Il colore dei fiori di ciliegio

Quell’anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto e le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe, pronte per essere raccolte.

Marina era seduta sulla panchina di un parco, non molto lontano dell’appezzamento di terra di suo padre. La primavera era finita, e lei stava maturando come il grano dei campi che appartenevano alla sua famiglia. I suoi erano proprietari terrieri. A Marina non mancava nulla, tutto corrispondeva nella sua vita: l’università, i suoi esami, la vicina laurea, gli amici, tutto era appagante, tutto combaciava come le parti di un bel quadro dai colori sgargianti. Tutto tranne qualcosa. Una piccola parte del dipinto era grigia, fuori posto, in contrasto con il sole giallo e splendente di metà giugno.

Quel giorno, tra i tanti libri nella sua borsa, ne custodiva uno di meditazione zen, che lei amava particolarmente. Ricordandosi di un impegno a cena con gli zii, si alzò di scatto dalla panchina e le cadde a terra il libro di meditazione, che si aprì a pagina centoquarantadue, dove non era ancora arrivata con la lettura. Per caso, si ritrovò tra le mani un dipinto con sopra raffigurati due ciliegi in fioritura, quella fioritura primaverile che la stagione del suo cuore non aveva ancora incontrato.

La sua attenzione si concentrò sopra poche righe che narravano una leggenda zen di un anonimo giapponese.

Iniziò a leggere: <<Due ciliegi innamorati, nati distanti, si guardavano senza potersi toccare. Li vide una Nuvola, che mossa a compassione, pianse dal dolore ed agitò le loro foglie, ma non fu sufficiente, i ciliegi non si toccarono.

Li vide una Tempesta, che mossa a compassione, urlò dal dolore e agitò i loro rami, ma non fu sufficiente, i ciliegi non si toccarono.

Li vide una Montagna, che mossa a compassione, tremò dal dolore e agitò i loro tronchi.

Nuvola, Tempesta e Montagna ignoravano che sotto la terra, le radici dei ciliegi erano intrecciate in un abbraccio senza tempo>>.

Amore. La prima cosa che quella lettura le strappò, fu un’espressione di malinconia. Marina non aveva ceduto mai all’amore. E l’unica volta che si era lasciata andare e aveva spaziato, anche se poco, sopra questo enfatico nome, così “grande” per lei, così monumentale e quasi irraggiungibile, come la grande montagna del racconto, ed aveva ceduto all’affezionarsi ad una persona, ne era rimasta delusa.

L’unico ragazzo che aveva mai avuto era stato il suo ex-vicino di casa, il figlio dei suoi vicini di casa, di nome Sandro. Lui era dolce, carino, gentile e lei aveva finito per volergli bene, ma mai per amarlo veramente di quell’amore e di quella passione che non tramonta mai, a cui ognuno di noi è da sempre destinato. Quella storia finì, quando il giovane Sandro partì per il militare. La lontananza li divise, due anni erano tanti...

Tanti a tal punto che poi Sandro non tornò più a casa, i due si divisero e lui trovò una nuova ragazza al nord, con cui si sposò e fece due figli. Marina non aveva mai pensato di sposarlo, ma quando seppe, a distanza di tempo, che lui non sarebbe più tornato a casa, e che, dopo che lei aveva smesso di scrivergli le solite lunghe lettere, lui aveva riposto i suoi sogni in un’altra ragazza, le era sicuramente dispiaciuto.

Il “folle amore” per il suo ex ragazzo-amico era scoppiato sì, ma per un’altra donna. Fu un brutto colpo comunque, per Marina appena ventenne.

Quello che l’esperienza amorosa le aveva lasciato era una piccola, ma non indifferente ferita, quella di non essere stata così speciale per l’unico uomo a cui aveva dato attenzione e una parte del suo cuore.

Rapita da questi pensieri dolorosi, si destò di nuovo, ed ora la sua attenzione cadde sul suo orologio. Cercò di scrollarsi di dosso, a fatica, il fiume di pensieri melanconici che l’avevano assalita, e sospirò con un piccolo luccichio negli occhi: quella era una piccola lacrima trattenuta, un briciolo di diamante, nella miniera dei suoi ricordi.

Pensò: <<Ma ora basta perdersi nella fantasia, bisogna stare con i piedi per terra per vivere! “Amore”, quest’amore di cui tutti parlano, fantasticano, sognano, che sarà mai! Ci sono altre cose importanti, come gli studi, la laurea, la carriera! E poi non tutti siamo destinati alla stessa cosa, ormai i tempi sono cambiati e l’educazione di noi ragazzi dovrebbe essere più adatta ai tempi...Qui, nella modernità niente è eterno, e quello che conta dovrebbe essere qualcosa di più concreto, come il lavoro!>>.

Cercò in tutti i modi di tornare in sé, con tutta una serie di argomenti pertinenti, chiudendo le barricate di dubbi che l’assalivano.

Ma quella storia zen, i due ciliegi, letta in un giorno qualunque, le bruciava sulla pelle come una scottatura che non voleva guarire.

Sì i due ciliegi, che si sono sempre amati, cercati, voluti, che erano da sempre destinati al loro amore, alla parola “due”, l’avevano scossa.

“Due”, proprio due, e non uno o tre, era una parola spigolosa, che come un mattone cercava di inserirsi nella sua immaginazione, cercava di farsi accettare a tutti i costi, ma invano. La “Marina razionale” voleva mettere un freno nella sua psiche. Eppure la pedina ormai si era mossa nella scacchiera della sua emotività, che ora stava cambiando direzione, anche se solo inconsapevolmente: il desiderio di aprire quel lato sconosciuto di sé, che lei tanto voleva allontanare, bussava alla porta dei suoi sogni, sempre più violentemente.

Ma erano le diciannove e trenta! Era praticamente in ritardo per la cena a casa di zia Antonia, la sua zia preferita! Aveva dato la conferma che sarebbe andata, i suoi genitori non glielo avrebbero perdonato se fosse mancata. Così si mise a correre, uscendo dal parco, dove era abituata a trascorrere il tempo nei lunghi pomeriggi. Voleva correre sulle malinconie che avevano invaso il suo tempo, quel pomeriggio colorato solo dai due ciliegi rappresentati nel dipinto del suo manuale di filosofia zen. Con d’abito solo la sua semplicità e sensibilità e un bel paio di scarpe da ginnastica, si presentò a casa degli zii, Antonia e Gervaso , la coppia più bella che lei avesse mai conosciuto, dopo i suoi genitori. La casa sembrava una bomboniera, era infatti molto curata e ordinata , ma tra le cose ben sistemate, tra i quadri appesi, il tappeto e la tavola imbandita c’era un particolare che la colpì: una fruttiera stracolma di ciliegie mature rosse e grosse, appoggiate su di un angolo del tavolo, sopra una tovaglia gialla.

<<Zia, che cosa hai preparato di buono?>>, chiese Marina.

<<Cara>>, rispose <<Ho pensato a te e ai tuoi gusti, sono sicura che ti piacerà tutto, mi sono anche cimentata nel tuo piatto preferito: tua madre mi ha suggerito...>> .

<<Ah sì?! Non posso avere segreti con voi due...!>>, arrossì Marina.

Infatti c’era ancora un po’ di timidezza in lei: i suoi genitori e gli zii avevano una parentela di secondo grado, e si erano persi di vista in gioventù, ma l’ età matura li aveva riavvicinati, ed era soltanto un anno che si frequentavano assiduamente.

<<Zia, hai tantissimi soprammobili>> disse la giovane Marina, avvicinandosi alla grande credenza che zia Antonia aveva spostato, per fare spazio alla tavolata.

Marina notò una foto in bianco e nero, con due giovani in posa: la ragazza cercò di capire chi erano. Inizialmente non ci riuscì, ma poi li riconobbe, soffermandosi in modo più attento sui loro tratti del viso, capì che erano proprio Antonia e Gervaso da giovani! Erano vestiti con abiti che erano di moda negli anni settanta.

<<Caspita, ma siete proprio voi!>> esclamò Marina sorpresa <<E tu, zia Antonia, sembri quasi un’attrice di quegli anni! Sei meravigliosa!>>

Ora toccò ad Antonia di arrossire un po’, e con un po’ di imbarazzo, misto alla sua fierezza,  per una bellezza che era mutata nel tempo, la stessa che aveva fatto innamorare Gervaso, le spiegò: << Sì sono io, e quello è proprio zio Gervaso, con più capelli e meno pancetta!!!>>.

<<Antonia, soffermati piuttosto sulle tue differenze!>>  intervenì  Gervaso. <<Non dovrei essere così schietto>> continuò <<con le signore non si fa, ma te lo sei fatto proprio dire questa volta! Comunque è vero, che tu amore mio, anche tanti anni fa eri più bella di me... e almeno questo mi fa onore, il fatto di ammettere che la tua bellezza mia aveva rapito, sono sincero mi sembrava quasi di essere sotto un tuo incantesimo...e mi porto con me, anche dopo tanti anni, la magia del nostro incontro...!>>

Così, la zia Antonia lo abbracciò premurosa, per colorare quella parentesi così intima e a lei molto cara, e i loro ricordi iniziarono a riaffiorare...La zia prese sotto braccio sua nipote e la fece accomodare sul divano, aveva voglia di aprirsi con lei.

Le raccontò del loro primo incontro in una balera vicino al mare, quando Gervaso aveva per la prima volta incontrato i suoi occhi.

Marina venne a sapere che i due non erano stati presentati da nessuno, si erano semplicemente incontrati ballando una canzone di quel periodo, quando Antonia attraente, di una bellezza quasi disarmante, era importunata da uno scocciatore: Gervaso aveva preso la situazione in mano, e, liberandola da quella morsa sgradevole, iniziò a ballare con lei.

<<Cara Marina, devi sapere, che tuo zio è stato il mio primo ragazzo vero e proprio, prima di lui ero semplicemente attratta da un altro, ma non si realizzò mai nulla: comunque parliamo piano, che tuo zio è ancora geloso, quando riapro questo argomento, anche solo per raccontare...Allora dicevo, il mio primo amore è stato platonico e non corrisposto veramente; ed ho iniziato a credere nell’ “Amore”, quello vero, quello con la “A” maiuscola, solo dopo aver conosciuto tuo zio! Quando l’amore non dà la gioia di credere nella sua stessa natura, nella sua meravigliosa e travolgente essenza, non è amore! L’amore è appunto quello che dà: è gioia, e fa stare bene soprattutto quando ci si lega e si è ricambiati!!!>>

Marina allora ripensò al suo pomeriggio nel parco e il suo sforzo di autoconvinzione razionale contro l’amore,  che cercava di allontanarla da questa verità, che aveva espresso invece sua zia Antonia...

Ripensò ai due ciliegi innamorati e finalmente uno spiraglio di luce iniziò a farsi strada, nel suo cuore timoroso: si lasciò andare Marina, al pensiero, per lei ancora tutto da scoprire, di non dover assolutamente negarsi uno spazio ricco di gioia e di meravigliose emozioni. Cominciò col pensare che sarebbe stato come mutilare la sua giovane vita da un qualcosa di troppo bello e importante.

Rimase per un po’ assorta nei suoi pensieri; poi si allontanò da sua zia per un attimo, e non si aprì platealmente con lei, ma lasciò tutto dentro di sé a maturare, non era pronta a pronunciarsi sull’argomento, così cambiò argomento.

<<Posso assaggiare una bella ciliegia?>> chiese con sguardo sognante allo zio, che le rispose con garbo che poteva favorire <<Anche due cara Marina...!>>

<<E mi raccomando>> incalzò <<se è la prima volta che mangi ciliegie quest’anno, visto che sono una primizia, esprimi un desiderio...!>>.

Marina scelse la ciliegia più bella e con il cuore gonfio di speranza pensò tra sé:

<<Che la mia vita mi faccia vivere veramente l’Amore, che come i due ciliegi innamorati, io possa incontrarlo e viverlo senza paura, perché sento che anch’io sono destinata a incontrare la mia metà, vorrei trovare una persona a cui legarmi, e forse chissà già la conosco!

Per vivere, magari, un rapporto che vada oltre le apparenze: che io possa scoprire un legame forte, che a volte gli occhi non vedono, ingannati...>>

 

Era proprio questo che desiderava di più per sé in quel momento, e assaporando la dolcezza di una grossa ciliegia, sorrise gentilmente alla vita!