Una serata in birreria

La serata non era fredda e l’appuntamento con tutti era per le otto e mezza.

Le lancette dell’orologio segnavano il tempo. Emma era agli ultimi ritocchi, la sua immagine nello specchio la induceva a rivedersi dentro, un unico pensiero le batteva nelle tempie.

Il traffico della città rallentava automaticamente l’arrivo e questo non poteva che fargli piacere, avrebbe desiderato che un qualsiasi evento la mettesse in condizioni di arrivare a fine serata. Il marito alla guida e lei in silenzio e in pena, per l’ennesima volta si riproponeva la stessa domanda anche se una vocina flebile dentro di lei la rassicurava un poco.

 

L’appuntamento con la sua amica Rita era alle diciannove sul lungotevere, Enrico, suo marito, li avrebbe raggiunti dopo.

Il Tevere appariva come una lingua lunga grigia e silenziosa, Roma scorreva al suo fianco, le ombre degli alberi, le luci sulla cupola di San Pietro illuminata, Emma si sentiva soffocare tra quelle acque scure, era in apnea, a protezione aveva la piccola borsa tigrata sul petto.

Tommaso ruppe il silenzio: “Mi dici che hai stasera, sembra che tu debba andare al patibolo?”

“Non ho nulla Tommaso, sono solo un po’ preoccupata, è una prova di banco per me e non so se riuscirò…” Non terminò le ultime parole, non ne ebbe il coraggio.

“Ma si, vedrai c’è la farai.”

Le accarezzò la mano per rassicurarla, Emma non rispose, l’ansia prendeva il sopravvento, per fortuna Rita nel salire in macchina smorzò quell’aria di condannata a morte.

 

“Ciao ragazzi, come va?”  La voce era fresca e squillante, raccontò della sua giornata e del  progresso di una piccola allieva che prendeva da lei lezioni di pianoforte.

“Che bello Rita, piacerebbe anche a me suonare il pianoforte.” Le disse Emma con un filo di voce. “Perché no, c’è sempre tempo per imparare.”

Un attimo di riposo mentale, così le sembrò la chiacchierata, e quando Rita le chiese cosa aveva portato con se da leggere fu una liberazione.

 

Giunti davanti al locale, Emma si ritrovò circondata dal colore verde,  le sedie e il divano di cartone allungabile di un noto design e le pitture fresche alle pareti, il tutto dava distensione al pensiero, si ritrovò insieme frastornata e fresca, questa atmosfera gli procurò momentaneamente una sensazione piacevole.

 

Elena e Dario, promotori della serata accolsero tutti con entusiasmo, tutto era ben disposto, gli amici degli amici arrivarono e furono in tanti in poco tempo.

All’arrivo della sua amica Rossana si consolò non poco, era la sua ancora di salvezza. 

Dario e Maddalena avrebbero condotto la serata, la bionda poetessa conosciuta all’associazione culturale era tranquilla, Dario non vedeva l’ora di esibirsi.

 

 

 

Le ritornò l’ansia ancora più di prima, il cuore pulsava forte, pensava come fare per resistere all’intera serata.

 

Il silenzio scese con l’introduzione di Dario che annunciava l’inizio a braccio, era il suo forte. Le voci narranti arrivarono ed arrivò anche il suo turno, Emma non ebbe il coraggio di muoversi, delegò la lettura alla sua cara amica Rossana.

 

Primo giro concluso, non le sembrava vero, le voci dilatate dal fresco della sala, le voci con i propri suoni, intervallate dagli applausi, non c’èra una scaletta e la performance di ogni poeta era spontanea e veritiera.

L’intermezzo arrivò come annunciato da Dario: birra languida, ambrata e buona, accompagnata dalla pizza calda, Emma si dissetò con la bionda, miracolosamente le infondeva coraggio.

Le chiacchiere non mancarono fra gli ospiti. Uno scambio di opinioni fra amici in un ambiente carinissimo e verde come le speranze degli italiani, sorsi e versi e non politica.

 

Secondo giro, il silenzio riscende, Dario e Maddalena annunciano la nuova esibizione, Rossana apre, Emma è seduta e freme, ritorna il suo turno, questa volta non delega, si alza e va,  si sente viandante di strada, lo scudo del corpo della sua amica è pronto, la salva. Dietro di lei legge, la voce è tremolante, scioglie il ghiaccio, arriva fino all’ultima riga, trascina la voce…miracolo! Applauso.

 

Scivola il tempo sul caldo della pizza, sul liquido ambrato, scivola sui versi e sui visi dei tanti, scivola sul verde delle pareti, sulle pitture, si adagia sui sorrisi dei tanti, ed è questa la vera importanza della serata.

Girano versi belli, sensuali, tristi, imbevuti di malinconia, si leggono sulle bottiglie esposte, sulle luci della sera, sui volti dei presenti.

È l’altra parte di Emma che si muove e racconta emozioni, le parole allargano le idee, fanno luce sui perché. I tanti volti conosciuti sono d’appiglio e i nomi benvoluti sono di aiuto.

La serata è finita ed Emma ancora non ci crede, ha letto i suoi umili versi al pubblico. “IO?” La vocina di dentro si è rinforzata e non si rinnega. “Si! Cara proprio tu.”

 

L’uscita: saluti e baci, la macchina si rimette in moto, scivola silenziosa, è notte. Siamo di ritorno, le ombre quiete degli alberi mi sorridono, il Tevere mi affianca nella sua bellezza poetica, ammiro la sua luce, il suo specchio d’acqua, ed è come un amico a cui vuoi molto bene e ti dispiace lasciarlo andare.

Ero con la mente altrove, sospesa fra le parole dette, i sorrisi degli altri, gli applausi, prevaleva incredibilmente l’ascolto al mio io benevole.

 

Il clic della luce del comodino concludeva la serata, tutto è bene quello che finisce bene, i miei pensieri e la mia ansia si acquetavano nel buio della notte, non vedevo il viso di Tommaso, ma toccavo con mano la sua bocca sorridente.     

 

Lucia Izzo