Pasta e patate

Oggi ho sfogliato pagine della mia memoria, un lavoro certosino visti i tanti petali di margherita che mi ritrovo addosso.

È un giorno d’autunno, le foglie con i loro colori sono sparse ai piedi degli alberi. L’inverno fra poco arriverà e con il freddo pasta e patate è la mia pietanza preferita, un odore delizioso e un sapore che mi accompagna da tante stagioni.

Sono in cucina e dalla pentola che bolle sul fuoco si innalza una nuvola di fumo, strofino gli occhi, rimango a bocca aperta, una scena nitida priva di fronzoli mi appare, si apre il sipario dei ricordi.

 

Zia Maria, con i suoi capelli grigi ondulati e il suo cerchietto in testa e zio Alessandro, magro come sempre con i capelli all’indietro unti di brillantina…

Oggi è una giornata fredda, sono mano nella mano di mia madre, camminiamo lungo il corso del paese, un paese che dice poco se non per la presenza del mare che si fa sentire durante il nostro percorso perché agitato. La zia abita un po’ lontano da noi, la casa ora è davanti ai miei occhi, il ballatoio è a bella vista. L’uomo del piano terra con lunghi baffi batte sull’incudine il ferro, il rumore è forte, entra nelle mie orecchie ed io non vado volentieri dalla zia Maria solo per un motivo, l’aspetto di quell’uomo mi fa quasi paura anche se al nostro arrivo saluta e un dente d’oro appare in bocca.

La casa della zia è ancora più disadorna della nostra, salgo di corsa le scale di un piano, la voce ci viene incontro, rimbomba nel pianerottolo, mi rincuoro e sorrido.

Zia Maria è povera ed analfabeta, ama il canto, è intonata e libera note di canzoni, il suo sogno non si è avverato, voleva diventare una cantante famosa.

Oggi siamo qui perché mamma risponde alle lettere di suo figlio Raffaele, arrivano dalla lontana America, assisto alla scena mentre l’acqua con le patate tagliate a tocchetti bolle nella pentola, un leggero fumo invade la stanza, si allarga formando nuvolette, le seguo con lo sguardo incantato e ingenuo, fra poco ci sarà un odorino delizioso, il pranzo è quasi pronto, solo da lei mangio volentieri questo primo piatto.

Zia Maria è raccolta davanti al fuoco del fornello a gas appoggiato su un ripiano di marmo, la pentola di alluminio annerita dal tanto uso continua a bollire, mentre, sopra una piccola tovaglia stesa sul tavolo, le parole dolci di una mamma rivolte ad un figlio lontano e riportate su un candido foglio, hanno sigillato la busta quasi a spedirne il fiato.

Un aglio imbiondito dal liquido color oro spande il suo profumo, la pasta sminuzzata con le mie mani cuoce, la zia allunga il braccio e prende dal tavolo una leccornia, un fondo di pecorino locale tagliato a dadini che va ad accompagnare l’olio.

Guardo la zia, il lacrimone, nonostante il caldo della pentola, resiste, il suo canto continua ad intervalli seguendo con altrettanto amore noi e il suo piatto, è regale e fiera come una regina, scola la pasta con poche movenze, la versa in pentola, aggiunge l’olio bollente con il formaggio pecorino fatto a dadini, la mescola sul fuoco, pochi minuti e questa deliziosa pasta asciutta con patate è pronta.

La pasta è sul tavolo, l’odore si spande nell’unica stanza che fa da cucina, pranzo e letto, le nuvolette di vapore trasportano il canto e il profumo al piano terra, girano intorno all’uomo con i baffi ad avvertirlo che è giunta l’ora di riposo.

E’ una delizia scorgere nel piatto minuscoli dadini dorati che non si sono sciolti al caldo del fuoco, questa pasta ha la dolcezza delle mamme con un lacrimone inciso sulla guancia, infine pepe macinato fresco e buono.

Guardo con occhi di bambina una tavola senza fronzoli, i piatti semplici e bianchi, è una pasta che non è uscita mai dalla mia memoria.

 

Ogni anno, come un calendario che si rinnova, cucino questa pasta dei ricordi, ma ancora una volta sono perdente, manca qualcosa… suona il campanello del perché, rimango ammutolita nella mia cucina, si chiude il sipario nostalgico, rimane il mio piatto bianco, la tovaglia fine ma il sapore di quella pastasciutta non l’ho mai più ritrovata.

 

(Lucia Izzo)

Commenti: 1
  • #1

    Rossana (venerdì, 10 giugno 2011 18:09)

    CRONACA DI UNA SERATA PIACEVOLE

    L’atmosfera della premiazione è molto familiare. Semplicità e cordialità un po’ casareccia accompagnano l’evento.
    “Concorso letterario” fa pensare a qualcosa di serioso e, perché no?, anche di spietatamente competitivo. Ma questo è un’altra cosa. Questo è stato un invito ai frequentatori e simpatizzanti di una biblioteca di un quartiere periferico e (si può dire?) difficile, di Roma ad esprimere le proprie emozioni, i propri desideri, i propri rimpianti partendo dalla magia, semplice e vitale del cibo.
    Non ero mai stata in quella zona che mi sembrava irraggiungibile. Superando il disagio che leggevo nei volti delle persone alle quali dicevo di dovere andare “là”, ci sono arrivata con la mia macchinetta molto facilmente, scoprendo che, spesso, le barriere sono create dai nostri pregiudizi e non da questioni urbanistiche. Quel giorno, quando ho detto a qualcuno che avevo un impegno in “quella biblioteca”, mi sono sentita dire “Stai attenta, da quelle parti”.
    Arrivo facilmente, parcheggio ed entro in una sala gremita di persone semplici, simpatiche che hanno affidato alla carta sentimenti e nostalgie.
    Tra i finalisti c’è una mia amica; è lei che mi ha invitato. Divido con lei un’emozione genuina. Avevo già letto il suo racconto e le dico sinceramente che, leggendo, mi sono ritrovata anch’io in quella cucina, con quei profumi che lei riesce a descrivere con semplicità disarmante ed efficace.
    Compro volentieri il libro che raccoglie i racconti dei finalisti e, simpaticamente anche le ricette che hanno ispirato la narrazione. Noto che, per la maggior parte, i racconti sono accomunati dalla nostalgia per un mondo semplice e caldo, buono come il pane appena sfornato, antico come la terra, che ormai si è perduto.
    Andando avanti nella lettura, vengo presa da una nostalgia struggente per qualcosa che non ho mai vissuto e che sicuramente mi è mancato.
    Nonni contadini che coltivano l’orto, mamme che preparano dolci profumati: potrebbero sembrare immagini banali e retoriche. Siamo sicuri che lo siano davvero?
    Ripenso a mia nonna: aristocratica gentildonna emiliana di stampo austroungarico. Di lei ricordo il pianoforte che sapeva suonare divinamente e i suoi gioielli che erano per lei una ragione di vita. E che dire di mia madre? Parrucchiere, aperitivo a mezzogiorno e fuori di casa il più a lungo possibile. Cucinare: che vuol dire? Preparare un dolce? Giammai!
    Cerco le mie radici e non le trovo.
    Posso solo fantasticare su quel mondo antico, caldo e profumato di buono che molti hanno vissuto e che io non ho mai conosciuto.
    E Boris sta a guardare…

    (Rossana Bonadonna)