Un compagno d'avventura

Era un pomeriggio sereno, senza vento, senza nuvole e i dolci raggi del sole penetravano nella stanza.*

Lucia era sempre lì, sul divano della sua nuova casa. Ormai da tempo passava così i suoi pomeriggi liberi, sdraiata sul divano a guardare la televisione che presto restava solo un ronzio in lontananza. In quello stato di falso riposo la sua mente veniva invasa da mille pensieri, che correvano talmente veloce da toglierle il respiro e intrappolare la voglia di fare in un angolo remoto dell’anima. Solo le lacrime si sentivano libere di scorrere.

Lucia era triste. Guardava dalla finestra quella splendida giornata, quel sole che proprio non riusciva a scaldarle il cuore.

Non riusciva proprio a digerire quella notizia, non poteva accettare che la sua vita cambiasse così radicalmente e soprattutto non era accettabile che non potesse fare nulla per cambiare la situazione. Sulla sua vita si era abbattuta una tempesta e lei non era preparata, avrebbe voluto aprire quella finestra, urlare al mondo quanto fosse ingiusto, inveire contro quel sole che imperterrito e insensibile continuava ad illuminare una realtà che non le sarebbe più appartenuta. Voleva scappare, ma non era facile scappare dal suo corpo, abbandonare quella bestia che le viveva dentro.

È un folletto indiavolato di quarantasei centimetri, un po’ gobbo, con piccole corna e piedi caprini, orecchie a punta, occhio torvo, dita adunche; veste con un costume da burlone di corte, lacero e dai colori sbiaditi, calzamaglia a tirabusciò, polacche logore, berretto a sonagli. È vivacissimo e assume l’aspetto che più preferisce, rendendosi addirittura invisibile. Si chiama Mourioche: è unico e per fortuna perché i danni che provoca sono considerevoli: mille e uno tiri birboni, mille e uno tiri birboni, mille e uno tiri birboni, così all’infinito. Mourioche si nutre di tristezza e disperazione, angoscia e paure, di stress .

Era il solstizio d’estate quando quell’uomo dal camice bianco ha presentato a Lucia il suo compagno di sventura. Lucia aveva sempre saputo di vivere con uno sgradito inquilino, ma aveva dovuto tenere per sé angosce e dolori per evitare di essere considerata una pazza visionaria.

Camice bianco ha chiamato la bestia con un nome impronunciabile. Per Lucia era solo un mostruoso folletto, che le faceva compagnia da una vita e che ogni giorno diventava sempre più invadente e prepotente. Per lei era solo Mourioche, unico e raro nella sua specie.

Quel giorno d’inizio estate Camice bianco continuava a parlarle e a spiegare le abitudini, le manie e le insidie di questo folletto e come lei avrebbe dovuto adattarsi a questo nuovo mondo. Lucia non ascoltava, il suo sguardo correva lontano, oltre le mura di quella triste stanza d’ospedale, anche quella era una giornata serena, senza vento e senza nuvole.

All’inizio la notizia la fece sentire sollevata: ora sapeva, aveva le prove che non era pazza e i suoi dolori e la sua sofferenza avevano un nome. La sua mente vagava lontana alla ricerca di una soluzione per combattere quella folle bestia che le aveva rosicchiato un gene. Come si era permesso di entrarle dentro, senza bussare e senza chiedere permesso? Con quale presunzione si era accomodato?

Camice bianco provava ad attirare l’attenzione di Lucia, ricordandole che non si poteva fare nulla, se non accettarlo! Lucia capiva che non poteva cacciarlo, ma di sicuro non gli avrebbe mai detto :”Prego, fai come se fossi a casa tua!”

Sdraiata sul suo divano, Lucia continuava a pensare. Pensava di continuo, a qualsiasi cosa, ma soprattutto a Mourioche; approfittava sempre di quei momenti di lucidità, prima che la stanchezza arrivasse ad ingurgitare anche le ultime scintille delle sue sinapsi. Lucia pensava spesso alla sua vita, il suo futuro lo aveva immaginato diverso: si aspettava tante sorprese belle e tanta felicità, sognava di incontrare il principe azzurro, sarebbe andato bene anche blu, rosso o giallo, ma per il momento doveva accontentarsi di un folle diavoletto tutto verde, dispettoso, prepotente e decisamente antipatico.

Tra tutti i suoi pensieri uno le stampò un sorriso sul viso (da quanto tempo non sorrideva?) e le illuminò quella giornata fredda e piovosa (ma perché le condizioni meteorologiche non corrispondevano mai allo stato del suo cuore?).

Cercò Mourioche: ma dov’era finito? È come tutti gli uomini – pensò -  quando serve non c’è mai!

Quel pomeriggio Lucia si sentiva in forze, aveva riacquistato un pizzico di energia, di conseguenza Mourioche aveva preso un giorno di ferie. Lo chiamò a gran voce. Nessuna risposta. Pensò che forse era meglio non averlo tra i piedi.

Chiuse le finestre per allontanare i rumori della strada e le voci del mondo esterno; staccò il telefono, spense il cellulare e la televisione; chiuse la porta a chiave: niente e nessuno avrebbe dovuto distrarla o interromperla.

Cominciò a parlare; questa volta non si sentirono né parolacce, né insulti. Farfugliò parole senza senso, frasi sconnesse, non sapeva neanche lei cosa volesse realmente dire. Si sentiva addosso quello strano friccichio dell’entusiasmo e stentava a far uscire le farfalle dallo stomaco. Ad un certo punto si bloccò e fu come se il tempo e il mondo intorno si fermassero con lei. Riordinò i ricordi e passò in rassegna tutti i momenti strani e particolari vissuti negli ultimi tempi. Doveva essere onesta con se stessa: aveva avuto la possibilità di vivere istanti intensi e straordinari e aveva incontrato persone speciali; aveva capito che nonostante tutto, se voleva, poteva scoprire un mondo nuovo pieno di sorprese straordinarie e inaspettate. Percepì che poteva essere felice.

In quella stanza piena dei tanti pensieri di Lucia riecheggiò un Grazie inizialmente appena sussurrato, poi ripetuto più forte.

- Grazie – disse Lucia rivolgendosi a Mourioche – per tutti i dispetti, le insidie e le difficoltà che mi proponi tutti i giorni. A volte sono proprio stanca di litigare con te, ma devo ammettere che è proprio quando tu mi spegni la luce che mi viene voglia di trovare a tutti i costi l’interruttore per riaccenderla. Ho voglia di uscire, scalare montagne, di correre e ballare, bagnarmi al mare, scottarmi al sole; voglia di essere imbranata, di prendermi in giro, di amare le mie imperfezioni, di cadere e rimanere lì per un po’ (così mi riposo!) e poi rialzarmi; ho voglia di cercare desideri e delusioni, sorrisi e lacrime; ho ancora voglia di sognare!

Mourioche, sdraiato sul ramo del suo albero preferito, col suo berretto verde sugli occhi, era infastidito da quel cicaleccio che disturbava il suo sonnellino. Si chiese cosa stesse succedendo quel giorno. Prestò più attenzione e quando sentì quel Grazie, allibito e sorpreso, fece capolino, Lucia sentì una lieve fitta alle gambe.

- Grazie?!? – pensò Mourioche – mi disturba in un giorno di ferie per dirmi grazie! Grazie un corno!

Mourioche era arrabbiato, aveva già in mente di organizzarle uno di quegli scherzi che avrebbe ricordato a lungo.

- Allora, vediamo – cominciò – un pizzico di dolori articolari, un po’ di mal di testa, magari con qualche vertigine, crampi allo stomaco e anche un po’ più giù, stanchezza, tanta stanchezza…

Poi d’un tratto si fermò a riflettere, Lucia lo stava contagiando con questa storia dei pensieri. Ci mise poco per capire che ormai era fottuto.

- Merda – pensò – sono fregato! Questo è il ringraziamento per averle fatto compagnia una vita intera! Non può certo accusarmi di non esserle stato fedele, sono l’unico che non l’ha mai abbandonata. Ma guarda chi mi doveva capitare!?! Sgobbo tutto il giorno, mi spacco la schiena per renderle la vita un inferno…sono un professionista nel mio mestiere, io! In tutta la mia onorata carriera non avevo mai incontrato una guastafeste come lei. Lei dovrebbe essere triste, stanca e arrabbiata, dovrebbe chiamarmi bestia, prepotente e invadente e tutti gli altri bei complimenti che mi fa d’abitudine…non sono mica il suo amico del cuore! Ma come ha fatto a trovare la chiave giusta per tenermi testa? Ora dovrò lavorare di più…non erano questi i patti – continuò Mourioche, scagliando la sua ira verso il cielo, probabilmente in direzione del suo capo – il mio contratto non prevede straordinari non pagati!

Mourioche era furioso, pieno di rabbia e di paura. Paura di non essere più lo stesso, di non riuscire più a fare bene il suo lavoro, paura che qualcosa di incontrollabile potesse cambiare la sua essenza. Di colpo capì cosa provava Lucia. Per un breve istante decise di arrendersi.

Lucia sentì uno strano fastidio alle spalle e alla schiena, per un attimo credette che stessero tornando i dolori. Chiuse gli occhi rassegnata ad accoglierli.

Invece sentì su di sé il peso di una piuma, come se qualcuno l’avesse appena abbracciata.

Lidia Laudenzi

*Kitchen, Banana Yoshimoto