Il carnevale di Cappuccetto Rosso

Era l’appuntamento fisso di tutte le mattine, prima di varcare il portone della scuola. L’oggetto del suo desiderio si trovava al di là di una lastra di cristallo, la vetrina del negozio dove si poteva realizzare il suo sogno di possedere una tavola a quattro ruote, uno skateboard, di gran moda tra gli adolescenti del quartiere. L’insistenza di Ariel aveva sconfitto i ripetuti dinieghi della mamma e finalmente era riuscita a spuntarla: oggi il suo sogno sarebbe diventato realtà!

Quello stesso pomeriggio si sarebbe presentata al parco con uno skate rosso fiammante, indossando il caschetto protettivo, e l’adorata felpa rossa col cappuccio, dalla megascritta sulla schiena: “I love skater”.

La contropartita pretesa dalla mamma, non era delle più onerose. Ariel aveva dovuto promettere di essere più costante nello studio e di intensificare le visite alla nonna, che era rimasta l’unica abitante di una villetta bifamiliare, nella periferia di Monza. La palazzina non distava molto dal loro quartiere, ma rimaneva un po’ isolata rispetto al centro della città, e questo destava non poca preoccupazione in famiglia. La vita quotidiana di Ariel era felice. Dopo la scuola e i famigerati compiti, se la mamma non aveva piccole commissioni da affidarle, due volte alla settimana aveva il permesso di andare a giocare nel parco sotto casa sua. Quel pomeriggio Ariel era al settimo cielo e fece il suo esordio nel parco sfrecciando sulla pista, guardata con ammirazione dalla banda degli skater. Lei fino ad allora era conosciuta come la bambina del martedì e del venerdì, l’immancabile spettatrice delle loro acrobatiche evoluzioni. La sua esibizione riscosse un grande successo e tanta simpatia, facendole ottenere la nomina di mascotte ufficiale del gruppo. Le assegnarono, come a ogni membro che si rispetti, un soprannome e fu così che da allora, nel mondo degli skater Ariel venne chiamata Cappuccetto Rosso.

Sul calendario l’immagine del Monte Bianco inaugurava il mese di febbraio e una pioggia di stelline colorate danzava intorno al numero venticinque. Un altro desiderio di Ariel si avverava: il carnevale aveva aperto i battenti ed iniziavano i giorni più folli dell’anno da vivere come in una fiaba. La bacchetta magica del carnevale le permetteva di rubare per pochi giorni l’identità della sua eroina preferita: Trilli la fatina, l’amica inseparabile di Peter Pan. La mamma, da parte sua, si era impegnata al meglio. Il vestitino di panno verde si apriva a campana in petali di tulipano impreziositi da inserti in tulle e pizzo. Un paio di ali fissate sul cappottino a mantella brillavano in controluce donando al costume un indispensabile tocco di leggerezza. Un soffio di ombretto verde, i lunghi capelli biondi raccolti in un grazioso chignon e via più veloce della luce! Ariel non vedeva l’ora di incontrare il suo Peter Pan. Entrò nel parco sopra lo skate veloce come il vento, tra i fischi compiaciuti di tutta la banda. Oggi non era Cappuccetto Rosso, ma Trilli la fatina. Il tempo passa veloce quando la compagnia è piacevole e Ariel si ricordò in un lampo della promessa fatta alla mamma di andare in taxi a casa della nonna, dove più tardi si sarebbero ritrovate. Però c’era ancora luce, la giornata era mite e a bordo del suo skate avrebbe impiegato una ventina di minuti. Conosceva tutte le scorciatoie, altro che taxi! E senza pensarci un attimo si avviò.

Quando imboccò il vicolo, erano ormai calate le prime ombre della sera. Un lampione gettava la sua fioca luce sugli ultimi cento metri che mancavano alla meta. Il silenzio che regnava sovrano era turbato solo dal rumore delle quattro ruote che rollavano sul selciato. Poi accadde tutto senza preavviso. Quando la figura mascherata si materializzò dal nulla, Ariel si sentì schizzare il cuore in gola. Non riusciva a respirare e quando aprì la bocca per urlare, non riuscì ad emettere suono: era come paralizzata da quei due occhi che la fissavano come lune inchiodate.

Poi pian piano Ariel riacquistò quel minimo di sangue freddo, necessario a mettere a fuoco il personaggio che aveva di fronte. Il suo aspetto era inquietante. Aveva orecchie a punta ricoperte da una peluria fulva che incorniciava gran parte del viso, da cui spuntavano delle corte vibrisse. Le maniche del suo frac coprivano dei guanti pelosi, rossicci come i villosi doposci che portava ai piedi. La sua folta coda spazzava nervosamente l’asfalto.

– Ciao baby, sei uno schianto! – disse atteggiando le labbra a un sorriso scanzonato – Il tuo costume è fantastico! Fammi indovinare: sei Trilli la fatina di Peter Pan! E secondo te io chi sono? Dai è facile, appartengo come te al magico mondo delle fiabe…

La voce gentile del ragazzo dissipò in Ariel ogni ombra di paura e quel complimento aveva fatto vibrare le corde della sua vanità.

- E il gatto dove si nasconde? – disse sorridendo – Sei la volpe della favola di Pinocchio!

- Brava Trilli, sei proprio una ragazzina in gamba! Ma dimmi a cosa devo l’onore del nostro incontro?

La mamma si raccomandava sempre di non parlare con gli sconosciuti, ma Ariel decise di fare uno strappo alla regola

– Mia nonna soffre di solitudine e io ho il compito di tenerle compagnia – rispose

- Ti accompagno – disse la volpe – È buio e questa è una zona pericolosa.

La ragazza accettò senza pensarci un attimo, scese dallo skateboard e si incamminarono.

Quando arrivarono, Ariel vide la luce accesa nell’appartamento della nonna. Ringraziò il suo gentile cavaliere dalla lunga coda, ma mentre varcava il portone, un losco figuro travestito da gatto le strappò dalle mani il suo skate e scappò a gambe levate. La volpe senza perdere tempo, si lanciò all’inseguimento del ladro, ed urlò ad Ariel di entrare in casa. Ci avrebbe pensato lui al ladro: sarebbe tornato vittorioso e le avrebbe restituito il maltolto.

Dopo pochi minuti la nonna accolse tra le braccia l’adorata nipote che tra i singhiozzi le raccontava l’accaduto.

Il sogno era stato rubato, forse per sempre: la mamma non le avrebbe concesso nessuna attenuante, aveva tradito la sua fiducia. Se solo avesse preso il taxi! Questi erano i pensieri di Ariel mentre con il naso schiacciato dietro il vetro della finestra, aspettava di veder comparire il suo paladino. L’attesa non fu vana: lo skate era salvo! L’urlo di gioia di Ariel contagiò la nonna, la quale ben lieta di porre fine alla disperazione dell’amata nipotina, senza pensarci due volte, aprì con il cuore la casa al gentile ragazzo. La cosa certa è che non videro il ghigno maligno che si dipinse sul volto della volpe, mentre entrava nell’androne della palazzina disabitata. Nel frattempo, nascosto nella viuzza, il losco figuro, travestito da gatto, si sfregava le mani soddisfatto della propria esibizione. Ariel al settimo cielo aspettava sul ballatoio. Tutto si stava sistemando, che bellezza! Forse la nonna avrebbe tenuto segreta l’incresciosa vicenda. Solo quando varcarono la soglia di casa, la volpe estrasse, dalla sua folta coda, un coltello. Per la seconda volta Ariel si sentì gelare il sangue. Quando la nonna vide minacciata la nipotina, non oppose resistenza: tutti i desideri del malvivente diventarono i suoi. Così la sua pensione sfumò e nemmeno il faccino supplichevole di Ariel riuscì a smuovere il cuore arido della volpe, che pensava solo a rimpolpare il bottino.

La mamma di Ariel parcheggiò la macchina sotto la palazzina: le tende della finestra erano scostate e la luce del lampadario illuminava l’interno. Quello che vide non le piacque per niente.

- Per fortuna sono appena smontata dal servizio. – pensò.

Si toccò il giubbotto e mai come in quel momento fu felice di sentire nella fondina la beretta 92 FS. Salì le scale con circospezione: la cosa più importante era rimanere calmi. Raggiunse l’entrata. La porta era socchiusa e questo giocò a sua favore. La volpe rimase completamente spiazzata: che fine aveva fatto la sua “spalla” felina? Quell’attimo di sorpresa gli fu fatale. La mamma di Ariel, con una mossa da manuale, disarmò il malvagio e l’ammanettò al calorifero della cucina.

La nonna, travolta dalle forti emozioni, cadde a terra colpita da malore: furono istanti concitati, pieni di tensione. Appena riprese un minimo di controllo, sentì il bisogno impellente di allontanarsi da quelle mura e così la figlia e la nipotina l’accompagnarono a fare una passeggiata. L’aria fresca della sera le diede nuova vita e in fin dei conti, un giretto intorno alla palazzina non avrebbe potuto cambiare il destino riservato al furfante.

Crogiolandosi nella propria beatitudine, il losco figuro travestito da gatto, non aveva rammentato il famoso detto “non dire quattro se non l’hai nel sacco”! Beandosi della sua eccellente “performance”, aveva preso “sotto zampa” l’imprevedibilità del destino. L’ovvio finale programmato dai due ladri era crollato come un castello fatto di carte per colpa sua e adesso doveva riprendere la situazione in mano se voleva riscattare il suo grossolano errore. La volpe era lì, la vedeva ammanettata al calorifero. Ora che la piccola e le due donne si trovavano fuori a smaltire l’adrenalina accumulata era il momento di agire.

Poco distante Ariel raccontava alla mamma come si erano svolti i fatti: il furto dello skateboard, sottratto dal figuro travestito da gatto, l’abile recupero da parte della volpe e la sua lodevole premura di riconsegnarlo personalmente a casa della nonna. Improvvisamente nella mente della donna si accese una lampadina: quel delinquente aveva dunque un complice! La mamma di Ariel impose alla figlia e alla nonna di restare ben nascoste, mentre lei raggiungeva la palazzina. Accarezzò la sua beretta e fu proprio in quel momento che ricordò di avere lasciato le chiavi delle manette sul tavolino d’ingresso.

Quello che trovò al suo rientro, furono solo due costumi di pelo abbandonati vicino al calorifero e null’altro.

Malgrado l’incresciosa vicenda, le giornate ripresero il loro corso: il costume di Trilli fu riposto in alto nell’armadio e Ariel rientrò nei panni della mascotte ufficiale del gruppo degli skater.

Cappuccetto Rosso con la sua felpa rossa sfrecciava nel parchetto sotto casa. A prima vista sembrava la stessa ragazzina di un paio di mesi addietro, ma in realtà quell’esperienza le era servita. Ariel aveva in sé una consapevolezza diversa. La sua beata incoscienza l’aveva vista artefice e vittima della sua irresponsabilità. Quando Ariel capì di aver esposto a serio pericolo la sua vita e quella della nonna, provò un grande senso di colpa. Fu ancora una volta l’aiuto della mamma a ricondurla fuori da quello stato di prostrazione. Non ci furono rimproveri, solo una lezione di vita. Il discorso della mamma fu chiaro: era arrivato il momento di crescere, doveva essere in grado di riconoscere ciò che era bene e ciò che era male. È anche vero che ciò che non si conosce può incuriosire, ma solo il buon senso può aiutarci a distinguere le situazioni pericolose. Ora Ariel si sentiva più vicina al mondo dei grandi e una cosa l’aveva imparata: non bisogna fidarsi mai degli sconosciuti.

L’ora legale regalava un’ora in più di luce. Ariel e i suoi amici erano alle battute finali della giornata, ancora due volteggi sullo skate e poi tutti a casa. Un passante si fermò ad osservarli, ammirato rivolse in particolare un complimento ad Ariel. Cappuccetto lo ringraziò gentilmente, mentre l’uomo si allontanava pensando tra sé: “ Trilli, sei proprio una brava skater!”

 

Lorella Miorali