Vulcano di sogni

Ero distesa sulla spiaggia ad osservare il lago e nulla avrebbe potuto turbare quell’attimo di quiete e di serenità. Mi avvolgeva un silenzio quasi irreale e potevo sentire solo il respiro del vento che soffiava leggermente muovendo le canne. Due papere nuotavano a pelo d’acqua e si immergevano ogni tanto, ricomparendo un po’ più in là. La mia tranquillità era assoluta.

Eppure solo qualche ora prima il frastuono dei clacson e le urla degli automobilisti mi stordivano a tal punto da farmi sentire prigioniera nella mia auto. Mi era anche capitato di assistere ad un episodio che mi aveva lasciato addosso un senso di rabbia e frustrazione: durante un semaforo rosso un automobilista era sceso dalla sua vettura ed aveva minacciato il conducente dell’auto che lo precedeva con un’enorme mazza da baseball. Io ero lì, nella mia Fiesta, di colore grigio chiaro, stupita e spaventata al tempo stesso.

Ma questa era la mia vita. Trascorrevo, tutti i giorni, molto tempo a bordo della mia macchina per raggiungere il mio luogo di lavoro e ne vedevo tanti di episodi di nevrosi generale. Guidare nel traffico di una città come Roma non è cosa semplice, soprattutto nelle ore di punta.

A volte mi capitava di sintonizzarmi su Radio Classica: alzavo il volume quasi al massimo e lasciavo che le note cancellassero ogni frastuono. Poi, finalmente, arrivavano quei due giorni di totale silenzio, quei due giorni a cui mai avrei potuto rinunciare, perché ristabilivano il mio equilibrio e mi permettevano di riacquistare la calma necessaria per ricominciare.

Ero così, una ragazza solitaria e riflessiva, che amava leggere e ascoltare musica, desiderosa solo di perdersi tra le righe di un buon romanzo o tra le note di Mozart o di Chopin. Quando potevo, correvo al cinema o a teatro e rimanevo incantata dalle prove dei grandi artisti che si esibivano sul palcoscenico dell’Opera di Roma.

Avevo trentotto anni, ero bionda e con due grandi occhi celesti. Stavo iniziando una nuova vita e mi lasciavo alle spalle tante delusioni e sogni irrealizzati. Ero molto preoccupata per questo, ma avevo deciso di non aspettarmi più nulla dal mio futuro: mi sarei goduta ogni minuto ed avrei colto ogni occasione, senza lasciarla scappare per l’ennesima volta.

Ero delusa da tutto: dagli amici, da me stessa, dalla vita.

Distesa su quella spiaggia lasciavo correre i pensieri cercando di trovare pace e di cancellare i brutti ricordi.

Improvvisamente il tempo cambiò: una nuvola coprì il sole e una strana foschia iniziò a salire dal lago. Sentii i miei occhi diventare pesanti e senza rendermene conto, pian piano mi addormentai.

Quando mi svegliai il paesaggio intorno a me era completamente mutato: il lago era prosciugato e anche la spiaggia, fatta di piccoli ciottoli neri, si era trasformata in roccia. Attirata da un rombo assordante, alzai lo sguardo in direzione del Monte Venere, proprio di fronte a me e mi accorsi che era tornato ad essere un vulcano: lingue di lava infuocata scivolavano dal cratere e sembravano venire nella mia direzione. Quando, terrorizzata, mi alzai di scatto, pronta a scappare via, vidi che il magma si raffreddava rapidamente, creando una crosta solida e continuando a modificare il paesaggio. Rimasi immobile a guardare le forme che si definivano sotto i miei occhi e il panorama, come creta modellata, prendeva sempre nuove sembianze. Non potevo credere a quello che vedevo! Foreste pietrificate, villaggi, boschi, cascate e pian piano il nuovo paesaggio si colorava e si animava di nuove vite: piante, fiori, animali, insetti e persone in carne ed ossa che correvano, ridevano e cantavano insieme.

Credevo di vivere in un sogno: si stava delineando un mondo completamento diverso da quello in cui vivevo, irreale, ma al tempo stesso meraviglioso.

Non riuscivo a distogliere lo sguardo e incantata rimasi lì, immobile. Non ci misi molto a rendermi conto che quello che immaginavo si realizzava come d’incanto: il mondo si disegnava assecondando i miei desideri. Così lasciai libera la fantasia e in poco tempo creai un vero e proprio paradiso, un mondo incantato in cui non esistevano le macchine, il traffico e lo smog, in cui gli abitanti erano sereni e vivevano rispettando la natura e le sue leggi. Avevo di fatto cancellato il progresso, la tecnologia e la logica del denaro e non esistevano lo stress, l’egoismo e la competizione, ma solo la collaborazione, l’altruismo e il rispetto. Insomma, il mondo in cui avrei voluto essere nata e cresciuta. Era tutto lì, davanti a me, quello che avevo teorizzato da sempre: una società più giusta ed equilibrata, dove sia possibile vivere in armonia con la natura, senza inquinare e senza rovinare il paesaggio. Una società dove non si distrugge, ma si costruisce per lasciare in eredità alle generazioni successive il vero progresso.

Inizialmente ero stupita, spaventata, ma poi tutto cominciò ad apparirmi naturale e scontato, come se quello fosse l’unico modo di vivere possibile. Rimasi lì per delle ore, incantata a guardare, come se fossi una semplice spettatrice, mentre in realtà quello che vedevo nasceva da me e dalla mia immaginazione. Non capivo se quello che stava accadendo fosse reale, però mi piaceva e se anche fosse stato un sogno non lo avrei mai scordato e avrei vissuto tentando di realizzarlo.

Ripensai ai momenti difficili che negli ultimi anni mi avevano cambiata e mi avevano resa solitaria e diffidente, incapace di divertirmi e di apprezzare la vita. Tutto appariva privo di senso, ma ora le cose sembravano improvvisamente chiare e finalmente iniziavo a sentirmi meglio.

Non era possibile cancellare gli errori fatti e il dolore sofferto, ma la mia vita era ancora lunga e sicuramente mi avrebbe regalato altre occasioni per essere felice e per trovare nella realtà un paradiso come quello che stavo sognando, in cui sentirmi davvero bene. Dovevo solo avere la forza di non arrendermi ad una vita che mi lasciava insoddisfatta, non mi sarei mai più dovuta accontentare. Il mio modo di vedere le cose era definitivamente mutato. Non avrei più sprecato il mio tempo rincorrendo la felicità di altri. Non avrei più rinunciato ai miei desideri per la paura di non riuscire a raggiungere obiettivi troppo ambiziosi e soprattutto avrei fatto le mie scelte da sola, senza confondere ciò che realmente volevo con le aspettative che non mi appartenevano.

Il sole iniziava a scendere dietro al Monte Venere ed io lo seguivo con lo sguardo: temevo che dopo il tramonto, il paradiso che avevo creato con la mia fantasia, si sarebbe pian piano cancellato. Ormai mancava pochissimo ed io ero lì, davanti a quello spettacolo, con gli occhi sgranati per la paura di perdere tanta bellezza. Poi feci un grosso respiro, trattenni il fiato per conservare un po’ di quell’aria e, quasi senza accorgermene, chiusi gli occhi proprio mentre il sole tramontava definitivamente. Quando li riaprii, dopo un attimo, tutto era tornato come lo conoscevo: il lago, le papere a pelo d’acqua, il canneto e sullo sfondo il bosco e il vecchio vulcano. Stranamente, però, quello che vedevo non mi era familiare, mi appariva nuovo, ancora tutto da scoprire.

- Ecco – pensai – è tornato tutto come prima, il mio mondo ideale è scomparso e al suo posto è riapparsa la realtà di sempre. Ma adesso sono io ad essere diversa, ho un motivo per cambiare le cose che non mi piacciono. Ho capito quanto sono importanti i ‘no’ da dire con fermezza quando le cose non vanno. Ho imparato che non devo chiudere gli occhi e far finta di non vedere ciò che non approvo e che non devo chinare la testa e sentirmi ‘in dovere’ di fare qualcosa. Esiste un mondo diverso ed io l’ho visto, un mondo reale e perfetto al tempo stesso, creato dalla mia volontà. Non sarà facile, ma ora so che posso raggiungerlo un passo dopo l’altro.

Raccolsi le mie cose e mi avviai verso la bicicletta che avevo lasciato poco distante. Mentre tornavo a casa mi sentivo rilassata, più sicura e consapevole della mia vita e questo era il mio primo passo. Quando aprii la porta, il caminetto era acceso e tutta la famiglia chiacchierava animatamente attorno al tavolo. Le gatte, raggomitolate sulla poltrona, si alzarono e mi vennero incontro. Mi sentii fortunata e le accarezzai: loro ricambiarono con sonore fusa. Pensai al giorno dopo: sarei dovuta tornare in città, riprendere il ritmo quotidiano, un lavoro che mi nauseava, ma che era parte fondamentale della mia vita. Però questa volta sapevo che tutto ciò presto sarebbe diventato un brutto ricordo. Sì, il mio prossimo passo sarebbe stato indubbiamente in quella direzione. Sedetti a terra, le gatte in braccio: guardai le mia famiglia e mi sentii finalmente felice.

 

Carolina Belloc