Ritrovarsi

Il cavalletto era ancorato con corde sottili a quattro sassi posati nella sabbia. Oscillava impercettibilmente al vento che sempre soffiava da nord. L’uomo portava alti stivali e una grande giacca da pescatore. Stava in piedi, di fronte al mare, rigirando tra le dita un pennello sottile. Sul cavalletto, una tela.* Sulla tela delle onde appena abbozzate alte e minacciose e un mare scuro profondo, per niente simile al mare che aveva di fronte. Se davvero avesse dipinto la realtà, i colori sarebbero stati tenui, leggeri, il cielo azzurro e il mare cristallino.

- Perché se tutto è così tranquillo e rasserenante io sento la necessità di dipingere la tempesta? – si chiedeva una pennellata dopo l’altra.

Quel pensiero lo fece un po’ sorridere, gli ricordava sua nonna che sempre si dannava per il suo caratteraccio capriccioso alla ricerca costante di problemi inesistenti.

In lontananza vide il suo amico pescatore e come al solito gli mandò un cenno di saluto. Vedeva passare Pasquale tutte le volte che si fermava a dipingere sugli scogli, era una presenza sfuggente, che in qualche modo gli faceva compagnia. Chissà se quell’uomo, che aveva passato la vita in mare facendo un lavoro duro e pericoloso, era felice.

Spesso, quando conosceva o incontrava persone nuove di cui non sapeva niente, si divertiva ad immaginarne il destino e qualche volta anche i pensieri. Era un gioco che terminava sempre con la stessa domanda: sarà felice della sua vita?

La giornata era gradevole, la brezza gli accarezzava i capelli lunghi e indisciplinati, un sole gentile e dispettoso gli solleticava la pelle. Solo quella giacca pesante, che portava più per abitudine che per necessità, gli dava fastidio e decise di appoggiarla sul sasso vicino al cespuglio.

Il tempo trascorse velocemente, anche quella giornata volò. Il quadro era finito, l’avrebbe messo insieme agli altri nel suo studio e se fosse piaciuto a qualche amico, glielo avrebbe regalato come sempre. Non si affezionava alle sue opere, gli bastava passare un giorno a fare ciò che più gli piaceva, non era certamente un artista e non lo sarebbe mai stato.

Raccolse tutto, riordinò i colori e si abbassò a prendere la giacca. Sotto il sasso dove l’aveva appoggiata, c’era qualcosa che brillava: un piccolo portachiavi a forma di libellula, con attaccata una chiave.

Prese in mano il portachiavi e si chiese come aveva fatto a non vederlo prima, le ali della libellula erano coperti di strass che illuminati dalla luce brillavano come tante stelle in una notte serena. La chiave, poi, non sembrava quella della porta d’ingresso di una casa, ma piuttosto di un cassetto, o di un vecchio armadio, ne aveva vista una simile anche dalla nonna, quando era bambino.

Si ricordò dell’importanza di quella piccola chiave per sua nonna: guai a smarrirla ed era vietatissimo prenderla per giocarci. Apriva il baule che conteneva la biancheria più preziosa, ricamata e rifinita con elaborate trine fatte con l’uncinetto, un piccolo tesoro.

Veniva conservata in una scatola di madreperla, dentro ad un cassetto del comò, nella camera dei nonni. Aveva sempre avuto la sensazione che in quel baule, oltre alla biancheria, sua nonna nascondesse qualcos’altro, forse le lettere di un antico spasimante. Parenti e amici dicevano che da giovane, la mamma di sua madre fosse una bellezza, ma lui non aveva avuto il coraggio di indagare e il segreto del baule non era mai stato svelato.

Quel portachiavi, invece, era moderno, con una grossa libellula di un colore blu elettrico, disseminata di strass, molto appariscente e l’avrebbe certamente associato ad una persona giovane con tanta voglia di vivere e di farsi notare.

Il problema adesso era che non sapeva come comportarsi: lasciare la chiave sulla spiaggia significava perderla, ma se l’avesse portata con sé come avrebbe fatto a trovarne il proprietario?

Era tardi, doveva rientrare, ci avrebbe pensato più tardi. Mise l’oggetto nella tasca del suo giaccone e si incamminò verso casa.

Appena arrivato poggiò la tela nell’ingresso e appese la chiave insieme a tutte le altre.

Giuseppe era un dentista, discendente da una famiglia di dentisti. Fin da piccolo gli avevano fatto credere che seguire le orme del padre e del nonno fosse la strada più sensata e così non aveva scelto veramente, aveva solo fatto ciò che gli altri ritenevano giusto. Studiare non era stato un grande sacrificio per lui, perché tutta la famiglia l’aveva aiutato. Subentrare al padre era stato naturale e ora aveva una vita professionale tranquilla, anche se non si sentiva pienamente soddisfatto. La sua vita sentimentale, invece, non era stata per niente serena: dopo un fidanzamento iniziato praticamente nell’adolescenza, il matrimonio si era rivelato una battaglia continua che era terminata con una separazione consensuale. Anche la sua ex moglie, a pensarci bene, non era stata una sua scelta, perché era la figlia di amici di famiglia.

La mattina successiva, quando era pronto per uscire, suonò il campanello: era la postina, una ragazza con gli occhi verdissimi e i capelli rossi e ricci, che sembrava un folletto.

- Buongiorno – gli disse – c’è una raccomandata per lei e mi dovrebbe firmare la ricevuta.

Giuseppe prese la penna e, mentre stava firmando, sentì un’esclamazione di sorpresa.

- Tutto a posto, ho forse sbagliato qualcosa? – gli venne spontaneo chiedere.

La giovane donna stava fissando la chiave appesa al mobile.

- Solo una curiosità, dove ha trovato quella chiave con il portachiavi di strass? – domandò – Glielo chiedo perché è di un baule che ho trovato nella casa che ho affittato qui in paese e il portachiavi l’ho comprato io. L’avevo portata con me per farla riparare, perché non riesco ad aprire il baule e voglio capire se all’interno c’è qualcosa che possa essermi utile, ma poi l’ho persa.

- Sono molto bravo, come scassinatore – rispose sorridendo – e se non le dispiace nel pomeriggio verrei ad aiutarla a svelare il mistero, perché ho la strana sensazione di conoscere quell’oggetto.

E le raccontò brevemente la storia della chiave.

Si misero d’accordo e nel primo pomeriggio Giuseppe era già a casa della postina ed aveva la sensazione che quella fosse la chiave del tesoro nascosto della sua infanzia.

Appena arrivò nella cantina la sensazione divenne realtà e ora finalmente avrebbe scoperto se all’interno di quel baule ci fosse solamente la biancheria della sua famiglia, oppure anche qualche segreto.

Il baule si aprì senza particolari difficoltà e sotto un foglio di carta velina, che serviva per proteggere la biancheria dalla polvere, Giuseppe ritrovò un pezzo della sua infanzia.

Le lenzuola, finemente ricamate, gli riportarono alla mente sua nonna Beppa, che, con gli occhiali sulla punta del naso, lavorava con dedizione e precisione, fermandosi ogni tanto a controllare che tutto fosse perfetto e accarezzando i ricami come fossero bambini da accudire. Le trine che non erano state applicate alle salviette e alle tovaglie erano tutte in una sacchetta di stoffa.

- Un altro piccolo gesto di amore – pensò Giuseppe.

In quel momento provò un senso di vuoto e di rabbia, considerando che tutto era stato smarrito per anni e lui ne era venuto a conoscenza per caso. Intanto, continuava a guardare tra la biancheria con un certo timore.

- Sembra quasi che tu abbia paura di trovare qualcosa di pericoloso – gli disse la postina – a me sembrano tutti dei piccoli capolavori, ma con la vita frenetica che facciamo oggi non potremmo mai utilizzarli senza distruggerli con i lavaggi aggressivi della lavatrice.

Giuseppe non rispose e continuò a cercare.

Si fermò di colpo quando vide un pacchetto delle dimensioni di un quaderno, che sembrava un regalo tanto era confezionato con precisione e cura.

- Tipico di Beppa – si disse.

Appena iniziò a scartarlo, riconobbe subito il suo diario delle elementari. La maestra in quinta aveva chiesto alla classe di tenere un diario, dove i bambini potevano parlare delle loro giornate, dei loro sogni, delle loro letture e anche dei loro piatti preferiti, descrivendone la ricetta. Giuseppe ne aveva fatto un libro a fumetti, gli era sempre piaciuto disegnare e in quelle pagine, oltre a raccontare la quotidianità, aveva illustrato le avventure di un medico che girava il mondo aiutando coloro che avevano bisogno. L’ultimo regalo della nonna era arrivato: aveva conservato con cura il suo sogno per poterglielo restituire nel momento più opportuno.

Dopo essersi ripreso dalla sorpresa ed aver rimesso tutta la biancheria a posto, provò a capire come mai quel baule si trovava lì. Si sentiva un po’ imbarazzato e scosso per aver trovato, in casa di una sconosciuta, oggetti che appartenevano alla sua famiglia e che erano anche parte della sua infanzia. Doveva riflettere con calma e sentiva la necessità di stare da solo. 

- Se non ti dispiace avrei deciso di lasciare la maggior parte della biancheria qui a casa tua – disse alla postina – così al bisogno potrai utilizzarla. Prendo solo il mio diario e questo sacchetto.

- Per me va benissimo – rispose la ragazza – anche se non utilizzerò niente, mi divertirò a guardare questi capolavori, ho sempre avuto un debole per i ricami fatti a mano.

La postina già pregustava dentro di sé la dolce sensazione che avrebbe provato nel mostrare il contenuto del baule alle sue amiche.

Giuseppe uscì dalla casa e si avviò lungo un sentiero del bosco. Camminare lo aveva sempre aiutato a pensare e i ricordi presero a fluire come le acque di un torrente in piena. Quando la nonna era morta lui si trovava all’estero, era arrivato il giorno del funerale ed era ripartito il giorno successivo. Era arrabbiatissimo con i suoi genitori perché Beppa aveva passato l’ultimo periodo della sua vita a casa di una sua amica, visto che i parenti non avevano tempo di occuparsi di lei.

Ora che tutti i tasselli avevano ripreso il loro posto, anche lui avrebbe provato a trovare la sua giusta collocazione.

Arrivò a casa, accese il computer e digitò “Medici Senza Frontiere”, che in quel momento gli sembrò quasi una parola magica. Curiosò per un po’ nel sito e poi senza pensarci troppo cliccò su “lavora con noi”. Si accertò di avere i requisiti necessari, era consapevole che formalmente poteva essere un potenziale collaboratore, unico piccolo cruccio l’inglese un po’ arrugginito, ma avrebbe rimediato a breve. Meravigliandosi di se stesso, compilò la schermata per l’iscrizione e fra i requisiti c'era anche la disponibilità a partire nel giro di pochi giorni. Doveva muoversi in fretta e scrisse una lista di cose da sistemare nell’eventualità che l’avessero chiamato.

Aveva fatto la scelta più importante della sua vita, avrebbe dovuto lasciare lo studio dentistico e al ritorno, se fosse ritornato, avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo. Non molto tempo prima avrebbe sicuramente rimandato la decisione, nascondendosi dietro tante paure e insicurezze, oggi invece sentiva la necessità di cambiare, non sopportava più la vita che faceva, era diventato intollerante alla sopravvivenza.

La mattina successiva si recò da un suo vecchio compagno di studi, l’aveva sempre stimato e lasciargli i suoi pazienti lo rendeva più sereno. Poi andò all’università per vedere se qualche studente straniero, magari di madrelingua inglese, l’avesse potuto aiutare. Fu tutto molto semplice, la bacheca dell’ateneo era piena di richieste, si informò in segreteria e gli fu consigliato un ragazzo inglese che conosceva pochissimo l’italiano. Si incontravano a casa dello studente che si rivelò molto simpatico, durante la prima ora conversavano in inglese e nella seconda in italiano. Dopo le prime incertezze diventarono grandi amici e uscivano spesso per andare a mangiare una pizza o vedere un film.

Una mattina, mentre Giuseppe faceva colazione ricevette la telefonata di Medici Senza Frontiere, doveva partire il giovedì successivo e l’avrebbero aspettato a Roma. Preparò un bagaglio che conteneva l’essenziale e naturalmente anche il suo vecchio diario.

Stefania Bicci

 

*incipit tratto da Oceano mare di Alessandro Baricco