Il trolley

Dalle nove del mattino sino alle sei del pomeriggio. E non era finita. A fare cosa, poi? Lavorare? No. Una gita in un giorno feriale? Nemmeno. A far niente! Nulla! Il divano su cui mi accomodavo era ormai sagomato. Mi alzavo solo per le necessità primarie. Mi avete capito…

Uno non è che ti chiede la luna, ma almeno far finta di aver spolverato i mobili! Rifatto il letto! Così la dolce metà la tieni buona quando ritorna.  Macché. Apatia totale.

E poi, così, senza preavviso, quasi a voler violare quel sacro fancazzismo la tua mente, che sino a quel momento se ne era stata buona buona accantonando rimuginii molesti, ti propina delle immagini discutibili. Niente di sconcio o censurabile. Ma veder scorrere dentro la tua testolina delle valigie come se fossi all’aeroporto o alla stazione… Nooo! E non la versione classica, ma l’upgrade: il trolley!

Di tutti i colori: bianchi, verdi, gialli, neri, rossi. Si incrociavano, sbattevano, si cappottavano, vomitavano all’esterno il loro contenuto. Di tutto. E visto che sino ad allora avevo praticamente vegetato, il mio prezioso organo pensante ha arricchito il film con altri particolari. Per esempio, vedere questi degnissimi attrezzi seguire docilmente chi ne possedeva la titolarità (per inciso, non riuscivo a stabilire se qualcuno si era appropriato dell’oggetto altrui). Forse la vicinanza delle ferie estive aiutava a contestualizzare l’immagine. Chissà.

Ma la cosa sorprendente era un altra. Ho cominciato a pensare al trolley non più come ad un semplice strumento di grande utilità. E questo è indiscutibile. Sovrapponevo la sua vista a quella degli esseri umani che come bravi soldatini ascoltano e seguono il proprio comandante. Insomma, mi pareva che il trolley riproducesse fedelmente alcune delle qualità dell’uomo: trolleranza… pardon, tolleranza. Pazienza, educazione, ammirazione. Come dirlo in una caratteristica… ah, sì, fedeltà!

Trascinato in ogni dove. Sbattuto a destra e sinistra come un qualsiasi straccio sporco. Dove lo metti, rimane (se non te lo portano via).

Cerchi di farci star dentro l’impossibile mollandogli calci da cannoniere di serie A. E mica ti tradisce. No! Ti abbandona solo quando è giunto il suo momento. Quello della dipartita.

Certo, non è che accetta proprio tutto tutto. Per esempio se cominci ad esagerare pensando che ci debba stare dentro l’intera casa, ti fa capire di smetterla di spingere come un forsennato: si ribella, e può capitare che si rompa la cerniera. Anche chi è fedele e devoto, quando il livello di guardia è superato non te le manda a dire! Va bene paziente, ma non approfittartene. Anche per il tuo bene.

E a dimostrazione del forte legame che si crea, se per esigenze è necessario che stia con altre persone ed essi provassero ad averci a che fare, ci si accorgerebbe che non è assolutamente la stessa cosa. Per il trolley o per l’essere umano? Uguale.  Educatamente cercano di adattarsi alla nuova situazione, ma non stanno bene. Lo fanno solo perché rispondono ad un’esigenza superiore. Si fanno meno malleabili, disponibili. Non ti seguono come dei pazienti collaboratori. Sbandano, picchiano contro le altre persone. Si smarriscono.

Chi ha il compito di gestirli temporaneamente, si rende immediatamente conto che non c’è feeling. E poi si dimenticano dove ti hanno lasciato. E ci rimangono male. Entrambi, il trolley e l’essere umano. Perché sanno che il loro leader non avrebbe agito in questo modo. Avrebbe avuto più cura. Sa fino a che punto si può spingere per non sconfinare nella non curanza o, peggio, nella maleducazione.

Certo, a volte verrebbe voglia anche a lui di urlare e di scappare. Provate voi ad essere schiacciati come sardine nel vano di un aereo o di un treno e nel baule di una macchina. Sei con altri che non conosci, che cercano il miglior posto per star comodi. Odori, mancanza d’aria… insomma ci sono tutti i presupposti per fuggire. Ma sa che lo fa per una buona causa. Per la fedeltà nei confronti del magister e per la fiducia che quest’ultimo ha riposto in lui. Ognuno ha un proprio destino in questo mondo. Una missione. O così dovrebbe essere.

Che sia un trolley o una persona, non importa: occupati al meglio del tuo compito. E forse riuscirai a lasciare un piccolo segno del tuo passaggio su questa terra.

Gabriele Marcon