Caduta libera

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5.30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare.*

Quel sole caldo che si infrangeva sulla finestra segnava l'inizio di una splendida giornata. Aprì gli occhi e dolcemente spostò con i piedi quel lenzuolo bianco che sembrava cullarla ogni notte come scudo di protezione da quegli incubi che nel buio la assalivano. Stropicciandosi quegli occhi assonnati che ad ogni battito di palpebra tendevano a chiudersi,rivolse lo sguardo verso lo straordinario panorama che si notava da quella finestrella illuminata e così quelle tende dai colori un po' sbiaditi presero di nuovo il colore della speranza. Osservò attentamente il cielo e scrutò ogni minimo dettaglio che poteva scorgere da quel piccolo vetro opaco. Uno stormo dava origine a delle rappresentazioni astratte che riuscirono ad attrarre con piacere la sua attenzione e sognò un mare aperto con tutti i suoi abitanti immaginando così il posto in cui avrebbe voluto essere. Sorridendo raccolse i suoi lunghi capelli con un nastrino azzurro lasciandone scivolare una ciocca sul viso come faceva ogni giorno per non sentirsi del tutto scoperta davanti alla grandezza del mondo. Non le piaceva l'immensità del caos e questo era il suo modo di nascondersi,mostrando solamente una parte di sè.

Un altro suono ruppe la pace magica, non era la sveglia assordante che la sollecitava ad alzarsi, ma una chiamata in arrivo.

Da quella vibrazione seguita dalla sua canzone preferita la giornata diventò uggiosa trasformando quei colori accesi in un grigio spento. Non era un amico e neanche un parente. Quella voce che ascoltava ogni martedì era inconfondibile e già sapeva quale notizia avrebbe ricevuto. Parlava quasi sottovoce,scandendo accuratamente ogni parola e si assicurava che ciò che pronunciava le arrivasse in modo schietto senza troppi giri di parole.

Era un'abitudine ascoltare la stessa voce quasi sull'orlo di un'arrabbiatura, ma quella volta non trasmetteva nulla di simile. Da anni si vedevano ogni martedì e conosceva benissimo il significato del mutamento del suo tono. Infatti quella voce decisa che quasi tremava ed interrotta da molti sospiri era sinonimo di preoccupazione. Ciò sul quale stavano lavorando da tempo non si stava dirigendo più nella giusta direzione ed il suo mostrarsi sempre a metà la stava portando ad essere invisibile. Una deviazione o un incidente di percorso.

"Dobbiamo vederci prima, anticipiamo l'appuntamento, ho capito che da sola non ce la fai".

Queste parole le scatenarono un uragano dentro e Alessia che racchiudeva da sempre le emozioni nel suo scrigno si lasciò trascinare dalle lacrime che quella volta non riuscì a trattenere. La ragazza riservata, soprannominata da tutti "La Muta" e che veniva ritenuta fredda o vuota riuscì a sprigionare l'insieme di sentimenti contrastanti che stava provando. Pur non utilizzando la voce per spiegarsi da quelle lacrime uscirono parole, quelle mai dette, piene di rabbia e di delusione, ma soprattutto di paura.

Uno sfogo liberatorio che stupì chi era dall'altra parte del telefono e che fece crollare improvvisamente quel muro imponente che Alessia si ostinava ad innalzare tra lei e le persone, specialmente quelle disposte ad aiutarla. E dopo un respiro profondo e un attimo di silenzio accettò di anticipare l'incontro. I giorni scorrevano senza freni, l'inverno oramai non era più solo una stagione, ma il suo perenne stato d'animo e più si avvicinava quella data e più sentiva freddo dentro. La monotonia della domenica stava per terminare e la notte sembrava non passare mai, fin quando non vide il primo raggio di sole aprire il cielo. Questa volta non ci fu nessun rumore ad interrompere il silenzio,quella calma apparente data solo dall'oscurità della notte era il contrario di ciò che in realtà Alessia aveva in testa. Sembrava un treno impazzito che sfrecciava senza una meta e l'unico passeggero a bordo era proprio lei, seduta in un angolo a destra nell'ultimo vagone. Una volta rallentati quei pensieri, prese un po' di coraggio e varcò l'uscio della porta. Ad ogni passo in più verso il luogo dell'incontro il suo battito cardiaco accelerava, ma una volta arrivata a destinazione le bastò lo sguardo della sua dottoressa per tranquillizzarsi. L'ansia sembrava divorarla ogni volta che i due sguardi si incrociavano, ma senza quel camice bianco l'atmosfera risultava decisamente più informale e serena. Questa scelta di presentarsi in borghese era stata premeditata, ormai aveva imparato a conoscere bene tutte le sue paure e serviva per mostrarle la sua semplicità come persona e cancellare la distanza tra medico e paziente. Intorno a loro non vi erano le solite poltroncine separate dalla solita scrivania in legno antico, ma il verde della natura faceva da sfondo a quella conversazione importante mentre il cinguettio degli uccellini sembrava fare da colonna sonora a quelle parole appena sussurrate. Quasi un film con il colpo di scena in arrivo.

"La mia risposta la conosce, non ci vado e basta!"

Tutti gli incontri e il tempo speso alla ricerca di una soluzione non potevano svanire così, a causa di una stupida paura. La dottoressa le aveva insegnato tante cose e tra queste che i cambiamenti fanno paura a tutti, ma non si può rimanere sempre fermi mentre il resto del mondo ci ruota attorno.

Questa lezione Alessia sembrava averla assimilata, eppure quel passo in avanti che le era stato proposto di fare insieme non aveva intenzione di farlo. Stava sempre in bilico sul bordo di un burrone, non saltava e non tornava indietro.

"Ormai sei arrivata fin qua ed è arrivato il momento di saltare, non puoi rimanere immobile a fissare il vuoto!"

Eppure buttarsi da un grattacielo, da un burrone, da qualsiasi altura fa veramente male e la dottoressa sapeva bene quanto quel salto sarebbe stato doloroso. Quell'altezza era davvero spaventosa, ma bastava farlo ad occhi chiusi e con la certezza che là in fondo ci sarebbe stata una mano pronta ad afferrarla, ad aspettarla e che le avrebbe fatto da cuscino ad ogni sua caduta.

"Non mi fido di quella mano, se poi mi lascia o se ne va quando ormai ho già saltato?"

Non ci fu nessuna risposta a quella domanda, forse neanche lei ci aveva mai pensato oppure lo avrebbe dovuto semplicemente scoprire andando avanti. La dottoressa per giorni non ebbe più alcuna notizia della sua paziente, aspettava fremente un suo messaggio o un qualsiasi segnale potesse mandarle e intanto si chiedeva di continuo se avesse sbagliato qualcosa. Rifletteva e rifletteva, ma nessun errore era stato commesso. Una mattina mentre era indaffarata, sommersa dal lavoro qualcuno bussò alla porta del suo studio. Era la conferma che quel suo errore non trovato, in realtà non lo aveva mai commesso.

"Buongiorno,scusi se la disturbo..."

"Non ti devi scusar, vieni accomodati."

E socchiuse la porta avvicinandosi lentamente.

I suoi passi incerti trasmettevano davvero tanto timor e quegli occhi pieni di preoccupazione erano fissi verso il parquet appena lucidato. I due sguardi non si incrociavano mai mentre Alessia giocava con delle penne come rimedio per combattere l'ansia pronunciava delle sillabe con un filo di voce sperando che la dottoressa potesse intuire ciò che avrebbe voluto esprimere. Quel giorno però non assecondò le sue paure e finse di non aver compreso,spronandola ad aprirsi un po'. Funzionò, questo metodo ebbe un un successo strepitoso. E dopo una lunga conversazione si salutarono, sussurandosi "A domani" avvolto da un caloroso abbraccio.

L'indomani alle 8.00 la valigia rossa era davanti alla porta di casa, quella casa che ben presto avrebbe salutato. Spazzolino, pigiama, pochi vestiti e qualche peluche, il minimo che le potesse servire per un breve ricovero all'ospedale. Accarezzò la porta di casa e la varcò senza versare nemmeno una lacrima. Dopo essersi incontrate al semaforo si incamminarono verso l'ospedale. Alessia era impaurita, ma era sicura della decisione presa.

Passò un mese, una degenza apparentemente piacevole. Il reparto era occupato da tutte ragazze della sua stessa età,di progressi ne aveva fatti in abbondanza e il suo percorso ospedaliero era giunto al termine. La dottoressa in tutto quel tempo le era rimasta sempre accanto, andava spesso a trovarla e a tranquillizzarla quando calava il sipario nero davanti a lei. In quel giorno pieno di sole, le dimissioni erano pronte e dopo aver salutato tutti tra lacrime e ringraziamenti uscì da quel reparto con il sorriso.

Poco più tardi fece un salto allo studio della dottoressa.

Bussò con determinazione, aspettò che dicesse "Avanti" e subito si accomodò camminando speditamente. Guardò la sua dottoressa negli occhi e le diede una lettera, poi la salutò con un abbraccio e scappò via. La dottoressa notò immediatamente i cambiamenti di Alessia e ne rimase piacevolmente colpita e così senza aspettare nemmeno un secondo aprì quella lettera. La busta che la custodiva era verde, un verde acceso proprio come il colore preferito della sua paziente e sopra alla busta aveva attaccato degli adesivi a forma di cuore. La lettera non era lunga, ma chi l'aveva scritta ci aveva messo tutto il cuore e non era più quella ragazza così insicura come un mese fa.

"Cara dottoressa, grazie per avermi aiutato quando ero in difficoltà e nessuno se ne era accorto. Questo percorso è stato fondamentale e non smetterò mai di ringraziarla. Non sono guarita del tutto e fuori ci saranno delle volte in cui cadrò, ma alla domanda a cui non ha saputo darmi una risposta le rispondo io. Il salto nel vuoto l'ho fatto, ora sto in aria e se al mio arrivo non ci fosse nessuno pronto a prendermi, ora sono abbastanza forte per atterrare in piedi da sola, basta solo fidarmi di me stessa e credere in quello che faccio. Un abbraccio Alessia"

La dottoressa guardò dalla finestra con la lettera in mano trattenendo a stento le lacrime.

Diresse lo sguardo fisso sul palazzo più alto che il quartiere potesse offrirle e scendendo con gli occhi fino al piano terra, sorrise.

Francesca Motta

*incipit tratto da Se solo fosse vero di Marc Levy