Il Riccio e il Mare

Lo chiamavano Riccio, per i capelli e per la sua abilità a prendere i ricci di mare e a lui piaceva quel soprannome. Abbandonato dai genitori, era stato cresciuto da un’anziana donna e a sedici anni era andato ad abitare in una vecchia imbarcazione abbandonata anch’essa, che era diventata la sua casa, il suo regno, il suo rifugio. Gli abitanti del piccolo borgo marinaro avevano visto crescere quel bambino che si tuffava dagli scogli senza timore, saltava sulle barche e accompagnava di notte gli uomini che pescavano alla luce delle lampare. Gli volevano tutti bene e rispettavano la sua scelta di vivere in mare. In molti lo aiutavano e Giuseppe, il motorista delle barche, aveva aggiustato un motorino sconquassato che Riccio usava per andare a scuola nel paese vicino.

Il ragazzo aveva amici, cresciuti con lui, con cui studiava, giocava a calcio, scherzava, litigava, scambiava sms, ma da quando viveva nella barca era diventato più solitario ed interessato ad altro.

Nelle acque vicino alle scogliere, Riccio esplorava i fondali e riportava in superficie conchiglie, frammenti di roccia e gli oggetti caduti dalle barche anni e a volte secoli prima. Poi li ripuliva accuratamente dalle incrostazioni e dalla salsedine, come se fossero dei tesori e per ognuno sceglieva un posto nella sua nuova casa. Si sentiva davvero figlio del mare.

In inverno a Riccio piaceva fare lunghe passeggiate nelle due spiagge ad est e ad ovest del borgo: la spiaggia dei coralli e la spiaggia delle sirene. Lì erano successe le cose più strane, secondo i vecchi pescatori che sedevano in cerchio, al calar della sera, davanti al camino nella casa dell’uno o dell’altro a bere un bicchier di vino e a fumare la pipa. Il racconto di vecchie memorie si mescolava a leggende e ad antiche storie. Al ragazzo piaceva starli ad ascoltare, specialmente quando narravano di un giovane che si era innamorato di una sirena che viveva nel relitto di una barca naufragata o di un pescatore sparito in un banco di coralli che aveva cercato di depredare.

Anche nelle spiagge Riccio raccoglieva molte cose che il mare d’inverno rovesciava a riva. Si fermava ogni tanto e con la punta del piede scovava oggetti che intravedeva nella sabbia.

Un pomeriggio, aveva trovato una conchiglia che appariva diversa dalle tante altre nella forma e nei colori. Istintivamente l’aveva portata all’orecchio per sentire il rumore del mare, ma il fragore di un forte vento copriva qualsiasi altro suono. La conchiglia era così finita in un cesto.

Una sera verso Natale, Riccio l’aveva ripresa e sciacquata per toglierle la sabbia e, dopo averla asciugata, l’aveva riportata all’orecchio. La allontanò e la riavvicinò diverse volte con una attenzione crescente, il suo sguardo era colmo di incredulità. Non sentiva il mare, ma uno strano mormorio: gli sembrava impossibile ma era una voce.

Cosa voleva dirgli? Riccio era troppo emozionato e non riusciva a decifrare le parole. Cercò allora di calmarsi con respiri profondi e sorseggiando un bicchiere di latte caldo, si sedette alla scrivania, dove faceva i compiti di scuola. Prese un foglio bianco, una matita appuntita e, ascoltando la voce della conchiglia più e più volte, cominciò a capire qualcosa. “Mare”, “naufragio”, “sirena”, “mamma” riuscì a scrivere, poi, esausto, si lasciò andare sul divano e si addormentò profondamente sognando un mare in tempesta ed una barca che naufragava.

La mattina successiva riprese la conchiglia quasi convinto di aver sognato tutto. Ma no, non era stato un sogno! La voce continuava a ripetere le stesse parole e Riccio riuscì a decifrarne anche delle altre: “le tre sorelle”, “vieni”.

Quella sera andò a cena da Ada, la donna che lo aveva cresciuto e c’era anche Giuseppe. Chiese loro di dirgli la verità sui suoi genitori, non si sarebbe accontentato delle vaghe e fantasiose notizie avute quando era bambino. I due videro che il ragazzo era molto deciso e così gli raccontarono quello che era successo.

In una notte di tempesta, una barca si era squarciata contro gli scogli chiamati “Le tre sorelle” e appena il mare lo aveva permesso, Giuseppe ed altri uomini erano andati fino al relitto. Sembrava che non ci fosse traccia di vita umana, ma poi la loro attenzione era stata richiamata da un vagito: era Riccio.

In quella notte limpida e fredda, mentre tornava alla barca percorrendo il sentiero illuminato dalla luna piena, il ragazzo si lasciò andare alle emozioni che aveva sempre trattenuto e alla nostalgia di rapporti affettivi. Sarebbe andato a “Le tre sorelle” e lì avrebbe iniziato la ricerca delle sue origini.

I giorni seguenti il mare era minaccioso e alte onde si infrangevano sugli scogli. Riccio provava a riascoltare la conchiglia, ma sentiva solo il mare: aveva forse sognato tutto?

L’inverno fu particolarmente rigido e dopo la scuola il ragazzo passava le sue giornate sulla casa-barca, da qualche amico con cui studiava o da Giuseppe e Ada. Solo al fiorire della primavera riprese la conchiglia, ma la voce ancora taceva. Voleva andare a “Le tre sorelle”, ma rimandava sempre, inventandosi la scusa di avere cose più importanti da fare. In realtà temeva ciò che avrebbe potuto scoprire, ma ancor più di rimanere deluso se non avesse trovato niente.

L’estate esplose ai primi di giugno e i ragazzi cominciarono a trascorrere la maggior parte del tempo sulle spiagge, facendo solatii bagni in mare. Una mattina tutti, tranne Riccio, partirono per una gita di fine anno scolastico.

Il ragazzo, che preferiva gli scogli alla spiaggia, si tuffò, iniziò a nuotare con bracciate regolari e ad un tratto si accorse che si stava dirigendo verso “Le tre sorelle”. Non si fermò a pensare, i tre scogli, affioranti quasi in cerchio, non erano vicini ma lui era un abile e resistente nuotatore. 

Arrivato al primo scoglio, il più piccolo, detto “La sorellina”, riprese fiato per un attimo e si arrampicò cautamente. Ebbe un sussulto: sullo scoglio più grande una ragazza dai lunghi capelli biondi stava prendendo il sole. Appiattito sulla superficie di roccia per non farsi vedere, Riccio sbirciava cercando di non fare il minimo rumore. Ai suoi occhi lei era bellissima, ma di certo non aveva la coda di una sirena.

Riccio chiuse gli occhi per la stanchezza e cadde addormentato. Al risveglio, la ragazza era sparita, eppure gli sembrava di aver dormito solo pochi minuti. Dubitò di se stesso, aveva forse le visioni? La voce della conchiglia, la sirena, erano solo il frutto del suo desiderio di affetto? Si sentiva esausto, non aveva la forza di tornare a riva e così si stese con gli occhi pieni di lacrime.

Un rumore leggero lo distolse dai suoi pensieri e si alzò per guardare: la “sirena”, che si stava arrampicando sul suo scoglio, si sedette accanto a lui. 

I due ragazzi si osservarono per qualche istante con curiosità. 

- Ma tu chi sei? – dissero insieme.

Risero della situazione ed iniziarono a raccontarsi. Lei era venuta con la famiglia al borgo e vi si sarebbe trasferita dopo l’estate. Mentre i genitori erano in cerca di una abitazione, aveva deciso di fare una bella nuotata. Le piaceva il mare ed era stufa delle piscine di città. Lui le raccontò la sua vita, ma non i sogni e i desideri. Le disse solo che mentre dormiva aveva sognato una sirena, bella come lei, aggiunse sottovoce. La ragazza rise ancora, poi stettero su “La sorellina” a parlare di tutto e di niente. Tacevano, si guardavano e riprendevano a chiacchierare. Poi si tuffarono, nuotarono insieme e, ancora ridendo, tornarono a riva.

Quando si salutarono, lui azzardò un timido bacio sulla guancia di lei, che lo ricambiò con un bacio sonoro sulla sua guancia e si dettero appuntamento per rivedersi nei pochi giorni in cui lei sarebbe rimasta al borgo.  

Riccio tornò alla sua barca turbato dalla gioia, rispondendo a mala pena al saluto di chi incontrava. Era troppo bella la cosa che gli era capitata, se la voleva tenere stretta, senza condividerla con altri, per assaporarla fino in fondo.

Quando Margherita, questo era il nome della sirena, tornò dopo l’estate i due, ormai innamorati, ripresero a frequentarsi.

Riccio raccontò alla ragazza l’incontro con la conchiglia magica e gliela mostrò, ma avvicinandola all’orecchio si sentiva solo il rumore del mare. Allora decisero di andare a rimetterla sulla spiaggia, quello era il suo posto ed erano certi che avrebbe aiutato qualcun altro a trovare la sua strada.

La storia di Riccio e Margherita continuò e ogni lettore potrà immaginarla come vuole, avventurosa, romantica, magari simile ad una sua storia d’amore.

Possiamo solo dire che la vecchia Ada, ogni volta che i ragazzi andavano a trovarla, canticchiava “I sogni son desideri…”

Anna Grazia Dore