

Andreas espirò la rabbia accumulata, avrebbe voluto ucciderla con le sue mani ma sedersi accanto al pianoforte lo considerò più giusto, per avvicinarsi all’amore dei genitori, forse. Le parole di Sir John Stainer gli rimbombavano nella testa, le dita agirono prima che lui se ne accorgesse, stavano scivolando  distribuendo vigore da entrambe le parti della tastiera, poi un tasto stonò la melodia. Tentò di premerlo più volte, ma non v’era dubbio del suo malfunzionamento. Andreas si alzò, sollevò il coperchio della cassarmonica seguendo l’origine del tasto.

“O santo cielo cosa si sarà inventato ora?”

Sollevò il coperchio della cassarmonica, trovò un filo rosa legato tra le corde, lo slegò e si sentì un piccolo tonfo e il tasto emise il suo verso.

Andreas si inginocchiò, diede un’occhiata al pannello sottostante il pianoforte notando un piccolo foro, ci mise la mano e le sue dite toccarono un soffice batuffolo di velluto, allungò l’indice e quasi bucandolo lo avvicinò verso la luce,  lo agguantò estraendolo dal suo nascondiglio.

Si rialzò tenendolo sul palmo della mano, la signora Louisa rimase esterrefatta, Andreas trattenendo il respiro lo poggiò sull’angolo del pianoforte ancora illuminato dal sole. Lo aprì e le gemme irradiarono un arcobaleno in tutta la stanza, il tempo iniziò a tornare indietro, il salotto era un via vai delle persone che avevano frequentato in quegli anni la casa finché prese a rallentare, Elisa stava suonando il pianoforte, Sir John entrò nella stanza. I due si misero a discutere sulla decisione della ragazza di trasferirsi in Olanda e terminare la sua carriera come compositrice.

“Se questo è quello che hai deciso Elisa, io non ci sarò, mai!“

“Ma padre!“

Sir John uscì, Elisa si mise a piangere, un uomo arrivò dal  corridoio del salotto, era l’assassino di Paul.

Andreas si rifiutò di continuare ad assistere, chiuse il sacchetto e corse fuori verso il mulino.

“I miei diamanti!“ gridava la signora Louisa.

Andreas tirò il sacchetto tra le pale del macinatoio e il tintinnio dei diamanti fece impazzire la signora che cadde a terra perdendo i sensi.

Il laghetto delle oche si colorò di un blu intenso, Andreas si affacciò sullo specchio dell’acqua e vide centinaia di stelle e l’immagine dei genitori e di Sir John che lo salutavano.

Andreas divenne il compositore più famoso del Noordoostpolder, la casa della signora Louisa fu trasformata in una scuola di pianoforte per bambini in difficoltà, i tulipani gialli e rossi indossavano ora i colori dell’arcobaleno, e a volte, Andreas si sporgeva delicatamente sul laghetto, vedendo che le gemme appoggiate sul fondo un giorno gli avrebbero mostrato la via verso casa.

Per quanto riguarda la signora Louisa invece, lo svenimento le procurò la perdita della memoria, trascorreva le sue giornate inseguendo farfalle, non sapendo né chi fosse né dove stesse andando, forse la polverina delle farfalle che le faceva volare erano i suoi diamanti e libertà.

Valentina Antuori

*incipit tratto da Kitchen di Banana Yoshimoto