Sul davanzale dei ricordi

C’era quell’albergo di una eleganza un po’ appannata. Probabilmente era stato in grado, in passato, di mantenere certe promesse di lusso e garbo. Aveva ad esempio una bella porta girevole in legno, un particolare che sempre inclina alle fantasticherie.

Da quella porta una mattina molto presto uscì un ragazzo, che invece sarebbe restato volentieri nell’atrio, ma il tempo passava in fretta. Fece girare la ruota lentamente come per prolungare l’attesa di quell’incontro, di quell’appuntamento un po’ strano, ma necessario, pensato e rimandato tante, tante volte. Era un appuntamento molto impegnativo, avrebbe dovuto ricordarsi e portare un sacco di cose. Parlare lentamente e riferire ad ognuno gli ultimi avvenimenti. Cosa sarebbe accaduto? Avanzava con affanno, nonostante la giovane età. Al margine dei suoi pensieri c’era una confusione di sentimenti.

L’albergo non era la sua casa, aveva preso una stanza in affitto, la solita stanza che prendeva quando doveva recarsi a quell’appuntamento. Aveva pregato il proprietario  di non cambiare i mobili e il colore delle pareti. Gli specchi in particolare dovevano essere molto grandi per contenere tutta la sua persona e accentuare la luce che si rifletteva dalla finestra negli occhi. Teneva molto al cassetto che si trovava all’interno dell’armadio e che si chiudeva con una chiave che sapeva di antico e di fiducia. Tenerla fra le mani gli procurava gioia e gli faceva pensare a sentimenti buoni, era come stringere una mano amica. Questi erano i suoi pensieri, un momento lo facevano sorridere, un altro sembravano interrogarlo su una nostalgia che sapeva di futuro buono.

L’aspetto tradiva i suoi pensieri, ben vestito, pantaloni rossi, giacca nera e camicia bianca, il tutto reso elegante da un fazzoletto rosso al posto della cravatta. Gli occhi sempre in movimento, curiosi di penetrare le cose e le persone. Mentre girava il tornello, Luca pensò a quei giorni in cui tutto sembra avere un significato, a quando ogni battito di ciglia ogni passo sull’asfalto risuona come un messaggio.

Quella mattina invece nessun rumore, anche il sole si era alzato in silenzio, mentre le stelle e la luna si erano ritirate senza fiatare.

Luca guardava il semaforo e vedeva alberi. Si sentiva in buona compagnia, ma a volte le radici ostacolavano il suo cammino, mentre i rami scesi fino a terra gli toglievano la vista della strada. Lui si impegnava a tagliare foglie e rami, a fare lunghi passi e scavalcare tutti i pericoli per trovarsi finalmente in un percorso senza sorprese.

Ad un tratto la stanchezza lo prese alle spalle e piano piano sentì le gambe talmente pesanti da non riuscire più a muovere un passo. Si fermò in attesa dell’autobus. A quell’ora non era molto affollato e trovò facilmente posto a sedere. Pensò che sarebbe stato bello salirci tutte le mattine alla stessa ora per iniziare un racconto su ogni persona che era seduta lì. Vestì subito di un passato e di un presente ognuno di loro a seconda dello sguardo, della piega delle labbra e delle mani. A lui le mani rivelavano sempre qualcosa. Aveva studiato quasi maniacalmente ogni piccolo movimento delle dita, anche quello meno visibile, traeva sue conclusioni sulla irritabilità, pazienza,  amore per l’arte e la predisposizione al dialogo.

- Ho fatto proprio bene a salire.

Per un po’ godette dell’andatura del mezzo, lo sguardo dall’alto, luci e ombre,  l’incognita delle fermate su chi sarebbe salito, chi scendeva e chi di corsa si sarebbe alzato all’ultimo momento. Si preparò per scendere prima dell’arrivo, perché di colpo ebbe la sensazione sgradevole che l’autobus si restringesse e rallentasse la corsa, si sentiva soffocare.

Finalmente arrivò all’appuntamento, loro erano già lì da un po’ di ore, non sembravano contrariati dal ritardo del loro amico, per loro il tempo era una variante senza tempo. Strette di mano e abbracci si intrecciarono ai sorrisi.

- Luca racconta, che notizie ci porti?

- Amici miei, tante cose sono cambiate e cambiano ad un ritmo per il quale è impossibile starci dietro, non vi ho potuto salutare gli amici della rosticceria, per esempio, perché il proprietario ha chiuso l’esercizio, ormai guadagnava troppo poco.

- Il cuoco e i camerieri?

- Licenziati, sono in attesa di un nuovo lavoro. Ogni giorno girano tutta la città, guardano gli annunci, ma è quasi impossibile ricollocarsi. Due di loro si sono rimessi a studiare sperando di avere più possibilità, ma è difficile dirlo.

- Forse bisognerebbe ripristinare le scuole che insegnano i mestieri e dare più dignità al lavoro manuale, fermo restando un’istruzione come bagaglio personale.

- Avete ragione.

- Allora Luca cosa altro ci dici o ci hai portato, ti sei ricordato dei nostri desideri?

- Certo spero di non aver dimenticato nulla. Purtroppo altri esercizi hanno chiuso, ma ho con me il profumo della carne arrosto e del rosmarino, l’aglio passato sul pane bruscato e ho raccolto il fumo nel palmo della mano.

- Lo sentiamo, sei veramente gentile, sai per noi è un sorriso di vita inaspettato,  stiamo perdendo ad ogni passo qualcosa che ci era molto caro. Facciamo una grande fatica a tenere anche i ricordi, non sappiamo nulla del nuovo cammino, sapere che ci sei è di grande aiuto.

- Ho nascosto le nuvole tra le mie parole, vedete, alcune dondolano nella lettera “c”, altre si riposano dentro la “o”. Potrete usarle come un gioco, come un passatempo, alla ricerca della parola giusta.

- Che meraviglia Luca!

Tutti sentirono un respiro salutare salire dalla terra alle labbra. Luca aveva anche portato la montagna, con i suoi fiori, i ruscelli, le passeggiate e i funghi, le baite con le tendine bianche alle finestre e i gerani di tutti i colori.

Sul davanzale qualche ricordo.

Per un po’ stettero tutti zitti, sguardi e sorrisi non avevano bisogno di parole,  qualcuno lasciò cadere una lacrima ripensando ad un sogno appena sfiorato.

- Caro Luca, si è fatto tardi,  dobbiamo rientrare, la prossima volta, portaci il mare.  

- Va  bene, me ne ricorderò.

Luca si avviò questa volta a passo svelto. L’autobus arrivò dopo pochi minuti, non c’erano posti a sedere, in piedi ebbe l’opportunità di dominare il mezzo e guardare tutti, i volti erano stanchi rispetto a quelli della mattina, anche lui lo era e non riuscì a soffermarsi su ognuno per raccontare o attribuirgli una storia. Confondeva i volti con quelli dell’incontro appena avuto. Passava sempre qualche ora prima di tornare alla realtà.

Guardò fuori dal finestrino e Roma di notte gli tolse l’ansia di quella giornata appena trascorsa. Un alone di luce ritagliava le sagome dei monumenti, si sentiva una cosa sola con la bellezza della città e specialmente con il suo quartiere. Il mormorio silenzioso del fiume gli disegnò un sorriso ingenuo sulle labbra. Tornato in albergo, si fermò prima a bere qualcosa. Il bicchiere di cristallo gli fece da specchio, era ancora in compagnia dei suoi amici, fece allora un respiro profondo e rimase solo.

Arrivato in camera aprì con la chiave che portava sempre con sé quel cassetto speciale, tolse dalla tasca della giacca le foto e le ripose con cura, sarebbero servite la prossima volta.

Scese nell’atrio.

Era la sua favola, si domandava spesso che senso avevano questi incontri, in un istante i pensieri attraversarono diverse zone della mente, senza fermarsi in improvvise malinconie o allegrie inaspettate. Non poteva trattenere nulla, non si può trattenere nulla.

Ci sono parole che solo a pensarle fanno un tale rumore dentro, che Luca si guardò intorno per verificare se gli altri avessero sentito. Poi cercò un posto tranquillo per finire di bere dal bicchiere che aveva lasciato sul tavolo. Questa volta il tempo non gli mise alcuna ansia, non riuscì a guardarsi tutto intorno perché lo sguardò si posò subito sul tavolo di fronte dove era seduta una bella ragazza, capelli rossi, appena qualche lentiggine sul viso a colorare la pelle bianca e lucente. Lei, sentendosi guardata, si voltò, unirono le sedie e esplose all’istante l’allegria come il colpo di fulmine che li aveva colpiti.

Mentre parlavano, avvicinavano sempre di più le sedie fino a sfiorarsi con le mani:   ognuno di loro non faceva che pensare “quanto è bella” – “ quanto è bello”.

Prima di uscire insieme dall’albergo, Luca riconsegnò le chiavi e fece presente con molto garbo che la stanza non gli sarebbe servita più. Mano nella mano non si accorse nemmeno che la strada era libera, nessuna radice di albero a farlo inciampare, nessun ramo a limitare la vista.

Ormai non aveva più bisogno di quegli strani incontri, lasciò liberi i suoi amici e loro fecero altrettanto.

Senza dimenticarli si accorse che poteva parlarne con la ragazza che aveva accanto, lei era il suo futuro.

Ora i suoi amici navigavano in un altro mare e i ricordi facevano parte di un bagaglio intimo non più doloroso.

 

Carla De Angelis