Il miracolo dell'arcobaleno

Aveva piovuto forte. Un acquazzone improvviso aveva scosso la calma pigra di un pomeriggio d’estate luminoso e lento. Il sole penetrava gioioso tra le foglie degli alberi; improvvisamente fu oscurato da un minaccioso nuvolone nero che si sciolse subito in violenti scrosci d’acqua.

In breve tempo si allagarono strade e prati. Ma altrettanto repentinamente il sole, tenace e birichino, si aprì un varco tra le nuvole , mentre gocce di pioggia ritardatarie bagnavano l’aria tiepida.

Fu allora che avvenne il miracolo.

Lo chiamassero pure fenomeno naturale, dicessero che non è altro che un effetto della rifrazione, lo riducessero pure ad un semplice fenomeno di fisica ma, sicuramente, l’apparizione dell’arcobaleno ogni volta sembra un miracolo.

A questo pensava Giovanna, quando si trovò davanti gli evanescenti colori di quel misterioso arco sul quale avrebbe voluto adagiarsi e lasciarsi scivolare.

Persa in queste fantasie, con gli occhi chiusi, cullata dal rumore ritmico delle ultime gocce nelle pozzanghere, Giovanna si sentì trasportare lievemente in un’atmosfera ovattata.

Camminava sola, avvolta in una nebbiolina violetta che accompagnava i suoi passi. Camminava lentamente, le sembrava di salire su per un leggero pendìo quando il viola della nebbiolina lasciò intravedere un magnifico prato di ireos.

I fiori, alti, maestosi, dello stesso colore della nebbia lieve che si stava diradando, sembravano voler colmare il senso di solitudine che la opprimeva. Sentimenti contrastanti pervasero il suo animo: l’armonia che emanava da quello scenario meraviglioso e sereno era offuscata dall’impossibilità di condividerla con qualcuno.

Attraversò il prato degli ireos lasciandosi accarezzare dalle loro corolle lilla e le farfalle, violette anch’esse, sembravano volerle incorniciare la fronte.

Camminava Giovanna, camminava, finché il paesaggio mutò e sotto il cielo di un azzurro intenso, l’immensa distesa che le si presentò davanti era interamente ricoperta di minuscoli nontiscordardime, azzurri come il cielo.

Le venne spontaneo sdraiarsi tra quei piccoli fiori morbidi, con lo sguardo rivolto verso il cielo lontano eppure così opprimente. Un profondo dolore si impossessò del suo animo e calde lacrime silenziose rigarono il suo volto. Fragili farfalline azzurre le svolazzavano intorno, pietose.

Seppur spossata dal suo sfogo doloroso, Giovanna si alzò di scatto e iniziò a correre, correre, correre fino ad arrivare ad una prateria, una immensa, sconfinata prateria di grano ancora verde, ondeggiante che , anziché calmarla, provocò in lei una rabbia cieca, incontenibile. La rabbia di non sapere quale fosse la sua strada. La rabbia di non saper decidere della sua vita. La rabbia di sentirsi ondeggiante come quelle spighe non ancora mature.

Nella sua corsa sfrenata, ogni tanto, si fermava ad osservare gli uccelli che volavano sopra di lei e avrebbe voluto essere come loro, avere le ali e volare, volare via, lontano. Ma non poteva fare altro che allargare le braccia e abbracciare il vento.

La solitudine, il dolore, la rabbia l’avrebbero seguita ovunque, ne era convinta. Aveva attraversato il viola, l’azzurro, il verde e sapeva che il cammino non era ancora concluso. Non poteva essere concluso.

Esausta, spossata dalla lunga corsa, si buttò bocconi sul terreno. Ai margini della prateria superbi ranuncoli gialli la osservavano beffardi.

Sollevando lo sguardo, vide in lontananza, illuminati dal giallo violento dei ranuncoli, due ragazzi, giovanissimi, che si tenevano per mano e teneramente sorridevano guardandosi negli occhi.

Quanta energia, quanta gioia, in quell’esplosione di gioventù e di entusiasmo.

Una fitta violenta di gelosia la colpì. Invidiò quei ragazzi così felici rammaricandosi subito dopo del cattivo pensiero.

A fatica riprese il suo cammino senza sapere dove andare, con la sensazione di affrontare una salita. Cercò di allontanarsi da quella visione che le faceva così male.

Vagando smarrita nei suoi sentimenti confusi, aveva perso di vista ciò che la circondava quando un campo di girasoli colpì prepotentemente la sua fantasia. I grandi fiori arancione la invitavano, sorridendo, a lasciarsi sfiorare dalle loro grandi foglie e a perdersi tra i loro grossi steli.

Attratta, pur se intimorita, da quella colorata selva, Giovanna vi si inoltrò guardinga senza sapere dove quell’esplorazione l’avrebbe portata.

Sembrava che i grandi fiori aprissero un varco davanti a lei per facilitarle il passaggio.

Temeva di non riuscire più a liberarsi dall’abbraccio del campo di girasoli quando sentì un richiamo: “Ercole, Ercole! Torna subito qui!”. Si guardò intorno per capire da dove venisse quella voce e vide un simpatico golden biondo dalla folta coda vivacissima che le si avvicinò per leccarle una mano: “Ciao. Tu devi essere Ercole. Dov’è il tuo padrone?” Il tempo di alzare lo sguardo e due profondi occhi neri, vivaci ed intelligenti, comparvero tra i girasoli, fissandola allegramente. Un candido sorriso e una voce calda: “Si è persa anche lei? Per seguire il mio cane, non so più dove sono finito. Questo campo sembra un labirinto.”

Ma Ercole sapeva come uscire da quel labirinto. Bastò seguirlo con fiducia per ritrovarsi in una vallata rossa di papaveri, appena appena scossa da una leggera brezza.

Solo un attimo di incertezza e le loro mani si sfiorarono, i loro occhi si cullarono nei rispettivi sguardi; una folata di vento e un turbine di petali rossi li avvolse sollevandoli verso l’alto.

                                                                      o o o

Finalmente potevano passeggiare sull’arcobaleno mano nella mano, accompagnati dai loro cani.

 

(Rossana Bonadonna)