Il risveglio sognante

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5.30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare*. Luisa si svegliò nel grande letto di ferro battuto. I lunghi capelli biondi tutti arruffati si confondevano con il giallo dei cuscini. Si stiracchiò un poco, apri un occhio e poi l'altro, quasi in una lotta impari contro il giorno che stava affacciandosi alla finestra. Non aveva voluto le imposte, amava la luce del mattino e crogiolarsi in quel primo batuffolo di sole che, nell'imminenza dell'estate, presagiva una  giornata piena di colore. 

Trent'anni e un marito alle spalle, per fortuna non c'erano figli, ma il suo essere positiva le aveva permesso di superare brillantemente quel primo fallimento della sua vita. Fallimento? No, no, non è la parola giusta, meglio chiamarla esperienza. Nonostante tutta la sua energia però a volte si sentiva sola e allora quella prima luce del mattino, poi sempre un po' più abbagliante, serviva a farle compagnia. Una stiratina ancora ed eccola pronta ad affrontare la piccola casa, preparare meticolosamente la colazione come fosse al Grand Hotel, accendere la radio e prima di sentire la caffettiera gorgogliare, farsi una doccia calda e rilassante. Alla radio la stazione era sempre la stessa, non faceva mai pubblicità, solo musica. Poteva anche sopportare qualche brutta canzone, ma gli spot pubblicitari proprio no. La marmellata era la migliore secondo lei, frutti di bosco con tanti lamponi, ma niente burro, se doveva tornare a cercare il principe azzurro non poteva farlo tutta ciccia e brufoli. Così si gustava golosa la fetta biscottata prima di sorseggiare il caffè. A volte preferiva la tisana, dolce e muschiata, ma l'aroma del caffè nella casa era ancora più dolce della musica alla radio, la più bella compagnia per cominciare bene il mattino.

Non voleva pensarci, ma aveva un sacco di cose da fare quel giorno e doveva anche affrettarsi, sennò non sarebbe mai arrivata in tempo al lavoro. Che bello però sprofondarsi nella grande sedia col cuscino lilla, come una principessa e giocare a fare la gran dama.

Le 6.30, era tardi, Luisa infilò un paio di jeans, una maglietta rossa, scarpe da tennis bianche e si lanciò verso l'uscita, buttando un dito per spegnere la radio mentre ancora risuonava la vecchia canzone “Meraviglioso".

Si tirò dietro la pesante porta blindata e si lasciò letteralmente cadere dentro  l'ascensore, uno di quelli di una volta con le due porticine a battente tutto avvolto nel ferro battuto. Ogni volta che ci entrava a Luisa sembrava quasi di essere in un'altra epoca. Scendendo lentamente, in quel tratto tra il terzo e il secondo piano venne colta da un lieve capogiro, le si annebbiò un po' la vista e dovette aggrapparsi alla parete per non scivolare a terra. Ma tutto passò in fretta, chissà, forse si era alzata troppo presto e le era venuto un calo di pressione. Pensò fosse il caso di fare un salto dal dottore un giorno o l'altro per un controllo. L'ascensore arrivò al pianterreno. Luisa aprì le due porticine e scese rapidamente gli ultimi scalini che la separavano dall'ingresso. Fuori uno strano silenzio. Uscendo buttò uno sguardo al cielo come faceva sempre, era di un azzurro intenso come difficilmente capita in città, ma solo in alta montagna nelle giornate più terse di primavera. La temperatura era gradevole, ormai nel tepore estivo. Inspirò forte la prima aria mattutina. Che strano odore, diverso, di fiori e di alberi. Si stupì e guardandosi intorno si accorse che non c'era nessuna auto posteggiata, neanche in movimento a dire il vero. Che strano, a quell'ora la città si era già svegliata da un pezzo.

Il profumo veniva da un ramo di glicine di cui non si era mai accorta e che usciva a ridosso di un muretto sempre nascosto dai cassoni dei rifiuti. Ma anche quelli non c'erano più. Tutto era scomparso sulla strada, c’erano solo il cinguettio degli uccellini al risveglio mattutino e un cagnolino che dondolando passeggiava allegramente sulla strada fino all'incrocio.

Chissà se l'autobus sarebbe mai arrivato. Uno sciopero e non ne sapeva nulla? La sua amica Cristina la sera prima non le aveva detto nulla. Eppure tutto era diverso, anche l'aria sembrava più leggera, tanto che le narici si aprivano curiosamente in leggiadri sospiri. Le case erano lì come sempre, ma anche loro avevano un che di diverso, un lieve strato di muschio faceva capolino dagli angoli in ombra e in quell'aiuola abbandonata da tempo la terra si stava muovendo e una piccola talpa faceva capolino, rituffandosi subito giù per sfuggire alla luce del sole. Che strana mattina quella.

Un lieve stato di ansia cominciò ad assalire Luisa. In quelle condizioni avrebbe fatto tardi al lavoro, un lavoro che in fondo non le era mai piaciuto, ma del resto in una società in crisi meglio quello che nulla.

La sua fantasia stava galoppando, come quando si lasciava prendere dalla scrittura e metteva insieme un po' di idee. Chissà che cosa c'era dietro l'angolo che ancora non aveva mai visto. Affrettò un poco il passo con le scarpe da ginnastica che facevano un rumore leggero e un po’ stridulo nel silenzio della strada, sfregando contro la sabbia che si era depositata sul marciapiede.

Girato l'angolo, la piazza. Dell'autobus nemmeno l'ombra, ma al centro della piazza, che sembrava molto più grande senza automobili, una fontana, quella sì che c'era sempre stata, ma l'incuriosiva vedere quale potesse essere la differenza in quel mondo così diverso dal solito. Si avvicinò lentamente, guardinga, quasi che un merluzzo potesse all'improvviso balzare fuori dall'acqua e aggredirla, ma forse proprio di questo aveva bisogno, una scossa per dare un po' di colore ad una vita che fuori dal suo nido meraviglioso era tutta dipinta di grigio.

L'acqua era limpida, dei piccoli pesci rossi nuotavano festosi e sul fondo c'erano dei grandi fiori. Come potevano esserci dei fiori che sembravano freschi e belli sul fondo di una fontana? Si avvicinò ancora e un piccolo pesciolino saltò schizzandole il viso.

- Luisa, Luisa!

Qualcuno gridò forte mentre le buttava dell'acqua in faccia e lei si stava riprendendo nell'ascensore. Era Cristina, la sua amica, che l'aveva trovata rannicchiata proprio là, mentre anche lei stava per uscire.

- Che ti è successo? Sei svenuta, ti ho trovata così…

Luisa smarrita, senza pronunciare una parola si alzò, lasciò la sua amica sbigottita e scese velocemente gli scalini, sperando di ritrovare il bellissimo sogno di prima.

Fuori era tutto come al solito, grigio e rumoroso.

Non convinta andò oltre i cassonetti dell'immondizia ed ecco che magicamente là c'era quel ramo di glicine. Allora non era stato tutto un sogno.

Le 7.30, ormai sarebbe arrivata tardi al lavoro.

Come sempre alla fantasia si sovrapponeva la realtà, Luisa non riusciva mai veramente a sganciarsi da se stessa. Un po' com'era accaduto per il suo matrimonio dove lei sognava il principe azzurro e invece si era trovata accanto un uomo che meccanicamente faceva tutte quelle piccole cose che più la irritavano. Scacciò via questo pensiero, quel senso di sconfitta però ancora un po' le bruciava. Tentò di ritornare al suo sogno. Si girò, guardò verso il fondo della strada: il cagnolino scodinzolante era là, solitario, che la guardava, quasi aspettandosi una sua reazione. Si fissarono intensamente, come non potrebbe mai avvenire tra un cane e una persona.

Questa volta, a dispetto della vita che la teneva lontano dalle sue aspirazioni e dai suoi sogni, decise in un istante di non andare al lavoro e di seguire quel cucciolo un po' cresciuto verso un'avventura inaspettata qualunque essa fosse. Cristina la osservava dal portone di casa, ma ormai era un pensiero lontano, Luisa aveva deciso di dare una svolta alla sua vita. La fragilità femminile fece capolino nella testa di Luisa trasformando quel momento di euforia in un tumulto di emozioni forti e contrarie. Da un lato la sicurezza del lavoro, seppure noioso e logoro, dall'altra il desiderio di lanciarsi verso la vita da lei scelta, senza compromessi. Il cagnolino sembrava essere messo lì a guardia di quel mondo fantastico che ancora non osava varcare, dall'altra parte il rumore della ferraglia dell'autobus che si stava avvicinando e che ancora avrebbe potuto prendere. Era già stata di fronte a delle scelte forti, soprattutto quella della separazione, ma ora più che mai le si prospettava un bivio dove scegliere diveniva sempre più difficile.

Luisa fece due passi avanti, quasi a voler fuggire dall'autobus che stava arrivando, avvicinandosi al cagnolino. Alzò gli occhi e guardò i contorni delle case. Un istante in cui le fu chiaro che quella strada non l'aveva mai veramente vista: non riconosceva i davanzali delle finestre, i colori delle persiane, i volti affacciati. Tutti i giorni, fino ad allora, aveva visto solo il cielo e poi il grigio dell'asfalto, aveva sentito solo i suoni fastidiosi delle persone sull'autobus e percepito solo gli odori che spesso le toglievano quel respiro appena rubato al mattino. Sapeva che non avrebbe avuto un'altra possibilità. Se fosse salita sull'autobus non avrebbe mai più avuto il coraggio di tornare indietro e abbandonare quel percorso che la portava verso la noia della routine. Sapeva anche che andando verso il cagnolino, verso la sua fantasia, avrebbe potuto trovare una strada in salita fatta di stenti e di sudore. Il talento da solo non aiuta a salire sulle vette, bisogna tirar fuori tutto il coraggio che si ha per poterlo fare.

Un piccolo fischio e le porte dell'autobus che ormai le era accanto si aprirono. Luisa guardò il giallo e il blu delle ante di ferro e vetri e trattenne il respiro. Stava lottando contro se stessa, contro tutte quelle mille convinzioni che le avevano inculcato fin da piccola, contro una guerra che avrebbe scatenato dove lei sarebbe rimasta al muro con tutti gli altri pronti a spararle addosso.

Un poco più avanti il cagnolino cominciò ad abbaiare, sempre più forte, non c'era più tempo, ma quel richiamo l'aveva distratta, giusto quell'attimo per non fare in tempo a salire sull'autobus. Le porte si chiusero con quel campanellino spiritoso che la derideva, sicuro di averle fatto un dispetto.

Le 8.30 e le tremavano le gambe, come quando si è pronti per un tuffo e si ha paura dell'altezza del salto e della profondità dell'acqua. Ormai non c'erano altre possibilità se non chiedere perdono in ginocchio per un ritardo irrecuperabile. Il cane abbaiava ancora, quasi che volesse chiamarla a seguirlo. Scrollò via quel senso di smarrimento che capita quando si perde qualcosa di caro, di prezioso, asciugando quella lacrima che stava scivolando sul viso, forse per colpa del vento del mattino.

Fece altri due passi verso il cane, gli si avvicinò, lo accarezzò e pensò che almeno aveva trovato un nuovo amico. Ecco, bastò quel piccolo pensiero positivo per farle tornare un po' di energia, quel poco di coraggio che le serviva per fare il salto e cambiare la propria vita, il proprio mondo.

Aveva bisogno proprio di quello, di guardarsi intorno e di vedere tutto quello che la circondava e che in fondo, presa da mille altre cose, non aveva mai visto.

- Buongiorno - le disse una voce che la distrasse dalle sue effusioni verso il cagnolino.

Alzò gli occhi e vide un uomo sui cinquant'anni, con i capelli bianchi e un sorriso gioviale, che inforcava un paio di occhiali rotondi su un viso solare. 

- Si chiama Bob – disse – è un cucciolo di due mesi e non riesco proprio a tenerlo a bada.

Luisa, stupita che la sua avventura potesse finire in un modo così banale, si alzò in piedi e lo salutò con un sorriso perplesso.

- L'ho osservata mentre perdeva l'autobus, lei così precisa ogni mattina, che le è successo?

Luisa sempre più sbigottita non sapeva cosa rispondere, soprattutto perché si trovava di fronte a qualcuno che osservava le cose e le persone, non come lei che per la fretta sorvolava su tutto.

- Non si preoccupi, non voglio disturbarla oltre, ma le auguro una buona giornata e vedrà che aver perso quell'autobus le porterà fortuna.

Luisa lo salutò con un sorriso, cercando di ricacciare le lacrime che stavano per fare capolino nei suoi occhi azzurri.

Lui le diede la mano e si presentò.

- Giorgio, piacere, mi chiamo Giorgio e vivo in quel palazzo laggiù, scrivo racconti per bambini e se un giorno vorrà venire a trovarmi le offrirò un tè e una storia.

Luisa lo ringraziò assicurandogli che ci sarebbe andata, ma ormai il suo pensiero tornava al computer, a quel racconto che aveva abbozzato e che non riusciva più a continuare. Come le era accaduto per strada poco prima ora tutto le era chiaro. Sapeva perfettamente come far decollare la sua storia e portarla fino alla fine. I particolari stavano emergendo nella sua mente.

Giorgio la guardò incuriosito, accorgendosi di quella strana trasformazione e capì che la ragazza ormai aveva altro a cui pensare. Si congedò definitivamente e la lasciò da sola con i suoi sogni.

Luisa aveva percorso pochi metri da casa. Torno subito indietro, risalì le scale di corsa, incurante dell'ascensore, sentendosi libera anche da quei ferri che l’avvolgevano come una prigione. Entrò in casa, spalancò le finestre e lasciò che la luce di cui aveva bisogno invadesse la stanza e la sua vita. Prese in mano il portatile, si accovacciò sulla grande sedia col cuscino lilla e cominciò a scrivere: "La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò..."

L'anatema era spezzato, da lì ricominciava la vita, piena di entusiasmo, che sarebbe stata piena di tutti quei volti e di quelle emozioni che ogni giorno le passavano sotto gli occhi e di cui non si era mai accorta. Non sapeva ancora dove tutto questo l'avrebbe portata, ma sicuramente sarebbe andata lontano dal mondo grigio che aveva vissuto fino a quel momento.

Le 9.30, lui si agitò nel letto, Luisa infastidita si scrollò pigramente dal sogno. La domenica indugiava nel letto anche se, come d'abitudine, si svegliava sempre presto. Le palpebre ancora un po' appesantite si socchiudevano appena e allora continuava a sognare ad occhi aperti. Continuava quei viaggi nel mondo del fantastico che non le riuscivano di giorno.

Si alzò, diede un'occhiata a suo marito che russava beatamente, si voltò e uscì dalla stanza, ma questa volta non fece come sempre. Non andò in cucina, si diresse subito verso il soggiorno, diede un'occhiata alla grande sedia col cuscino lilla, prese in mano un blocco notes e cominciò a scrivere, la storia la sapeva a memoria ormai. Più  tardi avrebbe pensato al resto.

Così il suo sogno prese la forma della realtà.

 

Renato Volpone

*incipit tratto da Marc Levy "Se solo fosse vero"