Una goccia di mare

Una luce leggera, la traccia di un sole morbido e caldo, andò a posarsi sul volto di Elena, proprio tra il naso e lo zigomo destro, il più sensibile al calore e alla luce. Così la ragazza iniziò a starnutire e si trovò costretta ad aprire gli occhi, uno per volta però, senza affaticarsi troppo, perché era pigra e spesso lasciava che gli eventi la coinvolgessero e si limitava ad osservarli dall’angolo opposto.

Era molto, molto carina. Ben proporzionata, i suoi capelli chiari contrastavano con il nocciola scuro degli occhi ed era sempre in lotta con quei ricci che crescevano così poco. Una volta era riuscita a farli arrivare all’altezza delle spalle, ma l’abitudine di masticare gomma americana anche prima di dormire, le aveva giocato un brutto scherzo: così un bel taglio era stato inevitabile e poi di nuovo l’attesa. Elena amava la solitudine e frequentava la scuola con un buon profitto, senza però strafare. Per non faticare troppo portava nello zainetto solo il necessario, arrivando addirittura a strappare le pagine dai libri.

Aperti gli occhi, fece fatica a realizzare dove fosse: era il secondo giorno di vacanza e la sera prima era arrivata nella casa del mare. Con morbido disappunto pensò che era necessario alzarsi con tutto quello che avrebbe comportato affrontare una nuova giornata. Chissà se il mare era calmo o mosso? Comunque, andava bene in ogni caso, il modo di viverlo lo avrebbe trovato, o piuttosto si sarebbe fatto trovare. Temeva le emozioni e girava sempre al lato di tutto ciò che potesse provocarle   turbamento.

Dopo una golosa colazione a base di marmellata di melograno spalmata su pane tostato, pensò che fosse il caso di andare in spiaggia. Mise gli occhiali per non strizzare troppo gli occhi e proteggerli dai raggi e si fermò sulla soglia a pensare a tutto ciò che avrebbe potuto occorrerle visto che non aveva certamente voglia di tornare indietro. Poi finalmente s’incamminò con le ciabatte in mano, le piaceva sentire la sabbia scivolare sotto la pianta del piede. Arrivò così in riva al mare: mise i piedi nell’acqua e si abbandonò al primo sole di quel mattino che le avrebbe cambiato la vita. Rise a voce alta vedendo un bambino che con una mano reggeva il cappello e con l’altra si teneva il costume, resistendo al vento e alle onde che giocavano a denudarlo. Mentre il suo pensiero correva alla favola di Esopo, dove Borea e il Sole gareggiavano a stabilire quale dei due fosse il più forte, le parve di sentire un risolino tra il divertito e il sarcastico. Guardò il bimbo, ma lui non rideva; si girò da tutte le parti, ma non c’era anima viva; allora guardò di nuovo verso il mare e le sembrò che tra la spuma delle onde spuntasse un volto birichino che ammiccava verso di lei invitandola ad entrare in acqua. Il vento si era rafforzato e riuscì a togliere il berretto al bambino. Subito Elena corse a raccoglierlo e si trovò così in acqua senza saperlo. Onda dopo onda la spuma continuava a giocare e ad ogni giravolta cambiava espressione. Elena cominciò ad avere la testa piena di pensieri e presentimenti strani, tuttavia stava bene, si sentiva libera da condizionamenti, aveva voglia di interagire e di tuffarsi immediatamente dentro quella visione magica, quasi a volerla toccare con mano. Improvvisamente il mare tornò calmo e le onde si distesero per ricominciare a catturare nei riflessi tutta la luce del giorno.

- Ora bisognerà aspettare che il vento compia di nuovo la magia – pensò – oppure dovrò camminare e camminare fino agli scogli dove la spuma si forma sempre.

Dimentica della sua innata pigrizia, Elena iniziò, sotto il sole, un cammino di parecchi chilometri per arrivare in un punto dove era convinta che la magia si sarebbe ripetuta.

Faceva molto caldo e ogni due passi il pensiero di fermarsi o indietreggiare girava nella sua testa. Voleva tornare al “dolce” far niente: nessuna emozione, nessuna fatica, era meglio continuare a vivere al riparo da ogni turbamento. Però ormai qualcosa dentro di lei era accaduto e nemmeno il leggero brontolio dello stomaco che reclamava lo spuntino di metà mattina l’avrebbe fermata.

Ecco gli scogli, di un nero brillante, quasi gioioso. Un’unica onda planava leggera con la spuma che si fermava a mezz’aria e la invitava a entrare in acqua. Elena preferì entrare di lato, dove c’era ancora un po’ di spiaggia, per avere la certezza di immergersi dolcemente e quando lo fece un arcobaleno colorò l’incontro, il vento si acquietò e rimase solo il silenzio.

La ragazza pensò che quel suo stato d’animo fosse la felicità e cominciò a considerare che un elemento magico le avesse permesso di accettare i sentimenti senza timore. Pensò che poteva, doveva accettare di essere felice e lasciarsi andare. Si tuffò ancora nell’onda, ma questa volta la spuma non si colorò d’arcobaleno. Una goccia di mare le sussurrò all’orecchio che ormai la magia era in lei, doveva solo conservare il ricordo di quella giornata negli occhi, chiuderli forte e provare quella stessa sensazione di felicità e speranza. Non solo, ma a sua discrezione, avrebbe potuto donare le stesse sensazioni a chi voleva, a chi nel suo cammino ne avesse avuto bisogno. Uscì dall’acqua un po’ stordita, stupita di ciò che le era accaduto: non era sicura di voler raccontare la sua giornata, era certa però che avrebbe usato bene il suo potere.

Cominciò così a girare per la città senza meta, le occorreva tempo per contenere la forte emozione.

Intanto erano in due a sapere quello che era successo, perché la vocina che l’accompagnava da sempre si era già fatta sentire.

- Hai una grande possibilità e responsabilità, ti aiuterò.

- Mi sembrava più semplice, pensavo bastasse guardarsi intorno e scegliere.

- Parlane a casa, racconta la tua giornata, le cose belle vanno condivise. Riconoscerai i veri amici, saranno quelli che gioiranno con te.

Così dopo un lungo giro, arrivò a casa che era già buio. La sorellina lesse nei suoi passi e nel suo sguardo la novità. Le chiese subito di raccontare e si avvicinarono anche i genitori.

- Fatemi sedere, faccio fatica a riordinare i pensieri e gli avvenimenti.

Poi una volta iniziato il resoconto, le parole scivolarono una appresso all’altra con grande facilità: alla fine si sentì sollevata.

- Elena, che bello! Voglio essere felice anche quando prenderò un brutto voto. Mi aiuterai vero?

La cena era pronta.

- Mammaaaaa non mi piace il minestrone!!!!!!!!!!!

Elena strizzò gli occhi e di colpo divenne buonissimo.

Appena finito di cenare andarono nella loro stanza senza accendere, come solitamente facevano, la televisione. Dalla finestra si vedeva la luna, che non decideva se dondolare a destra o a sinistra: alla fine si adagiò come uno spicchio di anguria sul piatto.

Si alzarono di buon mattino. Le strade erano già affollate ed alcuni, con aria pensierosa, fissavano la tabella luminosa che indicava lo spread. Elena li guardò e strizzò gli occhi, un po’ di speranza si accese in loro. Si rimisero in cammino. Attraversarono la città e presero la via dei campi: i contadini erano molto preoccupati per la siccità.

- Elena, aiutali!

- Va bene.

- Non disperiamo ci sono sempre stati temporali estivi ed anche quest’anno sarà così. Continuiamo a lavorare la terra!

Ma Elena avvertiva che non aveva ancora fatto ciò per cui la magia le era entrata dentro, così adesso quella triste e pensierosa era lei.

- Ho percorso un lungo tratto di spiaggia rovente sotto il sole per rivedere l’arcobaleno, con una volontà che mai mi ero imposta prima. Ora che è in me, farei volentieri a meno di questa responsabilità.

- L’importante è che tu inizi a farti domande e a fare domande.- suggerì la solita vocina.          

- Mamma, papà, amici che devo fare? Il mondo mi passa davanti con tutti i suoi problemi di miseria, di malattie. E’ un mondo disperato che prima ignoravo perché vedevo solo la mia ombra. Giocavo a volerla calpestare, lei fuggiva e finivo per non pensarci più. Ora so che vedevo solo la copertina del libro, non lo sfogliavo; volevo essere al riparo e non mi accorgevo che stavo perdendo il bello della vita. Ora so che la curiosità, la gioia il pericolo sono le emozioni che mi faranno crescere. Però dovete aiutarmi.

- Sai, Elena, se la magia ti ha scelto è perché solo tu puoi fare quella cosa che ti libererà dalla magia stessa. Poi tornerai a vivere i tuoi giorni trasformata e la tua scelta sarà l’epifania della tua esistenza.

- Va bene mamma, va bene papà ho capito: smetterò di stare in ansia e quando arriverà la soluzione lo sentirò.

Così iniziò la sua giornata con la solita colazione in compagnia della sorellina che la spingeva ogni istante a ripetere la magia per le cose più banali. Ma Elena ormai era decisa a rispettare la scelta del suo dono. Nel giardino comunale che doveva attraversare per recarsi a scuola, la sua attenzione venne all’improvviso attirata da un gruppo di giovani mamme con i loro bimbi. Una palla stava in mezzo a loro ma nessuno del bambini la calciava e una tosse fastidiosa li perseguitava. Le mamme invece di essere tristi li incoraggiavano piene di entusiasmo. Raccontavano loro di fate buone e di maghi portentosi che si recavano da quelli che studiano notte e giorno affinché il loro respiro potesse al più presto divenire più regolare. I bambini a sentire quelle parole iniziarono a giocare. Elena posò in quel giardino la sua magia: la posò in quelle mani coraggiose e finalmente si sentì libera di sfogliare tutte le pagine del libro.

Tornò a casa che era già sera, si sentiva sazia di tutto, perciò andò subito a dormire. Un sonno tranquillo l’accompagnò per tutta la notte e al mattino il cambiamento avvenuto era chiaro come la luce del sole sulla goccia di mare che le aveva sussurrato i poteri della magia. Mentre percorreva il viale alberato che la portava a scuola, si ritrovò ad ascoltare senza fastidio il “canto” delle cicale e ridendo rumorosamente si chiese se fossero accordate come un coro o se qualcuna di loro facesse la “prima cicala”. Aveva capito che la vita è un susseguirsi di domande e che il silenzio vale quanto la parola. Iniziò ad essere più indulgente se qualche compagno di classe non capiva alla prima spiegazione e si sorprese a sorridere anche in quelle occasioni che prima la facevano irritare. Spesso, al mattino, era lei che svegliava tutta la famiglia con un sonoro buongiorno e una colazione abbondante: non pretendeva più di essere sempre servita e aveva chiuso con quella strana pigrizia.

Ora un pensiero la turbava e le tornava in mente: aveva dovuto scegliere e quella volta le era andata bene, perché le era stata servita su un piatto d’argento la soluzione e non aveva dovuto lottare. Ma sarebbe stato sempre così? No, la vocina, che ormai le faceva da grillo parlante, le disse che non sarebbe stato sempre facile. Scegliere non è mai facile. Significa lasciare non soltanto qualcuno o qualcosa, ma anche una parte di noi; vuole dire saper distinguere quando bisogna andare avanti a tutti i costi e quando invece è opportuno fermarsi; è capire che una certa soluzione non è una fuga dalle responsabilità, ma è solo prendere un’altra strada che sicuramente ci farà conoscere cose migliori e ci porterà ogni volta più lontano, avendo sempre nel cuore il sorriso di quella prima scelta.

 

 

Carla De Angelis