Come un soffio di vento

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano la 5,30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l’alba della sua città sapeva creare.

Spense subito la suoneria per non disturbare suo marito e le bambine, si alzò e andò in cucina.

Svegliarsi presto era diventato un vezzo, le piaceva rubare un po’ di tempo alla giornata per dedicarlo solo a se stessa. La felicità era godersi l’alba mentre sorseggiava il caffè nel silenzio più assoluto, prima di dedicarsi alla lettura di un libro. Le piacevano i romanzi e mentre leggeva volava lontano, viveva altre vite, altre sensazioni. Dimenticava tutti i suoi problemi e spesso le capitava di affezionarsi ai personaggi e al termine della storia ne sentiva la mancanza.

Marina faceva la casalinga e spesso si lamentava perché il tempo non le bastava mai.

- Se non hai tempo tu che stai tutto il giorno a casa! – era inevitabilmente la risposta.

Eppure aveva sempre mille cose da fare: pulire, lavare, stirare, cucinare, fare la spesa, pensare alle bambine. Ritagliarsi quell’ora e mezzo era per lei di vitale importanza, le serviva per non soccombere alla routine.

Alle sette si sarebbero alzati tutti. Puntuale la sveglia suonò per la seconda volta: iniziava la giornata.

Il compito più gravoso era svegliare Gabriella ed Elena, rispettivamente di quattro e sei anni, e accompagnarle all’asilo e a scuola: facevano sempre mille storie. Dopo una colazione movimentata da mille capricci e dalla scelta del vestitino da indossare, motivo questo di grande discussione, Marina si mise il giubbotto: finalmente erano pronte per uscire!

- Oggi – disse alle piccole – andiamo a piedi: c’è un bel sole e camminare fa bene!

Il borbottio di sottofondo terminò solo quando Marina prese le figlie per mano ed iniziò a raccontare una storia. Quando arrivarono a scuola le salutò come al solito e tornò verso casa. La bella mattina, tiepida e soleggiata, le rammentò quanto le piacesse camminare. Prima di sposarsi era solita fare footing ogni giorno e, sulla scia di quel ricordo, decise di allungare un po’ la strada e di attraversare il parco.

L’autunno alle porte dipingeva la natura di colori tenui. Gli alberi iniziavano a ingiallire e a perdere le foglie e il sole con dolcezza accarezzava il viso di Marina, che passeggiando assaporava queste meraviglie. Si ricordò che, vicino ad un enorme albero, c’era sempre una senzatetto, che la incuriosiva molto: avrebbe conosciuto volentieri la sua storia. Era una donna piccola, con tanti capelli ricci e bianchi tagliati corti e portava sempre con sé uno zaino fiorito.

- Chissà se stamattina c’è? – pensò tra sé e sé

Da lontano la scorse sotto l’albero e decise di avvicinarsi. La signora era tutta indaffarata a mettere a posto le sue poche cose e quando vide Marina la salutò.

- Buongiorno! – le disse – Si sta godendo gli ultimi raggi di sole? Secondo me siamo agli sgoccioli: tra un po’ arriveranno il freddo e le piogge e mi stavo giusto chiedendo dove ripararmi d’ora in avanti.

Marina rimase un po’ turbata, poi vide che alla senzatetto era caduto un piccolo quaderno e glielo porse.

- Ma guarda un po’ – disse la donna – stavo perdendo proprio il mio bene più caro! La ringrazio tanto, ma si metta pure seduta

- Perché il suo bene più caro? – chiese Marina timidamente.

- La mia è una storia strana. – rispose l’altra – Mi chiamo Clara e fino a cinque anni fa ero una imprenditrice, molto brava nel mio lavoro, con un marito affettuoso, una bella casa e tanti amici. L’unico mio rammarico era la mancanza di un figlio, ma ormai ero rassegnata e la mia vita mi bastava. Un giorno, purtroppo o per fortuna non lo so ancora, ho scoperto che mio marito mi tradiva e mi sono sentita persa. Sono scappata, ho abbandonato tutto e non sono tornata più a casa. Con gli ultimi soldi che mi rimanevano ho comprato questo quaderno che mi serve per scrivere le mie sensazioni e questo zaino dove ripongo quel poco che ho.

Marina si accomodò in un angolo della panchina, mentre Clara continuava a rovistare nel suo zaino. – Eccoli! – esclamò – Finalmente li ho trovati.

Tirò fuori un piccolo involucro di carta argentata e iniziò a scartarlo.

- Vuole un biscotto? – chiese a Marina, che molto titubante accettò.

Mentre lo mangiava, provava una strana sensazione: era affascinata da Clara, le piaceva parlare con lei ed ascoltare la sua storia.

- Grazie! – le disse – È veramente molto gentile! Posso permettermi di chiederle se in tutti questi anni ha mai avuto voglia di tornare a casa da suo marito, dai suoi amici, al suo lavoro?

- Certo! – rispose Clara – I primi tempi, mi capitava ogni giorno di provare nostalgia per il mio passato, però c’era qualcosa che mi tratteneva e mi rendevo conto che quella che chiamavo serenità era sola apparenza. Nella mia vecchia vita, la sera quando andavo a dormire, ero consapevole di aver fatto bene quello che dovevo, ma non ero soddisfatta. Sul lavoro dovevo dimostrarmi inflessibile e dura, forzando la mia personalità e allora, per gratificarmi, compravo un vestito costoso o un gioiello, che riponevo nell’armadio o in un cassetto dopo averli sfoggiati due o tre volte. Non c’è niente di più vero della famosa frase del Piccolo Principe “l’essenziale è invisibile agli occhi”. Forse sapevo, inconsciamente, che mio marito mi tradiva, ma mi ero inventata un uomo affettuoso, gentile e non avevo voglia di vedere la realtà. Nel mio nuovo mondo, invece, un giorno ho incontrato Raul, un ragazzo indiano che vende rose nei ristoranti. Eravamo tutti e due affamati e senza soldi: il romanticismo non va di moda e le rose non si regalano più. Abbiamo parlato un po’ e mi è venuta l’idea di scrivere delle piccole poesie e di legarle ai gambi delle rose. Alla fine della serata, Raul aveva venduto tutte e cinquanta le rose: abbiamo festeggiato con una pizza e mi sono sentita tanto felice. Ora Raul è mio amico, forse l’unico che abbia mai avuto.

Il tempo era volato: Marina aveva ascoltato la storia senza fiatare e si sentiva un po’ confusa. Spesso quando era sola in casa si rammaricava di non poter vivere una vita come quella di Clara, fatta di mille impegni, con uno stipendio importante e con la possibilità di frequentare negozi di lusso. Ad un tratto i suoi pensieri furono interrotti dalla voce della sua nuova amica.

- Fino ad ora ho parlato solo io, perché non mi racconta un po’ di lei? – le disse.

- Io non ho molto da raccontare. – rispose Marina – La mia vita pur essendo piena di impegni è abbastanza noiosa: ho due figlie, un marito e una casa da gestire. La mia giornata si svolge prevalentemente tra le mura domestiche ed è in funzione delle necessità delle mie figlie. L’unico svago che mi concedo è di svegliarmi la mattina presto, prima di tutti, per leggere romanzi di narrativa, che sono la mia passione. Un altro mio interesse è la cucina e domattina, dopo aver accompagnato le bambine, le porterò una torta che potrà condividere con Raul.

- Grazie mille! Sarò molto felice di assaggiarla. – rispose sorridendo Clara – Mi permetta di darle un consiglio: secondo me la sua vita non è noiosa, anzi, se fossi stata fortunata come lei, sicuramente non avrei abbandonato tutto. Ha solamente bisogno di uno spazio tutto suo: un lavoro part time per esempio.

La conversazione si fermò per pochi istanti, che alle donne, entrambe assorte nei loro pensieri, sembrarono un’eternità.

Clara interruppe il silenzio porgendo a Marina il suo quaderno.

- Tenga, visto che le piace leggere. – le disse – Queste piccole storie sono nate nei momenti più tristi della mia esperienza e mi hanno aiutato a superarli. Può tenere il quaderno, me lo riporterà domattina insieme al dolce che mi ha promesso. Ora, mi dispiace, ma la devo lasciare.

Clara prese lo zaino e con un cenno della mano salutò Marina. La donna rimase un po’ interdetta per quel saluto frettoloso, ma era veramente molto tardi e anche lei doveva rientrare a casa.

Mentre percorreva la strada di casa Marina pensava alla storia di Clara che le faceva venire in mente una gabbia dorata. Soddisfazioni, soldi, tutto all’apparenza era perfetto, c’era però un piccolo neo: la sua amica era schiacciata dall’ipocrisia e non era felice.

- Ma che cos’è poi la felicità? – si chiese Marina – Io sono felice? Sarei capace di abbandonare tutto e vivere di espedienti?

Si sentiva confusa, erano domande che non si era mai posta e non riusciva a capire perché ora l’aggredivano tutte insieme lasciandola senza fiato.

Poi il suo pensiero corse al quaderno.

- Chissà cosa ci sarà scritto? – si chiese allungando il passo – Leggere le riflessioni di Clara mi aiuterà a rispondere ai miei interrogativi?

Arrivata a casa si tolse la giacca, s’accomodò sulla sua poltrona preferita e si mise a leggere. Erano brevi storie, piccole poesie senza rima e la più bella parlava del cielo. Raccontava di come il cielo narra, a chi lo sa osservare, antichi misteri, nascondendo nelle sue sfumature d’azzurro, sia la storia passata che il presente.

Marina, completamente assorta nella lettura, non si era accorta che era tardissimo e fu il rintocco dell’orologio a pendolo del salotto a ricordarglielo. Ripose il quaderno nel cassetto del comodino e si rammentò che aveva mille faccende da sbrigare: la lavatrice, il pranzo e poi doveva riprendere le figlie a scuola e all’asilo.

Nel pomeriggio mentre le piccole facevano i compiti, cucinò la torta da portare a Clara.

Le bambine, incuriosite, le chiesero per chi fosse il dolce.

- Per una mia nuova amica che ho conosciuto ieri mattina – rispose – è molto simpatica e presto ve la presenterò!

La mattina seguente Marina preparò le figlie come al solito, cercando di ignorare i soliti capricci, perché aveva voglia di rivedere Clara: le voleva parlare delle sue storie e farle sapere che le erano piaciute tantissimo.

Fu molto dispiaciuta quando giunta sotto il grande albero non ci trovò nessuno. Si sedette su una panchina nella speranza che la sua nuova amica arrivasse: si guardava intorno e aspettava, ma aveva la sensazione che non l’avrebbe più rivista. Aspettò per circa un’ora, poi decise di raggiungere il convento di suore che si trovava dietro l’angolo, dove sapeva che spesso aiutavano i bisognosi.

- Mi scusi per il disturbo – disse alla Madre Superiora che l’accolse con gentilezza – Ieri mattina ho conosciuto la signora Clara, la senzatetto che porta sempre con sé uno zaino fiorito e si rifugia sotto il grande albero nel parco. Le avevo promesso questa torta e dovevo restituirle un quaderno, ma stamattina non c’è. Non vorrei che le fosse successo qualcosa…

La Madre Superiora la fece accomodare

- Clara è molto intelligente – rispose – Ha capito che non trovandola al solito posto sarebbe venuta a cercarla qui da noi e così le ha lasciato un biglietto. E’davvero una donna con una storia particolare e parlandoci si rimane affascinati dal suo carattere: aspetti un attimo, vado a prendere il messaggio che le ha lasciato.

La suora ritornò con il biglietto e glielo consegnò.

“Cara Marina – c’era scritto – sono molto felice di averti conosciuta e sono sicura che se continuassi a vederti mi affezionerei a te e con la vita che faccio non me lo posso permettere. Spero che le mie storie ti siano piaciute, sono una parte di me. Le puoi tenere, così quando le leggerai mi ricorderai e sarà come stare ancora un po’ insieme. Non ti lamentare della tua vita: hai due bellissime bambine, un tesoro che io con tutti i miei soldi non ho mai avuto. Spero di rivederti. Un caro saluto, Clara”.

Marina rimase in silenzio con una gran voglia di piangere. Ringraziò la Madre Superiora e le porse la torta.

- Questa – le disse – se non ha nulla in contrario gliela lascio. E grazie di cuore per avermi ricevuto.

- Grazie a lei! Si vede subito che è una persona molto sensibile: può venire a trovarci quando vuole. Arrivederci!

Da quella mattina Marina andò al convento una volta alla settimana per dare una mano a chi aveva bisogno ed ogni volta sperava di rivedere i riccioli bianchi e lo zaino fiorito della sua amica Clara.

 

Stefania Bicci