1976

Ormai da dieci anni, le attività che svolgo la mattina appena alzato sono sempre le stesse: doccia, caffè rigorosamente Nespresso, telefilm anni settanta di cui puntualmente perdo il finale e via in strada per affrontare una nuova giornata. Il vestito elegante che normalmente indosso non mi piace molto, perché non esalta le mie qualità. Il cappello è un elemento fondamentale del mio abbigliamento, visto che la mia testa, diciamo non folta di capelli, sicuramente risente in modo particolare delle gelate mattutine. Con gli occhiali appannati salgo in macchina sperando di trovare un po' di calore, anche se già so che ci vorranno almeno dieci minuti prima che il riscaldamento possa rendermi questo favore.

Cerco in tutti i modi di non pensare alla giornata di lavoro. Diventano quindi molto interessanti le trasmissioni stupide ascoltate alla radio o persino gli scorci della mia città che riesco a vedere immerso nel traffico.

Per fortuna non ci sono molte macchine sulla strada e quindi in venti minuti sono davanti all’ufficio.

Salgo, accendo il computer, secondo caffè e sono pronto per la lunga giornata.

A metà mattinata, mentre sono travolto dalle riunioni che normalmente affollano le mie giornate, il mio Outlook mi evidenzia un appuntamento a cui ero stato invitato, ormai scaduto da dieci minuti. Mi accorgo che l’invito è stato inoltrato dal capo la sera precedente. Rimango perplesso, sono sicuro di aver controllato la mia posta e quell’invito non era presente. Immagino già le lamentele del mio responsabile sulla mia incapacità di seguire le regole e quindi senza pensarci troppo inizio a correre. Non sono mai stato nell’area indicata nell’email: deve essere la parte più vecchia dello stabilimento ormai utilizzata molto raramente. Ed infatti, passata l’ultima area produttiva mi trovo davanti ad una piccola porta di metallo ormai tutta arrugginita, di un colore verde militare. Senza pensarci troppo entro, corro verso il primo piano e mi infilo nel corridoio seguendo un cartello che indica le sale riunioni. Finalmente ecco la sala 11.5. Ovviamente la riunione è già iniziata quindi mi infilo rapidamente raggiungendo le sedie libere in fondo alla sala. Subito mi accorgo che c’è qualcosa di molto strano in quella riunione. Il mio vicino fuma una sigaretta con molta tranquillità diffondendo nell’aria un tanfo insopportabile e il relatore sta utilizzando non il solito power point ma dei lucidi. E incredibilmente nessuno ha con sé il portatile!

Decido di concentrarmi sulla riunione, ma quando leggo le prime righe della presentazione, illustrata da un corpulento signore con i baffi, rimango di pietra.

L’ordine del giorno è la costruzione del comprensorio cinque per il quale sono previsti due anni di lavoro per renderlo disponibile nel 1978!

La data riportata sul lucido è il 15 Luglio 1976. Com’è possibile?

Rimango in silenzio per tutta la riunione, incredulo, con le gambe che mi tremano e la paura che da un momento all’altro si accorgano di me con chissà quali conseguenze. Ma più passa il tempo e più mi rendo conto che il clima è molto disteso e collaborativo. Anche se i contrasti non mancano, le persone sono molto appassionate nel presentare le loro idee e vedo intorno a me un entusiasmo che ormai manca nella mia generazione e tra i miei colleghi. Sicuramente la figura che attira tutta la mia attenzione è Marco, un ragazzo giovane con idee molto chiare, ma in contrasto con i suoi colleghi, che dall’alto della loro esperienza, si sentono forti nel sostenere le loro opinioni.

Ma lui non demorde, incalza colleghi e responsabili sul modo di risolvere i problemi che puntualmente gli presentano, difendendo le sue idee.

Mentre lo guardo affrontare la platea, penso a quante volte mi sono battuto per le mie idee durante le riunioni: nessuna!

Ad un certo punto Marco è in difficoltà: la sua idea è di realizzare uno stabilimento molto luminoso e automatizzato, con aree relax per permettere agli operai di lavorare meglio. Questo scatena la reazione di tutti, perché non riescono neanche ad immaginare un’idea così rivoluzionaria. Decido di intervenire, forte degli avvenimenti che già conosco, spiegando perché quella può essere una soluzione vincente. Tutti rimangono sorpresi, in particolare Marco che non si aspettava un mio intervento.

A riunione finita si avvicina ringraziandomi per il sostegno e invitandomi all’incontro successivo dove esporrà un piano dettagliato su come realizzare la sua idea. Gli prometto che parteciperò alla riunione del giorno dopo e lascio la sala soddisfatto ed eccitato per l’incontro.

Al termine della giornata lavorativa, invece di andare subito a casa, lascio la macchina vicino all’azienda e mi incammino verso il centro. Prendo un pullman che in circa cinque minuti mi lascia in via Garibaldi e da lì attraverso il mercato che con le sue luci illumina la sera ormai scesa sulla città. Quasi senza accorgermene mi ritrovo davanti alla biblioteca. Immediatamente il mio cervello si illumina. Salgo velocemente i gradini della piccola e stretta rampa che porta al secondo piano, la zona dedicata ai libri più vecchi e ai libri sulla storia della città. Sono sicuro che li troverò le informazioni che cerco. Le sale sono ormai vuote: rimangono solo pochi studenti stufi e annoiati dalla giornata spesa tra quelle silenziose mura e qualche distratto anziano lettore, che non intende abbandonare il tepore e l’odore della biblioteca per affrontare le fredde e buie strade della città. Mi catapulto tra gli scaffali e in men che non si dica trovo i libri dedicati alla fabbrica, che ormai da quasi ottant’anni regna nella zona sud. Ne scelgo alcuni e inizio la mia ricerca.

Dopo circa trenta minuti passati a sfogliare e analizzare le pagine, finalmente mi imbatto in quello che sto cercando: un capitolo sugli anni settanta e ottanta.

Alla fine della lettura il quadro è molto chiaro. L’argomento è stato ben analizzato dai critici storici che definiscono quel periodo cruciale per l’azienda: se solo avesse avuto più coraggio in molte scelte strategiche, come avevano fatto le aziende straniere, sarebbe stata in grado di ottenere dei risultati straordinari.

Mi è tutto molto chiaro e l’immagine di Marco che combatte per le sue idee affolla la mia mente. Esco dalla biblioteca e mi dirigo verso casa sapendo che l’indomani mi aspetta una giornata molto intensa e con un obiettivo molto chiaro: aiutare Marco.

L'indomani mattina sono alla mia scrivania già alle otto. Appoggio il pessimo caffè uscito dalla maledetta macchinetta sopra il solito quotidiano, di cui ho già letto le principali notizie e dopo aver avviato il computer inizio la mia ricerca. L’ufficio è ancora quasi completamente vuoto, il silenzio e la poca luce del mattino gli danno un aspetto diverso, tranquillo, amico, che tra pochi minuti come al solito si perderà in un vortice di attività frenetiche. Non riesco a trovare Marco nella rubrica aziendale, anche se in fondo un po’ ci speravo: è la prova che non è stato tutto un malinteso, una data sbagliata sul foglio o un’allucinazione dovuta ai troppi caffè.

Sono le undici e tutti sono ormai arrivati in ufficio. Visto che Alessio, il mio responsabile, non mi ha ancora chiamato, ne approfitto per andare in cerca di Marco con l’intimo desiderio di staccarmi dal presente, per immergermi in un periodo davvero stimolante, anche se molto difficile. Mi infilo cappotto e cappello e corro giù per le scale, immergendomi nella nebbiolina mattutina verso quell’area misteriosa, che ho scoperto solo il giorno prima. Ma quando sono in prossimità della vecchia ala mi accorgo che c’è qualcosa che non va: ci sono molti camion, molti operai e il rumore è assordante. Delle transenne mi costringono a fermarmi e il cartello affisso alla parete verde che delimita la zona non poteva essere più chiaro:

“AREA CHIUSA ALLE PERSONE NON AUTORIZZATE. STIAMO REALIZZANDO IL NUOVO STABILIMENTO”

Rimango fermo a fissare il cartello. Di certo la mia faccia fa trasparire un grande stupore e la mia delusione, perché molti operai passando si fermano a guardarmi.

Non riesco a capire, sono confuso, continuo a fissare le transenne.

Infreddolito per il vento gelido, infilo le mani in tasca e mi accorgo di avere un foglio, lo apro e leggo:

“Grazie per il supporto di oggi, stavo quasi per demordere, ma il tuo intervento mi ha spronato, mi ha fatto capire che a volte succedono cose inaspettate e sorprendenti. Non so se le mie idee si trasformeranno in realtà, ma sono sicuro che non avrò mai rimpianti per merito tuo. Marco”

Sorrido. Avrei potuto scrivere la stessa cosa. Da anni non ricevo un messaggio che non sia un sms o un’email. Ripiego il foglio e lo metto in tasca, mi sistemo il cappello e mi avvio per tornare in ufficio. Dando un ultimo sguardo ai lavori, mi rendo conto che probabilmente non saprò mai spiegare cosa è successo veramente, ma che comunque ho ricevuto una fantastica lezione, una di quelle che non si possono dimenticare facilmente.

 

Luca Stoppa