I sogni non si perdono mai

Le canne acquatiche, le erbe della riva, i piccoli cespugli di salici e gli alberi grandi videro giungere anche quella domenica di settembre la signora vestita di bianco.

Rebecca camminava lungo la riva e pensava che nel corso della vita tanti sono gli avvenimenti che passano sopra le nostre teste, tanti altri ci incrociano e ci costringono ad adattarci al nuovo corso. Non è sempre facile, perché la capacità di adattamento dipende da tanti fattori ed è diversa per ciascuno di noi. Incroci piacevoli o pericolosi sono ogni giorno in cammino a chiederci di partecipare alla vita.

Era un’insegnante di matematica e due volte a settimana dopo cena correggeva i compiti dei suoi ragazzi. Li amava e un sorriso speciale la illuminava quando li riconosceva ad uno ad uno nei fogli che stava correggendo. Era per lei un dispiacere sottolineare con dei segnacci rossi quello che non andava, ma in fondo al compito scriveva sempre una frase di incoraggiamento. Era una donna speciale: capelli biondo cenere, occhi neri, denti bianchi e splendenti come perle di fiume, che sembravano però aver dimenticato come si sorride. Non passava inosservata: aveva un’andatura decisa e dolce insieme, tanto che si portava dietro lo sguardo discreto e compiaciuto di uomini e donne. L’insegnamento era da sempre la sua passione e da piccola metteva in fila i suoi amichetti, pretendendo di far loro lezione.

Quella sera, dopo uno sguardo alla sua solitudine e alla tavola da sparecchiare, pensò che sarebbe stato bello correggere anche la sua vita con un segno rosso e riscrivere tutti i sogni. Ma sapeva che era  inutile avercela con il mondo intero.

- Per troppo tempo ho avuto paura dei ricordi – pensò – Devo tornare sulla riva del lago, vestirmi come quella sera e riprendere a suonare. L’immaginazione è un orizzonte che non ha mai fine e per questo voglio vivere ogni pensiero con gioia.

Aveva studiato lunghi anni il bagpipe, uno strumento insolito per una ragazza. Amici e parenti avevano riso e fatto battute su questa sua passione, ma non c’era stato nulla da fare. Ogni giorno, dopo la lezione, si recava lungo le rive del lago a suonare e quando si accorgeva che le canne acquatiche e le erbe della riva faticavano a tenere su i loro steli, le abbracciava con uno sguardo, faceva loro un inchino e poi tornava a casa appagata e felice.

Conosceva la magia del suo strumento e sapeva che avrebbe fatto accorrere tutti gli abitanti del lago per far dimenticare loro gli affanni del quotidiano e li avrebbe condotti a visitare la montagna dove il pifferaio aveva nascosto i bambini. Ora al suo interno c’erano tavoli con vino e frutta a volontà, spaghetti lunghissimi per fare collane colorate o bianche e sfoglie di pasta dolce con tanta ricotta e  cacao. Il folletto, che era sempre sulla sua spalla, ne era sicuro, aveva parlato con i cespugli e le erbe. Le canne avevano promesso di rimanere in piedi in silenzio e le cicale di imparare un canto più melodioso.

Intanto la vita di tutti i giorni aveva le sue esigenze e per quella sera aveva sognato abbastanza: i suoi ragazzi avevano diritto ad una insegnante presente in tutti i sensi. Così chiuse il registro con i compiti.

- Buonanotte Ten.

- Buonanotte Rebecca – rispose il folletto che moriva dal sonno.

Ben presto si ritrovarono nel sogno, stavano leggendo i quotidiani e non erano felici.

- Caro Ten non c’è soluzione ai mali del mondo, cambiano i metodi, ma gli uomini non finiranno mai di combattersi con le armi o con le economie e saranno sempre in lotta tra di loro.

- Mi piacerebbe risponderti il contrario, ma purtroppo anche io sono del tuo parere: da una parte guerre sanguinarie, dall’altra guerre di potere e di soldi. Scorri altre pagine Rebecca, non te lo dico perché sono superficiale, ma il sonno deve essere ristoratore, ci aspetta il cammino del giorno,  dobbiamo essere più sereni.

- Tu sei sempre quello saggio tra noi due. Sai che ti dico? Questo giornale ha troppe pagine, mi confonde! Dimmi tu come vanno le vie del mondo, così domani lo racconterò ai miei alunni.

Il cuscino affondò tutti i pensieri e quella notte i sogni dormirono tranquilli.

Rebecca si alzò prestissimo e subito le vennero in mente le due sue colleghe, ancora precarie da ben quindici e venti anni. Il sorriso, che aveva rivolto al sole del primo mattino e al suo strumento poggiato ai piedi del letto, si fermò per un attimo sull’orlo di una smorfia triste, ma subito riprese la speranza e la lotta che ormai non l’abbandonavano più.

L’appartamento di Rebecca era in periferia, in un palazzo dignitoso, ma troppi erano i piani da salire e scendere e l’ascensore era quasi sempre in riparazione. Per fortuna il portiere era così gentile che aveva preso l’abitudine di aprire la porta della terrazza del palazzo vicino, così gli inquilini facevano quel percorso, che per Rebecca si era rivelato fantastico: la mattina era più vicino al sole e la sera toccava le stelle.

Appena sulla strada, si avviò con passi veloci verso la sua automobile, la ringraziò e si mise alla guida, attività questa che la rilassava. Arrivò prima che la classe e tutta la scuola si animassero delle voci dei ragazzi, si sedette e aspettò, come fosse il primo giorno, quel chiasso festoso che subito la metteva di buon umore. Ne aveva bisogno da quando si era imposta di tornare sulla riva del lago per suonare e alternava momenti di gioia e malinconia, ripensando alla sera del suo debutto nel piccolo teatro di quartiere. Aveva scelto il vestito con molta cura, un trucco leggero e passato ore ed ore ad esercitarsi a suonare “Flower of Scotland”. Poi aveva ascoltato il brano eseguito da grandi professionisti e si sentiva sicura di riuscire ad incantare il pubblico. La sala era strapiena, molti erano in piedi appoggiati alle pareti. Non era nemmeno sfiorata dall’emozione della “prima”, solo un po’ di sudore ed era certa di chiudere la sua esibizione con grandi applausi e richieste di bis.

Lentamente si erano aperte le tende del palco e lei si era mossa con il garbo che la scena richiedeva. Si era guardata intorno: non vedeva il pubblico nel buio della sala e sentiva sul viso una luce calda, troppo calda. Il sudore da leggero era divenuto come lacrime copiose, non riusciva a soffiare nel suo bagpipe e le mani sembravano di legno. Panico. Ten non riusciva ad asciugare quel mare e inutilmente le massaggiava le dita. Il pubblico aveva aspettato con pazienza, poi, dopo parecchi minuti, aveva iniziato ad agitarsi sulle sedie, fino ad alzarsi e sparire, dimostrando di aver capito ciò che stava succedendo, senza diventare scortese.

Rebecca si era avviata a piedi, con il suo strumento tra le mani e la gente per strada guardava con curiosità quella ragazza vestita da sera che camminava lentamente a testa bassa, trascinando uno strano strumento. A casa aveva evitato di guardarsi allo specchio, non voleva vedere ciò che c’era nei suoi occhi. Da quel giorno aveva allontanato dai suoi pensieri e dai sogni la voglia di suonare. Il bagpipe era ai piedi del letto.

- Basta con le scorciatoie – si era detta un giorno – non è il destino che modifica il mio cammino o le circostanze, riafferro i contorni della mia vita e riprendo a suonare. Per prima cosa, farò una passeggiata al lago.

Intanto la classe si era animata. Gli alunni entrando la salutarono, posarono gli zainetti sul tavolo e attesero da Rebecca la valutazione dei compiti.

- Buongiorno ragazzi, oggi è una giornata speciale: vi parlerò di una montagna, di una porta magica e di uno strano strumento che vi farà da guida.

Il folletto strizzò gli occhi e si compì la magia, poi aiutò Rebecca a indossare il bagpipe e con tutta la classe presero la strada del lago. Fra i ragazzi, per colmare il tempo e fuggire il silenzio, le domande alimentavano altre domande. In quei giorni di settembre un sole limpido accarezzava le foglie che rotolavano a terra, mentre un venticello leggero e fresco faceva oscillare i rami. Rebecca  scandiva l’andatura di tutto il gruppo e ad ogni passo sembrava spingere fuori la felicità, che poi si srotolava sull’erba dando il via a quel sorriso che i suoi allievi amavano tanto.

Sembrava che tutti avessero compreso il segreto che rende lieto il quotidiano. Ragni, grilli ed altri insetti abitavano in gran quantità il cammino, ma nessuno ne aveva paura, perché erano al loro posto: la tela si stendeva da ramo a ramo e i ragazzi stavano attenti a non disturbare i tessitori.

Rebecca suonava la sua melodia preferita e il corteo ad ogni nota diventava sempre più lungo, fino a quando la scuola restò deserta. Al loro passaggio i fiori erano eccitatissimi: i papaveri diventarono rossi rossi, le margherite impallidirono per l’emozione e l’erba alta si fece tappeto morbido per quei ragazzi stupiti e orgogliosi di far parte della storia. Il riccio teneva a freno con fatica i suoi aculei, che per l’eccitazione schizzavano da tutte le parti, ma dopo aver pregato il signore degli animali si acquietò e tutti riuscirono ad accarezzarlo senza pungersi.

Non si accorsero di essere arrivati ai piedi della montagna in mezzo al lago, fin quando l’insegnante non smise di suonare.

- Ragazzi! – disse loro – Ora prendetevi per mano e fate attenzione perché la porta è stretta e non troppo alta: entrate in fila indiana, ma non temete perché all’interno l’ordine si farà da solo.

E così fu. La grotta sembrava piccolissima e gli studenti erano tanti, ma la stanza si allungava e si allargava ogni volta che entrava uno di loro. C’erano tavolini apparecchiati a dovere: posate di legno, piatti e bicchieri di vetro trasparente, una brocca e salviettine di lino.

Ma era tutto vuoto, non c’era niente da bere o da mangiare e così i ragazzi rivolsero uno sguardo interrogativo a Rebecca.

- Sedete e pensate al percorso che abbiamo fatto – disse loro la donna – mettete in tavola uno dei vostri giorni più belli e i sogni che verranno.

Così fecero e quando si addormentarono, i loro sogni presero vita.

- Il mio giorno più bello è stato quando la mia mamma, entrata in casa con un batuffolino, mi aiutò a tenerlo in braccio per qualche minuto. Scoppiavo di gioia e di emozione: ricordo di aver fatto di corsa il giro del tavolo più e più volte.

Tutti convennero che quello era stato sicuramente un giorno molto bello.

- Tempo fa ho chiesto alla mia mamma di raccontarmi il giorno in cui sono nata. Era una giornata splendida, l’azzurro del cielo sembrava non finire mai, lei sentiva il mio viso premere per essere accarezzato e io avevo una gran voglia di farmi ammirare. Sono qui, urlavo, fatemi posto e lei, con un sorriso e un grido di gioia un po’ più forte, mi ha dato posto nella vita.

Nel sogno ognuno raccontava il proprio giorno più bello, ma tutti furono d’accordo nell’ammettere che niente è più bello di quando il papà e la mamma si avvicinano per la sveglia e si fa finta di dormire, finché una carezza o un bacetto sfiorano la fronte e magicamente fanno aprire gli occhi.

Si accorsero di aver colmato la tavola con i loro racconti, i sogni ormai traboccavano da tutte le parti e il suono del bagpipe continuava ad alimentare l’incanto di quella mattinata particolare.

Poi il silenzio. Alzarono la testa dal banco, si stropicciarono gli occhi e si guardarono attorno: erano  in classe, anche la maestra era al suo posto e nulla faceva pensare che si fossero allontanati.

- Ragazzi allora? Sembra che abbiate visto un asino volare! Sto leggendo i vostri lavori e vi prego di prestare più attenzione.

- Maestra e il suono del bagpipe? Il lago? I nostri sogni? Non li vogliamo perdere!

- Se farete attenzione ai particolari, se conterete pure le nuvole, nessuno ruberà i vostri sogni, ma se lascerete passare un po’ di quello che al momento sembra insignificante, vi accorgerete di aver perso, insieme ai sogni, la libertà a causa di qualche abile mistificatore. State attenti a voi stessi e non traditevi mai.

Ten applaudiva e il sorriso andava da un orecchio all’altro mentre saltellava sulle spalle di Rebecca, come solo un folletto sa fare.

- Adesso prendo il mio bagpipe e insieme percorreremo la strada che avete sognato, perché i sogni sono la nostra realtà più vera. Credeteci!

I ragazzi si alzarono e seguirono quella melodia come nel sogno. La scuola poco a poco rimase deserta. Nulla era cambiato: riconobbero la strada, i ragni avevano terminato la loro tela e gli insetti data l’ora se ne stavano tranquilli tra l’erba. Lungo il percorso erano i pensieri a far loro compagnia e riflettevano su quella giornata iniziata come tante altre, poi divenuta speciale. A pochi passi c’era il futuro e sì, perché i sogni riguardavano la loro vita futura. In  prossimità della porta, le papere del lago al loro avvicinarsi starnazzarono così forte da coprire la musica e i pensieri. Risero di gusto ed entrarono per verificare che tutto fosse rimasto intatto, ma qualcuno si era divertito a fare confusione. Ci fu un momento di sconforto.

- Chi è stato?

- La sorte si è divertita a mischiare le carte – rispose la maestra – ma i  sogni non si perdono mai. Se avrete pazienza e voglia di realizzarli, saranno loro stessi a venirvi incontro e vi apparterranno per sempre. Cresceranno come un’erba indomabile e realizzato un sogno, un altro si riprodurrà nel segreto del vostro cuore. Abbiate sempre in mente la vostra vocazione e non le sbarrate la strada. Qualunque controversia vi capiti, ricordate che fa parte del gioco e contribuirà ancor di più alla voglia di andare avanti.

 

A quelle parole la fiducia prese il posto dello scoraggiamento iniziale e tutto avvenne come doveva avvenire. Guardarono quella signora vestita di bianco che aveva ripreso a suonare ed ebbero la netta sensazione di avere ricevuto la lezione più grande della loro vita. 

 

Carla De Angelis