Appuntamento al buio

Molti dicono che le favole sono solo il frutto di menti creative, vane illusioni lontane dalla realtà dei nostri giorni. Persino io, fino a poco tempo fa, la pensavo così, poi però, nel bel mezzo di una giornata simile a tante altre, accadde un episodio, che è stato il preludio inconsapevole di eventi degni della più magica delle fiabe. Come tutte le mattine ero davanti allo specchio e cominciavo l’opera di restauro: un tocco di matita per dare risalto ai miei occhi castani e poi il compito più difficile, l’acconciatura dei capelli. Madre natura mi ha regalato un bellissimo colore biondo cenere con l’inconveniente, però, di avere capelli esageratamente lisci, senza quel bel movimento un po’ disordinato, che rispecchierebbe il mio carattere curioso e intraprendente. Non a caso avevo scelto di entrare nell’affascinante mondo dell’investigazione, ma purtroppo l’inesperienza, dovuta alla mia giovane età, non mi aveva ancora permesso di realizzare il mio sogno.

Quella mattina di fine maggio, Milano si candidava ad essere una delle città più afose. Il tasso di umidità era spaventoso, ma nonostante ciò la mia costanza mi spinse, con un po’ di fanatismo, alla mia corsetta quotidiana in uno dei polmoni più verdi della città: il Parco Sempione, un’oasi incastonata tra il Castello Sforzesco e l’Arco della Pace. Il mio percorso si snodava lungo la propaggine della sponda del laghetto: un datato albero di noce del Caucaso, platani, e faggi penduli si riflettevano in quello specchio d’acqua, popolato da anatroccoli che risvegliavano teneri ricordi dell’infanzia. Nel cuore di quel paradiso terrestre si trova il mio regno. Ogni mattina, dopo le mie fatiche podistiche, mi rilasso nella silenziosa biblioteca: un’originale struttura di metallo e vetro, con un giardino di lettura tra le fronde. Insomma, proprio il luogo ideale per rigenerare la mente e il corpo. Fu proprio in quella piccola dimora di cristallo che ebbe inizio la storia incredibile che mi accingo a raccontare.

Le mie letture preferite sono quelle che mi permettono di fare un tuffo nel passato. Le trovo opere stimolanti: conoscere la storia di un popolo, o di una città e delle sue leggende esercita su di me un potere magico che mi fa immergere in tempi remoti, tanto ardui quanto intriganti. Quella graziosa scatola di vetro custodisce preziosi volumi e quella mattina la mia curiosità fu stuzzicata dalla vista di una singolare guida di Milano. La copertina prometteva misteri e itinerari insoliti tra realtà e leggenda: inutile dire che scelsi subito quelle pagine patinate che suscitavano in me mille aspettative. Soddisfatta, iniziai il mio viaggio immaginario all’interno di quel giardino paradisiaco di lettura. Era fantastico, sin dalle prime pagine, scoprire una Milano diversa dalla caotica Milano da bere, non più imprigionata dalle trame del tessuto cittadino. La guida offriva la scoperta di una città di grandi tradizioni storiche con risvolti misteriosi. L’idea di ricalcare quegli itinerari mi solleticò parecchio. Così tornai al tempio delle meraviglie e dopo avere fornito i miei dati, uscii felice tenendo sottobraccio il mio trofeo. Con passo spedito da consumata podista, rientrai nel mio mini appartamento. Un bel bagno ristoratore era, in quel momento, ciò che desideravo di più. Non vedevo l’ora di immergermi in quelle bolle schiumose che profumavano di essenze esotiche. Tutto ciò dopo aver dato un altro sguardo ai capitoli più intriganti sui misteri e le curiosità, tra cui quelli dedicati ad antichi fantasmi che avevano popolato la metropoli milanese. Scivolai senza accorgermene tra due pagine che celavano tre graziose violette essiccate: le poggiai con cura sul comodino, chiusi il libro ed immersi con gioia il mio corpo nella schiuma profumata. Il primo evento bizzarro si verificò subito dopo, quando, aggirandomi in accappatoio per la stanza, notai che le violette erano scomparse dal comodino: le ritrovai come segnalibri, ognuna in tre pagine differenti. E questo, perbacco, era un bel mistero!

Non nego di aver vissuto un attimo di sgomento: non riuscivo a capacitarmi di come fosse potuto accadere un simile fatto. Era tutto così irrazionale! Non avevo di certo l’età per credere alle bacchette magiche o, nel caso specifico, a un mazzetto stitico di violette mammole! Mi imposi di riprendere il controllo della situazione. La logica mi suggeriva di leggere le pagine contrassegnate, ma non ebbi nemmeno il tempo di posizionarmi sul foglio che la prima viola, volteggiando mi indicò un paragrafo preciso del capitolo. E fu così che il mio scetticismo sulle arti magiche si sciolse come neve al sole. Gli unici fatti che ora davo per scontati erano due: avrei seguito le violette fin dove mi avrebbero condotta e la magia, ormai, per me non era solo il frutto di menti creative, ma esisteva. Eccome! Il capoverso indicato descriveva inquietanti eventi accaduti in tempi remoti nell’odierno Parco Sempione: la leggenda era avvolta dall’oscurità della notte. Una dama velata dall’irresistibile fascino si aggirava nel parco e ogni sua apparizione era preceduta da un forte profumo di violette. La seconda viola fece capolino dalla pagina seguente. Con grazia i suoi petali sottolineavano un punto esatto del periodo: la nobildonna dal volto celato e dal talento seduttivo, ammaliava lo sventurato di turno e lo spingeva a seguirla in una villa. Senza quasi darmi il tempo di girare pagina, l’ultima violetta mise, per così dire, la ciliegina sulla torta. Eretta in tutta la sua eleganza, danzò dispettosa per poi posarsi sulla carta patinata lì dove il racconto proseguiva. La donna si scopriva il capo e il suo volto non era giovane e bello, ma un terribile teschio. Alcuni dei malcapitati impazzivano, altri fuggivano senza perdere il senno, ma nessuno era in grado di ritrovare quella villa misteriosa. Il libro si chiuse, le tre viole si librarono nella stanza e scivolarono nella tasca del mio marsupio. Insieme, con emozione, aspettavamo il calare delle tenebre quando il nostro viaggio nel passato sarebbe iniziato.

Nemmeno nelle mie fantasie più sfrenate avrei mai immaginato di ritrovarmi immersa nella bruma di una notte di fine primavera a passeggio tra i dedali del Parco Sempione. E così, avvolta nella mia giacca di pile, armata di una sofisticata videocamera a raggi infrarossi e di un microregistratore, mi apprestavo alla caccia di misteriose ed evanescenti creature, guidata dalla magia delle mie singolari assistenti, le tre viole essiccate. Era davvero paradossale! In quell’intimità notturna rispolverai le mie percezioni sopite, riaccese dalla tensione positiva del momento. Miei compagni nella notte erano alberi che respiravano e scale che apparivano solo sotto la luce di un lampione, mai viste di giorno. Mentre i miei pensieri fluttuavano liberi nella nebbiolina, un delicato profumo di viola mi riportò alla realtà dei fatti. Ben presto mi resi conto che era proprio quell’effluvio sempre più intenso a condurmi irresistibilmente verso un luogo specifico. Dal marsupio si affacciarono le tre magiche assistenti profumate, ma un po’ sfiorite. Oramai che il seme della paura aveva messo radici profonde nel mio animo, mi preparavo ad accettare l’imponderabile nel modo più savio possibile. Sentivo che da lì a poco sarei divenuta l’unica testimone di una prima cinematografica di genere fantastico: respingevo con tutte le mie forze un tarlo insistente che nella mia mente voleva trasformare la vicenda in un horror. Accesi il registratore e come prima cosa dettai l’esatta posizione in cui mi trovavo. Tutto ciò che seguì stravolse il mio approccio alla vita. Le viole riacquistarono la loro energia vitale, i petali ripresero l’antica consistenza e in un refolo di vento fluttuarono nell’aria. Iniziai a seguire le tre danzatrici. Ad un certo punto mi sembrò di scorgere una forma impalpabile: non potevo mollare proprio adesso, dovevo sapere se quella sagoma fatua era solo il frutto delle aspettative troppo a lungo rimuginate nel mio mondo virtuale.

Ebbi l’accortezza di azionare la videocamera preparandomi alla fase più concitata dell’avventura. Ora che mi è possibile analizzare in maniera più lucida l’accaduto, posso confermare che l’intera vicenda si concluse in un paio di minuti anche se quei momenti mi apparirono interminabili. Mi sembra ancora di sentire il battito del mio cuore martellare in maniera spasmodica alla vista delle violette, che danzavano agili e scattanti attorno a quella forma eterea mentre andava assumendo fattezze sempre più corporee. La seducente dama si materializzò poco dopo, avvolta in una scia di profumo inebriante, che ne segnava il passaggio. Elegante, nel suo abito d’altri tempi la donna dal volto velato si muoveva con grazia infinita. Appurato che di leggenda non si trattava, la mia inquietudine montava. La carnefice sprigionava un fascino irresistibile, la scena annunciata dal libro sembrava ormai prossima. La mia coscienza m’imponeva di cercare di evitare l’inevitabile… Un proposito davvero nobile, ma in quale modo potevo cambiare il destino della vittima designata? Rimasi senza fiato, quando vidi spuntare, ignaro, da un vialetto, un uomo immerso nel mondo dei suoi pensieri. La dama lo seguì avanzando a piccoli passi: ancora pochi istanti e l’incontro sarebbe stato fatale. Istintivamente, senza pensarci un attimo mi apprestai a fare da terzo incomodo. Chissà, forse la mia imprevista partecipazione avrebbe potuto stravolgere il finale preannunciato dalla speciale guida di Milano. Con lo scatto di una centometrista, afferrai le tre damigelle che aprivano le danze alla conturbante donna del mistero. Al mio tocco, le viole reclinarono i petali, i loro gambi si afflosciarono ed immediatamente la provocante sagoma si dissolse nell’umidità della notte. L’uomo incrociò il mio sguardo e strizzò gli occhi, sembrò sul punto di dire qualcosa, ma poi scosse il capo borbottando, e riprese in silenzio il cammino. Solo allora mi accorsi di stringere qualcosa nella mia mano serrata: aprii il pugno e vidi che c’era un piccolo petalo viola.

Quel che restava della notte lo assaporai protetta dalle pareti della mia stanzetta da letto, coccolata dal piacevole tepore di una soffice coperta. Una volta poggiata la schiena al cuscino, ero pronta a rivivere la mia avventura notturna: accesi la videocamera e guardai, con l’adrenalina che andava a mille, le riprese del mio viaggio magico nel mondo dell’ignoto. Mi rividi mentre percorrevo i dedali del Parco, fino a quando le violette schizzarono fuori dal marsupio per andare incontro alla forma che avrebbe dovuto trasformarsi nella conturbante dama velata. Aspettai di vedere apparire sul piccolo schermo la metamorfosi, ma l’attesa trasformazione non arrivò. Il filmato non rilevò nessuna figura umana, né tantomeno eterea. La successiva sequenza ritraeva solo l’immagine di un uomo inconsapevole dello scampato pericolo. A causa della fretta che avevo avuto di catapultarmi nella mischia, le riprese seguenti risultarono mosse e con inquadrature di pessima qualità. A malincuore dovetti rinunciare a fornire prove concrete dell’accaduto, oramai non mi rimaneva altro che tornare al tran-tran di tutti i giorni, che da allora mi sembrarono piatti e insignificanti. Ripresi a fatica i miei allenamenti quotidiani nel Parco Sempione. Una di quelle mattine sentii l’irresistibile bisogno di ripercorrere tutti i passaggi di quella memorabile notte: riconobbi il posto, abbandonai il vialetto e mi addentrai nella vegetazione. Il mio sguardo venne calamitato da una macchia di colore, un fazzoletto di violette selvatiche, che nascondevano una tavoletta in pietra. Mi avvicinai e con un certo stupore riconobbi le tre viole, una mancante del piccolo petalo. Erano adagiate sopra un incisione di quattro lettere B.M.S.V. e una data, che si intravedeva a malapena: 1526. Da quel giorno vivo ogni attimo con rinnovato entusiasmo. La vita riserva sorprese inattese dai risvolti inimmaginabili. È nostra virtù tenere aperta la porta della conoscenza e non dobbiamo trincerarci in folli pregiudizi, se vogliamo essere liberi di spaziare nel magico gioco della vita. Sarebbe un delitto farlo.

 

Lorella Miorali