Un po' di magia a Firenze

Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all'apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui.*

- Mi dispiace, ha sbagliato numero – rispose Andrea con la voce assonnata – Matilde non abita in questa casa e purtroppo io non la conosco, buonanotte.

E riattaccò.

Erano le due di notte, si era svegliato di soprassalto e quando aveva realizzato che il telefono stava squillando, nella sua mente si erano presentati scenari poco piacevoli e il primo pensiero era andato alla sua famiglia che abitava in Sicilia.

Era, inutilmente, ritornato a letto, perché non riusciva a riaddormentarsi, sapeva che la telefonata non era per lui, ma l’adrenalina provocata dallo spavento non l’abbandonava.

Andrea aveva studiato a Siena, si era laureato in Farmacia e dopo un mese aveva trovato lavoro a Firenze. I suoi titolari erano due coniugi di mezza età e la farmacia non era centralissima, cosicché i clienti erano sempre gli stessi e sembrava di far parte di una grande famiglia, in cui tutti sapevano tutto di tutti, con i suoi pro e i suoi contro. Quella caratteristica piaceva ad Andrea che era cresciuto in un paese ed era abituato a far parte di una comunità, l’anonimato della grande città lo spaventava.

In poco tempo aveva iniziato ad amare Firenze, la sua storia gli rammentava il motivo per il quale era diventato farmacista. Nell’angolo tra Piazza San Giovanni e Borgo San Lorenzo, infatti, c’era una famosa spezieria e la figura dello speziale, il farmacista medioevale, era tenuta in grande considerazione dalla società fiorentina dell’epoca. Lui fin da piccolo adorava i gialli storici e i suoi preferiti erano quelli dove il protagonista era contemporaneamente speziale ed investigatore. Di solito, l’intrigo si risolveva grazie alla conoscenza delle erbe che servivano, oltre che a smascherare il colpevole, a curare i buoni della storia. 

L’unica difficoltà che Andrea aveva incontrato in quella città era stato affittare una casa, perché i prezzi erano veramente molto alti e, avendo ventott’anni, non aveva voglia di dividere la sua privacy con qualcuno, quindi niente appartamenti con altri inquilini. Un colpo di fortuna gli aveva fatto conoscere la proprietaria della mansarda in cui si era stabilito, che era poco più di un monolocale, ma a lui andava benissimo.

La mattina successiva si sentiva come un giocattolo rotto, ma c’era una domanda che gli faceva compagnia.

- Chi era Matilde?

Mentre camminava per andare al lavoro, si chiedeva se non stesse dando troppa importanza alla telefonata, in fondo chi cercava Matilde poteva semplicemente aver sbagliato numero. Il suo sesto senso, però, lo spingeva a scoprire chi fosse quella donna, anche perché una telefonata alle due di notte era quasi sicuramente una richiesta d’aiuto. Con quella consapevolezza che gli martellava la mente, arrivò a sera, doveva scoprire se Matilde aveva abitato la mansarda prima di lui per riuscire a rintracciarla ed avvertirla che l’avevano cercata.

Appena rientrato, Andrea si diresse verso uno sgabuzzino dove aveva riposto gli oggetti della casa che non gli servivano quando si era trasferito circa due anni prima e forse lì avrebbe trovato un indizio su chi l’aveva preceduto. Purtroppo, a parte un po’ di polvere, due portavasi di ceramica colorata e qualche sopramobile un po’ malconcio, nel ripostiglio non c’era niente di interessante.

Tutte le speranze svanirono nel giro di dieci minuti ed Andrea si abbandonò sul divano per la delusione che lo faceva sentire spossato come se avesse lavorato due giorni di seguito senza mai riposare.

- Un altro tentativo da fare è chiedere informazioni alla proprietaria della mansarda – pensò tra sé – però devo aspettare che ritorni, perché in questi giorni si trova a Londra dalla figlia e non posso certo disturbarla per una mia sensazione.

Con un po’ di amarezza per non poter agire subito, iniziò a preparare la cena. Non aveva molta fame, ma sentiva il bisogno di distrarsi, per non avere sempre la mente occupata dal pensiero di Matilde. Prese la padella dal mobile e due uova dal frigorifero, una frittata con un po’ di insalata sarebbe stata sufficiente. Mentre prendeva il piatto, si ricordò che quando era arrivato c’erano dei libri nella piccola libreria accanto al suo letto che gli avevano fatto compagnia nei primi mesi in cui era a Firenze. Quasi correndo andò in camera e iniziò a sfogliarli uno ad uno, fino a quando da “Eva Luna” di Isabel Allende, cadde un foglio di carta con all’interno un fiore essiccato e sul fiore l’etichetta di un fioraio.

Lesse l’indirizzo e vide che si trovava vicino a Ponte Vecchio, così decise che ci sarebbe andato l’indomani, con un’ora di permesso al lavoro avrebbe risolto l’enigma.

- Spero che il fioraio mi dia delle informazioni utili – pensò tra sé – altrimenti abbandonerò la ricerca. La vita è abbastanza complicata di suo, non c’è bisogno di perdersi nei misteri.

Il giorno successivo le ore non passavano mai e, quando finalmente uscì dalla farmacia, si sentiva eccitato come un bambino che deve scartare un regalo

Il negozio, che si chiamava “Non ti scordar di me”, aveva una bella vetrina con tante piante da appartamento e una grande varietà di fiori recisi. Sembrava di entrare in un giardino e Andrea si soffermò ad ammirare i fiori e a riordinare le idee, la domanda che stava per fare al signore che l’aveva salutato appena entrato poteva essere imbarazzante.

- Buongiorno – disse, avvicinandosi alla cassa dove un uomo sulla sessantina stava sistemando degli spiccioli – mi chiamo Andrea e, tra le pagine di un libro che ho nella casa in cui sono in affitto da circa due anni, ho trovato questo.

Mostrò all’uomo il foglio di carta con dentro il fiore secco dove era appiccicata l’etichetta del negozio.

- Dovrebbe appartenere all’inquilino che mi ha preceduto – continuò – penso che fosse una donna e si chiamasse Matilde e vorrei sapere se la conosce.

Il fioraio lo guardava con curiosità.

- Lei giovanotto, mi fa una bella domanda – gli rispose – questa sicuramente è l’etichetta del mio negozio, ma anche se avessi tra i miei clienti questa signorina, perché glielo dovrei dire?

Andrea si fece coraggio e gli raccontò della telefonata ricevuta nel cuore della notte di qualcuno che chiedeva di Matilde.

Nel frattempo, accanto al proprietario era apparsa una signora, sicuramente la moglie, che rispose dopo aver dato uno sguardo d’intesa al marito.

- Matilde è una nostra cliente – disse – viene tutti i venerdì a comprarsi una pianta o un mazzo di fiori. Dice che le mettono allegria e si fa fare sempre una confezione regalo, anche se i fiori sono per lei. Questo comportamento mi ha sempre incuriosito, comunque, ormai sono tanti anni che viene da noi e le siamo affezionati. Sono d’accordo con lei che, se qualcuno l’ha cercata, è bene che lo sappia.

- Sapete per caso dove la posso trovare? – chiese Andrea.

- Certo, lavora nella prima gioielleria della via – rispose la signora – È una ragazza minuta, con i capelli e gli occhi neri, sembra una spagnola.

Andrea ringraziò e uscì. Arrivato davanti alla gioielleria finse di guardare la vetrina e riconobbe subito la ragazza, che sorrideva e parlava con un cliente.

Aspettò che il negozio fosse vuoto ed entrò. 

- Buonasera – gli disse Matilde andandogli incontro con un sorriso – ha bisogno di aiuto?

Andrea, rimase un minuto pensieroso.

- Buonasera, mi chiamo Andrea – rispose facendosi coraggio – e se lei è la signorina Matilde, avrei bisogno di parlarle.

La ragazza si rabbuiò.

- Sì, sono io – disse – però non mi sembra di conoscerla.

Ci fu un attimo di silenzio che ad Andrea parve un secolo.

- Due sere fa alle due di notte l’hanno cercata – spiegò senza tanti preamboli – la persona che chiedeva di lei era sicuramente un uomo anziano, si sentiva dalla voce. Ah, mi scusi! mi sono dimenticato di dirle che abito nel suo vecchio appartamento in Via Valfonda.

Matilde, che sembrava sempre più confusa, andò nel retro del negozio e ricomparve pronta per uscire.

- Se non le dispiace andiamo a fare due passi, così parliamo con più calma di quello che è successo.

S’incamminarono e Andrea le raccontò della telefonata e di come la persona con cui aveva parlato sembrava invocasse aiuto.

- Probabilmente ha avuto la sensazione giusta – disse Matilde con un’espressione piena di rammarico – Al telefono era sicuramente mio nonno, il padre di mio padre, con cui tre anni fa ho litigato. Il motivo della discussione era banale, volevo andare a vivere da sola, ero riuscita a convincere anche i miei genitori. L’unico ostacolo era il mio amato nonno che non era d’accordo, non gli piaceva la mia voglia di indipendenza e per la prima volta abbiamo discusso. Ero arrabbiata con lui, mi sono sentita tradita dalla sua mancanza di fiducia, è la persona che mi ha seguita con amore e dedizione fin da quando ero piccola e mi ha regalato tanti libri, che diceva mi avrebbero insegnato a volare. Nel momento in cui però volevo un nido mio mi tarpava le ali. No, non riuscivo proprio a concepirlo. Durante il litigio, ci siamo scambiati delle parole che sono state come tante coltellate inferte in punti vitali ed in effetti, dopo quello scontro, il nostro splendido rapporto è morto. Non ci siamo più sentiti da allora e mio padre mi ha detto che attualmente mio nonno è ricoverato in una casa di riposo e non sta bene, non riesco a capire come sia riuscito a telefonare.

Andrea e Matilde continuarono a camminare in silenzio per qualche minuto.

- Non vorrei essere troppo invadente – disse lui voltandosi verso di lei – ma penso che tu debba incontrare tuo nonno prima che sia troppo tardi.

Il giovane farmacista si rese conto che ormai si rivolgeva alla ragazza in modo confidenziale, sentiva di aver trovato una persona che gli piaceva e voleva esserle amico.

- Lo so che ci siamo appena conosciuti - rispose Matilde - e la mia ti sembrerà una richiesta sfrontata, ma potresti accompagnarmi? In fondo è merito tuo se ci riappacificheremo.

Come se fosse la cosa più naturale del mondo, Andrea le prese la mano e insieme continuarono la passeggiata lungo il viale.

L’appuntamento per andare alla casa di riposo fu fissato per il sabato successivo.

Nei giorni precedenti all’incontro, il ragazzo pensò spesso alla sua nuova amica: fisicamente era minuta, sembrava che un soffio di vento la potesse trasportare ovunque, ma dopo averci parlato due minuti emergeva una persona forte e determinata, che nemmeno un uragano avrebbe potuto spostare di un millimetro. Quella caratteristica lo incuriosiva e lo intimoriva allo stesso tempo e si rese conto che non vedeva l’ora di rincontrarla.

Andrea andò a prendere Matilde con la sua macchina, la casa di riposo si trovava alla periferia di Firenze e durante il tragitto parlarono del più e del meno. Sembrava che andassero a fare una semplice visita di cortesia ad un lontano parente, ma, appena arrivati al cancello, il ragazzo ebbe l'impressione che la sua compagna di viaggio sbiancasse e tutta la sua forza fosse risucchiata da un’entità oscura che la lasciava senza speranza.

Come era diventata abitudine, Andrea le prese la mano e la guidò verso la portineria, dove dissero all’infermiere i loro nomi e quello dell’ospite che andavano a trovare.

- Lei è la famosa Matilde, la nipote di Bruno – disse l’infermiere guardando la ragazza – Prima che avesse l’ultima ischemia parlava spesso di lei. Lo sa che le vuole un gran bene? Ora purtroppo è peggiorato tanto, speriamo che la riconosca.

Gli occhi di Matilde si riempirono di lacrime, se suo nonno non l’avesse riconosciuta non si sarebbero mai riappacificati.

Arrivati a metà di un lungo corridoio si fermarono.

- Siamo arrivati – disse l’infermiere aprendo la porta.

In una sedia a rotelle vicino alla finestra, c’era il nonno di Matilde, o quello che la malattia aveva risparmiato.

Bruno si girò con lentezza e rassegnazione, ma quando vide la nipote ebbe un sussulto, gli occhi che fino a quel momento erano appannati da un velo di tristezza, riacquistarono la loro naturale luminosità; erano gli stessi occhi scuri di Matilde.

La ragazza corse ad abbracciarlo, come attratta da una calamita e non disse niente, le parole non erano necessarie, parlavano le carezze e le lacrime, tante lacrime, di perdono, di gioia e di speranza.

- Non mi sarei mai aspettato che avesse riconosciuto la nipote – disse l’infermiere che era rimasto sulla porta insieme ad Andrea – Da quando ha avuto l’ultima ischemia, circa due mesi fa, non era più in grado di alzarsi da solo, non parlava e mangiava a malapena, mentre ora sembra un’altra persona.

Quell’affermazione lasciò Andrea un po’ perplesso, visto come erano andate le cose, l’unica certezza era che Bruno e Matilde si erano riappacificati.  

L’infermiere se ne andò e nella camera rimasero solo loro tre.

- Questo è un mio caro amico – disse Matilde presentando Andrea al nonno.

Dopo le presentazioni, iniziò a raccontargli della sua vita, del suo lavoro, dei libri che aveva letto, voleva mettere l’anziano al corrente di tutto quello che le era successo nel periodo in cui non si erano visti. Il nonno annuiva e spesso qualche lacrima involontaria gli scendeva sulla guancia.

Andrea in un primo momento pensò di aspettare fuori, ma ben presto il suo disagio svanì, si sentì parte della famiglia e poi era sempre più affascinato dalla sua nuova compagna che ora stava dimostrando tanta dolcezza e sensibilità.

 Arrivò il momento di salutarsi.

 – Non voglio andare via – disse Matilde – ora che l’ho ritrovato ho paura di perderlo un'altra volta.

Andrea come di consueto la prese per mano e dopo aver salutato il nonno e avergli promesso che sarebbero tornati prestissimo si avviarono verso l’uscita.

Stefania Bicci

*incipit tratto da Trilogia di New York di Paul Auster