Senza titolo

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. (incipit da Favole al telefono di Gianni Rodari)

Di solito le mie lunghe passeggiate con Boris mi portavano verso il mare. Per gran parte dell’anno quell’ampia spiaggia tranquilla era un paradiso dove lui poteva scorrazzare libero con la sua coda bianca eretta fieramente verso il cielo; le lunghe frange la facevano assomigliare ad una bandierina e a volte mi pareva che quella coda, così caratteristica, mi indicasse la strada da seguire.

Non so per quale motivo, quel giorno, arrivati all’incrocio, Boris fu attratto da qualcosa, forse un odore, che lo portò verso la strada che – come dicevano in paese - “non andava in nessun posto”.

Era una giornata limpida: il sole tiepido e un leggero vento amico sembravano cancellare i pensieri, il tempo e il senso della realtà.

Mi ritrovai a seguire Boris per quella via senza nemmeno pensare a dove ci avrebbe portato.

Persi così la cognizione del tempo, immersa in un’atmosfera irreale come sospesa in un sogno.

Il sentiero stretto, sassoso si inerpicava per un versante luminoso e il mio sguardo era attratto dai fiori di montagna, corteggiati da miriadi di farfalle.

Era come se volessero accompagnarmi nella mia ascesa verso la cima verde stagliata contro il cielo limpido.

I passi si susseguivano l’uno dopo l’altro senza fatica.

Improvvisamente mi voltai e sotto di me vidi il mare, sapevo che doveva esserci il mare. C’ero stata tante volte, lo conoscevo bene: come era possibile che, a così breve distanza, lo scenario cambiasse così radicalmente e, soprattutto, come era possibile che non me ne fossi mai accorta.

Durante le nostre passeggiate, Boris era sempre felice di correre, annusare e, a volte, far volare, per gioco, i gabbiani che alla mattina presto di posavano sulla sabbia. Ed io, mi incantavo ad osservare i bizzarri disegni che le loro zampette lasciavano sull’arenile umido.

Ma stavolta si comportava in modo diverso anche lui: era come se avesse una mèta e, allegramente, ma con determinazione la volesse raggiungere. Mi sentivo condotta, quasi teneramente trascinata da lui. Sì, ma dove? Quale era la scoperta che ci aspettava? La sensazione che qualcosa di meraviglioso dovesse schiudersi davanti a noi, era sempre più forte e sempre più forte il legame stretto con l’ambiente circostante.

Noi eravamo fiori, eravamo alberi, eravamo nuvole bianche.

Eravamo nel sole.

Non mi sarei stupita se da sotto un fungo fosse sbucato uno gnometto col cappello a cono rosso e mi avesse salutato o semplicemente se una mucca o un uccellino mi avessero detto: “Buongiorno, bella giornata oggi!”.

Il “vento buono” mi accarezzava i capelli e, avvolgendomi tutta, mi adagiava nelle orecchie una melodia antica.

Percorsi un tratto di strada con gli occhi chiusi e le braccia aperte, sicura di non inciampare: qualcosa di bello e misterioso mi proteggeva.

Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai avvolta nella nebbia. Non vedevo nulla, solo grigiore e avevo perso di vista anche Boris. Provai a chiamarlo ma la mia voce restava chiusa, ovattata nella nebbia che mi avvolgeva. Dovevo assolutamente dominare la tempesta di sensazioni che mi assaliva.

Angoscia, soffocamento, solitudine, smarrimento. Boris! Dove sei?!

Poi sentii la sua voce abbaiare lontano. Anche attraverso la nebbia, a fatica potevo sentire il suo richiamo. Provai a seguire quell’esile speranza e salendo, salendo ancora, seguendo il suo richiamo, improvvisamente vidi Boris, stagliato nel cielo sfacciatamente azzurro, che gioiosamente mi veniva incontro.

Eravamo usciti dalla nuvola e potevamo camminarci sopra. Ruzzolammo e facemmo le capriole e la nuvola … ci sosteneva!

 

***

 

Quando tornammo a casa, qualcuno ci venne incontro sorridendo.

                                                                                                                     (Rossana Bonadonna)