Il colore della diversità

C’era quell’albergo di un’eleganza un po’ appannata. Probabilmente era stato in grado, in passato, di mantenere certe promesse di lusso e garbo. Aveva ad esempio una bella porta girevole in legno, un particolare che sempre inclina alle fantasticherie.

Come faceva spesso, Fulvio, un giovane dalla figura imponente di circa 30 anni, si fermò ad osservare con soddisfazione la facciata dell'albergo. Capelli ricci biondo scuro, occhi azzurri con pagliuzze dorate, un sorriso radioso, il ragazzo si presentava come un concentrato di energia e di virilità che contrastava con l'aspetto un po' decadente e fuori moda dell'hotel.

E di fantasticherie Fulvio, figlio dei proprietari, ne faceva molte. Era davvero un vulcano di idee.

- Mamma, quando ci decidiamo a cambiare questo portone? Un giorno o l'altro cascherà addosso ai clienti!

La signora, per nulla somigliante al suo rampollo, cercava di calmarlo con la sua pacatezza.

- Ragazzo mio, è più prudente attendere tempi migliori: mai fare il passo più lungo della gamba!

Ma a Fulvio quell'aria “fané” proprio non andava giù e, quando passava in rassegna l'albergo, con il suo sguardo indagatore sembrava ravvivare e far risplendere anche gli oggetti più vecchi e trascurati. Il giovane, d'altronde, era un leader nato: grinta e una certa capacità oratoria non gli facevano difetto. Il suo gruppo di amici sembrava sempre un po' smarrito prima del suo arrivo. La sua presenza irradiava luce ed accendeva i sorrisi di tutti.

- Vi trovo un po' palliducci! Vi siete lavati con la candeggina? – esordì quel sabato sera giungendo davanti al bar più frequentato dai giovani, nella piazza principale della cittadina.

Specialmente le ragazze, quando lo vedevano, andavano tutte in fibrillazione: chi si aggiustava i capelli, chi si ripassava il rossetto e, qualcuna più audace, sosteneva con aria di sfida il suo sguardo magnetico.

Ma tutti, proprio tutti, lo ascoltavano a bocca aperta quando iniziava a fare i suoi concitati sermoni contro gli extracomunitari. Perché quello era il suo tallone d'Achille: Fulvio era ostile agli stranieri così come lo era nei confronti di tutti coloro che si discostavano dai suoi personali parametri di giudizio.

- Devono tornarsene tutti a casa loro! – tuonava quando ne incontrava qualcuno a passeggio.

- Altro che disoccupazione, quelli non hanno voglia di lavorare! – gridava quando avvistava un ambulante ai bordi della strada.

Questo atteggiamento, per altro abbastanza diffuso tra i suoi compaesani residenti in quel centro dell'estremo Nord Est, non era accettato dalla madre, donna tollerante e di vedute aperte.

- Perché non vuoi assumere in albergo personale che viene dall'Est? – gli domandava spazientita – Ci sono delle bravissime persone e ci conviene anche economicamente.

Ma Fulvio era inflessibile.

- Con la fame di lavoro che c'è perché dobbiamo assumere proprio “quelli là?”- rispondeva con aria sprezzante.

In quel fine settimana, Fulvio aveva redarguito duramente un indiano che, timidamente, aveva cercato di vendere delle rose alla sua affascinante accompagnatrice.

- Smetti di importunarci e torna al tuo paese! – gli aveva detto in tono molto sgarbato

E il venditore, senza reagire si era affrettato ad uscire dal ristorante

Anche mentre si stava coricando, un po' alticcio per il vino ingurgitato aveva continuato a fare le stesse riflessioni.

- Non se ne può più, devono andarsene tutti dall'Italia! – bofonchiava tra sé e sé.

E così, felice di aver concluso la giornata con questa frase, spense la luce e chiuse gli occhi.

Fulvio si svegliò di soprassalto nel cuore della notte: un ronzio insistente lo infastidiva.

- Che strano! – pensò – Una zanzara in pieno inverno.

E si rigirò dall'altra parte con l'intenzione di continuare a dormire. Il rumore, però, divenne sempre più intenso e il ragazzo, decisamente contrariato, accese la luce. Ma, nella penombra, non vide nulla che poteva assomigliare ad un insetto. Provò a riaddormentarsi, ma niente da fare: il sibilo, che gli sembrava provocato dal volo di un moscone, divenne sempre più insistente e vicino.

Fulvio illuminò la stanza a giorno e si sedette sul letto, ma neppure così riuscì a scorgere qualcosa di anomalo. Nonostante desiderasse ancora riposare, il sonno ormai se ne era andato e quindi il giovane, con gli occhi spalancati e la vista e l’udito in allerta, cercò di capire cosa stesse succedendo.

Con la coda dell'occhio, intravide in un angolo una macchia luminosa che emetteva un chiarore intermittente.

- Che cosa ci fa una lucciola in camera mia? E poi non mi risulta che questi animaletti siano così rumorosi!

La piccola luce iniziò a volare velocemente per la stanza. Si fermò per un attimo al centro del soffitto, si appoggiò sul televisore e rimbalzò sul letto per poi allontanarsi di nuovo. Ad un certo punto atterrò su un tavolino, piazzandosi proprio di fronte al viso del ragazzo che osservava stranito quei movimenti. Quella che sembrava a Fulvio una lucciola, iniziò ad ingrandirsi lentamente, fino a raggiungere le dimensioni di una mano.

Il giovane cominciò a distinguerne più chiaramente le sembianze: si trattava di un buffissimo animaletto, con una testa grande, due piccole antenne ed un corpo esilissimo che terminava in due zampe lunghissime simili a quelle di un trampoliere

- Chi diavolo sei? – urlò Fulvio spaventato

- Sono Dispettino. Di/spet/ti/no – sillabò gracchiando la strana creaturina.

- Chi?!! – strillò il ragazzo preoccupato

- Hai sentito bene, sono Dispettino. Mi chiamo così perché il mio passatempo preferito è fare dei dispetti.

E ricominciò a rimbalzare da una parte all'altra del locale.

- E per quale ragione li fai? – chiese Fulvio incuriosito

- Mi piace mettere in difficoltà tutti quelli che non hanno mai dubbi e pensano sempre di avere ragione.

E cosa vuoi da me? – replicò il ragazzo seccato

- Pensaci, pensaci! – canticchiò l'esserino, posandosi su una sedia accanto al letto.

Fulvio esasperato prese il cuscino e glielo tirò contro con tutte le sue forze.

Il gesto inaspettato sembrò avere i suoi effetti: Dispettino si dileguò nel nulla come se non fosse mai esistito. Il giovane, soddisfatto, spense la luce e si riaddormentò.

Fulvio si svegliò con la strana sensazione di aver dormito su qualcosa di estremamente duro: gli dolevano terribilmente tutte le ossa! Si alzò, ancora assonnato e, barcollando un po', cercò a tentoni la porta del bagno. Con grande stupore, al suo posto, trovò solo una parete liscia e fredda.

- Cosa mi sta succedendo? – si chiese spaventato – Stanotte l'incubo di quella bestiola e ora non trovo neppure la porta per uscire!

Mentre formulava questi pensieri, la sua mano si posò sulla maniglia, la girò, ma quello che vide, lo lasciò senza parole.

Al posto del suo ampio bagno, c'era un piccolo locale pieno di fumo, in cui stavano sdraiati quattro extracomunitari.

- Cosa fate qui? – urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni

- Salim, ti sei bevuto il cervello? – rispose uno di loro – Mi sembra che tu abbia esagerato con il vino ieri sera!

Le sorprese non erano terminate. Fulvio, abbassando lo sguardo, vide che dalle maniche del suo pigiama emergevano due grosse mani color cioccolato fondente. Terrorizzato, si precipitò nel piccolo bagno adiacente alla stanza, ma lo specchio in cui rifletté la sua immagine non gli lasciò alcun margine di speranza. Al posto del giovane aitante dall'aspetto nordico, un alto negro con dei profondi occhi color nocciola lo guardava con aria interrogativa.

- Noooo! – urlò disperato – Dispettino dove sei?

Ma della strana bestiola non c'era nessuna traccia.

- Finalmente sei pronto! – lo rimproverò l'amico di prima – Hai dimenticato che oggi devi andare a Trieste per iniziare il nuovo lavoro? Altrimenti addio permesso di soggiorno.

Così Fulvio, alias Salim, con pochissimi spiccioli in tasca, si affrettò verso la stazione.

Una volta salito sul treno si sedette sfinito, ma con sua grande sorpresa, la ragazza che aveva di fianco rimbalzò in piedi come una molla e continuò a leggere il suo libro nel corridoio.

Nonostante il treno fosse pieno zeppo, il sedile di fianco al giovane rimase vuoto. Quando i viaggiatori si rendevano conto che c'era ancora un posto dove era possibile sedersi, giravano la testa altrove dopo aver gettato al ragazzo un'occhiata piena di diffidenza.

Salim conosceva poco Trieste, anche se il suo paese non era distante. Con in mano l'indirizzo dell'azienda dove era atteso, tentò di chiedere informazioni sul tragitto ai passanti.

La prima persona a cui si avvicinò prese la rincorsa, come se avesse dovuto saltare su un treno ad alta velocità; la seconda afferrò la borsetta e, tenendosela ben stretta al corpo, allungò il passo. Finalmente una ragazza con l'accento straniero, scorgendo il suo sgomento, si fermò, ma mentre gli forniva le indicazioni, si teneva a distanza di sicurezza come se fosse in autostrada.

Esausto Salim arrivò alla sua meta: si trattava del magazzino di un'importante catena di supermercati dove venivano scaricate le merci in arrivo.

Il giovane suonò il campanello dell'ufficio e si accomodò nella sala d'attesa che gli indicò la segretaria dove, con una pazienza ed una rassegnazione che non gli erano abituali, attese il suo turno.

- Sei euro all'ora! – esclamò Salim con voce indignata – Ma è puro sfruttamento!

- Ehi bello non ti basta avere l'alloggio? – replicò con vigore il capo del personale – Prova ad affittare un monolocale in città, vedrai che prezzi! Se poi non ti va bene, puoi sempre ritornare al tuo paese d’origine.

Fulvio comprese che non c’era la possibilità di ulteriori repliche e uscì a testa bassa dalla stanza. Si sentiva appesantito, non aveva l'abitudine di impersonare la parte del perdente e, questo stato d'animo, lo riempiva di uno sconfinato senso di frustrazione ed impotenza. L'occupazione affidatagli non era tra le più leggere: si svolgeva nelle ore notturne e consisteva nello scarico di merci pesanti che dovevano essere smistate ed inviate ai vari punti vendita. I compagni di lavoro erano tutti extracomunitari e il ragazzo, che persisteva nel suo atteggiamento di diffidenza nei confronti degli stranieri, non dava confidenza a nessuno.

Il dormitorio era quanto di più squallido avesse mai visto: un lungo corridoio con le pareti scrostate in cui erano allineate una decina di brandine. I servizi erano all’esterno, in un cortile abbandonato.

Salim, verso l'alba, si sedette con la testa fra le mani. Si era impadronita di lui un'immensa nostalgia del suo accogliente albergo che profumava di legno e di pulito.

Mentre pensava con tristezza al suo recente passato, vide una macchia luminosa che disegnava strane giravolte sul muro. Il giovane capì al volo di che cosa si trattava

- Dispettino vieni qui! – urlò disperato – Se ti piglio ti ammazzo!

La bestiola si avvicinò, abbassò il piccolo capo come per fare un inchino e sparì nel nulla.

Salim si stava abituando alla sua nuova vita, anche se le sue relazioni con gli altri si limitavano a dei semplici convenevoli sul lavoro.

Quello che lo stupiva di più, era la coesione e l'allegria che serpeggiavano nel gruppo, nonostante le condizioni di vita disperate. Tutte le sere, prima d'iniziare il turno, i suoi colleghi si recavano ad un bar poco distante per rifocillarsi. Da lì giungevano urla e sonore risate. Un peruviano in particolare, decisamente intraprendente, suonava ed improvvisava danze del suo paese d'origine.

- Quale motivo hanno per essere così felici questi miserabili?!? – pensava Fulvio perplesso.

Quel giovedì sera il giovane non si sentiva molto in forma e, quando sollevò il primo pacco, restò come paralizzato: un dolore lancinante al collo gli impediva di muoversi.

Salim si sedette con lo sguardo fisso nel vuoto. Era disperato, aveva l’impressione di essere imprigionato in un antro dal quale non intravedeva via d’uscita.

- Proprio un bel colpo di frusta! Sarà necessario tenere il collare per circa un mese e mi raccomando: niente sforzi fino alla data del controllo!

Il responso del dottore all'ospedale era stato chiarissimo.

Mentre se ne stava lì immobile in preda a questo stato d'animo, gli si avvicinò il ragazzo peruviano che era solito fare baldoria nel gruppo.

- Eh, brutto affare, non sei messo bene! – esclamò osservandolo con aria compassionevole

- Il problema più grande – rispose Salim in tono accorato – è che non posso lavorare: il direttore del personale é stato esplicito a riguardo. Mi conservano il posto, ma non potrò essere pagato. Il mio è solo un contratto a chiamata.

Il sudamericano si mise a riflettere: sembrava veramente partecipe dei crucci dell'amico.

- Forse ho una soluzione. – disse con un sorriso radioso – Il pomeriggio assisto una donna anziana, abbastanza autosufficiente. Durante questo periodo potresti sostituirmi. Non si tratta di un’occupazione pesante e la potrai svolgere anche in queste condizioni.

- Ma si tratta di un TUO lavoro! – ribatté Salim sorpreso da tanta generosità.

- Non ti preoccupare, recentemente mia moglie è stata assunta come infermiera nell'ospedale di Pordenone. Abbiamo messo via un po’ di soldi e forse, entro l'anno, riusciremo a far venire in Italia i nostri bambini.

- Hai figli? – chiese Salim sconvolto dalla rivelazione – E come hai fatto ad abbandonarli così piccoli? Dev'essere stato molto doloroso!

- In effetti si, ma fortunatamente i nostri genitori li accudiscono con amore

Questa breve conversazione, segnò una svolta nella vita del giovane. Dopo il tramonto non si isolava più immergendosi in cupe riflessioni, ma si univa al gruppo degli altri colleghi ad ascoltare i loro discorsi. Un’infinità di storie drammatiche lo invadevano con la loro suggestione e lo trasportavano mille miglia lontano dal suo mondo. C’era una ragazza ucraina che aveva dovuto dare in affido il suo bimbo perché non riusciva a mantenerlo; due eritrei che erano sfuggiti all'orrore dei campi libici; un giovane dell’America Latina che era stato mandato in Italia dai genitori per essere sottratto alla possibilità di venire coinvolto nell’orrore del traffico di organi.

In quei momenti non c'era solo tristezza, ma anche allegria e spensieratezza.

Salim, grazie al suo carisma e alla sua capacità oratoria, era ascoltato da tutti in religioso silenzio quando parlava di un delizioso albergo in cui aveva lavorato nella stagione precedente.

Fu proprio in una di queste sere, in cui la fatica della routine non riusciva a spezzare l'incantesimo dell'amicizia, che Fulvio vide uno strano chiarore intermittente ballare davanti ai suoi occhi. Contrariamente alle altre volte, la luce gli si posò sul braccio e, ingrandendosi, assunse le forme di Dispettino.

- Ciao Fulvio come va? – gli chiese

- Mi hai proprio combinato un brutto scherzo, anche se mi sto abituando alla nuova vita. - rispose il ragazzo – Il mio problema era che consideravo il diverso come una categoria astratta priva di contenuto umano e mi sbagliavo di grosso! Però, anche se ho imparato molte cose, mi manca tanto il profumo di legno del mio albergo.

- Bene! – concluse Dispettino – Vedo che la lezione ti è servita. Penso che tu sia pronto per il viaggio di ritorno.

Una corrente gelida investì il ragazzo risucchiandolo completamente. Fulvio rimase per qualche attimo come intontito e, quando riaprì gli occhi, si ritrovò nel suo comodo letto mentre la sveglia avvertiva con il suo trillo che l'ora di alzarsi era ormai giunta.

 

Fulvio si fermò a guardare la ragazza con simpatia.

- Katiuscia come stai? – le chiese con voce gentile

- Tutto bene – rispose la giovane sollevando il volto pieno di efelidi – lavorare all'albergo mi piace moltissimo. E poi si avvicina il mese di agosto e il mio bambino potrà venirmi a trovare!

La madre, che passava di lì, scosse la testa sospirando.

- Questo benedetto figlio non smette mai di sorprendermi.

Prima non voleva assumere nessun extracomunitario e adesso si ferma ogni momento a chiacchierare con il personale facendo perdere loro un sacco di tempo prezioso!

E si allontanò con aria perplessa.

In realtà Fulvio era rimasto molto segnato dall'esperienza vissuta grazie a Dispettino.

Aveva recuperato quasi subito il suo temperamento vivace e un po' spavaldo, ma aveva spesso gli occhi offuscati da un velo di malinconia. Era come se i problemi dell'umanità, che prima viveva con distacco, avessero fatto irruzione nel suo cuore con la forza di uno tsunami, impedendogli di essere spensierato come un tempo. Anche gli amici si erano resi conto del suo cambiamento.

- Ho solo capito che é meglio non dare giudizi affrettati e cercare di comprendere a fondo le situazioni prima di sputare sentenze – rispondeva loro in maniera evasiva.

Il sabato sera si attardava qualche volta a parlare con il solito venditore di rose e solo quando quello diveniva troppo insistente nel volergli rifilare i fiori, lo respingeva con delicata fermezza

Quel giorno Fulvio aveva gli occhi sfavillanti, mentre si avviava con passo deciso verso il Municipio. Il Sindaco lo ricevette quasi subito.

- Bene Fulvio, penso proprio che potremo realizzare il tuo progetto. Mettere a disposizione una sala del tuo albergo per dare avvio ad un programma di incontri interculturali mi sembra un'iniziativa interessante per il nostro territorio, dove vigono ancora troppi pregiudizi. A proposito, ma tua madre ne è al corrente?

- Veramente no, non gliene ho ancora parlato, ma sono sicuro che non ci saranno problemi. I cambiamenti fanno bene a tutti!

E scoppiò in un'allegra risata.

 

 

Cristina Manuli