L'esperimento

 

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano la cinque e trenta e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare.

Non aveva voglia di alzarsi, sapeva quanto fosse importante quella giornata per lui, quanto aveva lottato per averla, ma adesso che era arrivato a quel punto aveva paura: a volte la vita è strana. Aspettò dieci minuti e poi di colpo raccolse tutte le sue forze e si alzò. La piccola valigia di metallo con le sue iniziali, JM, era pronta in fondo al letto e mentre si faceva una doccia veloce il sistema gli preparò un caffè, l’unica cosa che gli era stata concessa dai medici. Salutò la casa, lasciando che il sistema, in pochi secondi, la mettesse in modalità protezione e poi giù in metro per raggiungere l’ospedale. Lì sembrava che tutti stessero guardando lui, come se sapessero. Il treno magnetico raggiunse la stazione sotto l’ospedale in pochi minuti, giusto il tempo di leggere le notizie e di guardare le previsioni del meteo indicate sulle pareti. Scese senza fretta e seguì la folla che si dirigeva verso l’entrata. Quando varcò la soglia il sistema lo identificò e il suo avatar personalizzato gli indicò il piano e la sala dove lo attendevano. Nel 2084 la sostituzione di organi era all’ordine del giorno e non preoccupava più nessuno: era il modo più efficace per combattere il trutor, un tumore molto aggressivo che in poche settimane si mangiava letteralmente un essere vivente intero. Ma la sostituzione del cuore era ancora vista con un certo sospetto, non tanto per l’intervento in sé, che il sistema era in grado di affrontare senza nessun rischio, ma perché anche in questa epoca il cuore era visto come la sede dell’anima, dei sentimenti e della parte irrazionale dell'uomo. Fino a che punto si potevano cambiare parti del proprio corpo rimanendo se stessi? Jack aveva pensato tantissimo a questo, ma quando l’unica alternativa è la morte, le cose cambiano e sei disposto ad accettare anche quello che fino a poco tempo prima sembrava assurdo. Nella stanza all’ottavo piano regnava un silenzioso assordante: tutto pareva perfetto, in ordine e pulito come lo era il resto dell’ospedale, il resto della città, il resto del mondo.

Nel 2084, tutto era per definizione perfetto e sotto controllo.

L’infermiera fu molto gentile: gli fece vedere la stanza, il letto dove poteva lasciare la valigetta e gli chiese di premere l’indice sul sensore di una macchinetta che in un attimo registrò tutti i suoi dati. Poi quando fu a letto gli portò un bicchiere d’acqua e una piccola pillola bianca che Jack ingoiò con un po’ di ansia: finalmente poggiò la testa sul cuscino ed iniziò a rilassarsi. Guardò la donna in piedi di fronte a lui e in pochi minuti l’immagine della bella infermiera iniziò ad annebbiarsi finché tutto divenne buio.

Quando un leggero soffio d’aria profumata lo risvegliò era ormai sera…

Istintivamente la sua mano spostò la camicia sul petto, scoprendo una cicatrice appena visibile: l’intervento era riuscito ed aveva un cuore nuovo.

Erano passate ormai due settimane da quando Jack aveva lasciato la stanza d’ospedale (e la bella infermiera!) e le cose procedevano bene. Le visite di controllo avevano indicato un’ottima reazione del suo corpo al nuovo organo e questo gli aveva permesso di riprendere le sue attività lavorative a tempo di record. La cosa che lo inquietava era il suo cambio di umore, il suo nuovo atteggiamento verso la vita. Questo non faceva altro che alimentare il pensiero che gli ronzava in testa: nuovo cuore, nuova anima. Per questo, forse, inconsciamente, Jack ripeteva sempre le sue attività, rendendole il più abitudinarie possibili e ciò lo faceva sentire fedele e legato a se stesso. La sera rientrava verso le otto e dopo aver preparato velocemente la cena si distendeva sulla poltrona per guardare quello che gli proponeva il noioso sistema net, che aveva sostituito televisione internet e radio. Jack si fece coccolare dal tepore della casa, dal rumore di sottofondo del sistema e dal profumo della cena che aleggiava nell’aria. All’improvviso si udì un rumore fortissimo, un’esplosione: Jack spalancò gli occhi e capì che c’era qualcosa che non andava. Si trovava in una casa fatta di pietra, molto piccola e spoglia, con il camino. Dall’esterno, oltre ai raggi del sole, penetravano le urla e i rumori di una folla in tumulto che sembrava correre in modo disordinato e spaventato. All’improvviso una mano gli afferrò il braccio e una voce femminile lo distolse dalle sue riflessioni.

- Marito, marito! Cosa facciamo?

Jack si girò e vide una giovane donna tremante, in abiti di quasi mille anni prima: fu immediatamente colpito dai suoi stupendi occhi grandi e verdi, che aveva già visto, anche se non sapeva dove. Un’altra esplosione gli fece capire che doveva muoversi in fretta: prese il braccio della ragazza e si diresse verso la porta, che però si spalancò di colpo e mostrò l’immagine di due soldati. Buio.

Jack si risvegliò sul divano sudato e spaventato. Improvvisamente una fitta al petto lo assalì e per un attimo gli sembrò di essere sul punto di morire. Si trascinò verso il letto e decise che il giorno dopo non sarebbe andato al lavoro. Jack cercò di non pensare a niente per l’intera giornata, si rilassò e fece tutte le cose che normalmente non riusciva a fare. A metà pomeriggio si mise sul balcone per ascoltare il silenzio della città, godersi i raggi del sole e bere la sua tisana, riposando un po’. I suoi occhi si chiusero e un’altra esplosione gli fece salire l’adrenalina. Dei soldati lo fissavano con un sorriso maligno e uno di loro lo colpì in faccia facendolo cadere all’indietro, mentre l’altro trascinava la ragazza dopo averla afferrata per i capelli. Jack capì che la situazione gli stava sfuggendo di mano, ma il dolore del colpo subito non gli permetteva di muoversi. La ragazza non urlava, ma i suoi occhi erano inspiegabilmente assordanti: quello sguardo di aiuto penetrava nella testa di Jack, facendogli più male della botta ricevuta. Buio. Si risvegliò ma questa volta il dolore al petto era così forte da farlo contorcere sulla sedia stessa. Era chiaro che qualcosa non andava. Il sistema casa, rilevando un’anomalia nei ritmi vitali di Jack, aveva già allertato la squadra di soccorso dell’ospedale che si stava dirigendo verso la sua abitazione.

La stanza dell’ospedale era molto più piccola di quella dove aveva riposato dopo l’operazione. Il letto su cui era sdraiato era in realtà una branda di metallo, che però non era fredda, ma anzi dava una certa sensazione di tepore molto rilassante. Non sapeva da quanto tempo fosse lì ed ignorava cosa fosse successo. L’ultimo suo ricordo era un forte dolore al petto e l’allarme della casa che avvisava l’ospedale. Passarono pochi minuti e un giovane medico in camice bianco e con occhiali spessi entrò nella stanza.

Aveva un’aria cordiale e dopo aver dato un’occhiata veloce alla cartella clinica, si rivolse a Jack.

- Come si sente?

- Bene grazie!

- Lei è qui perché un forte stress ha sovraccaricato il suo cuore che è andato in aritmia. Ricorda cosa stava facendo quando si è sentito male?

- Si, mi stavo riposando e ad un certo punto ho iniziato a sognare, almeno credo, perché la situazione era così reale che non riuscivo a capire se stavo davvero dormendo. Ero in una casa di circa mille anni fa e dei soldati stavano aggredendo la mia famiglia.

- Capisco, le era già successo in precedenza?

- Si, la sera prima.

- Non si deve preoccupare, è abbastanza normale. Cercherò di spiegarle. Quando un organo così importante come il cuore viene inserito in un sistema riceve molte informazioni e cerca di soddisfare le richieste di tutti gli organi. Può capitare che bisogni latenti del cervello, repressi, vengano supportati dall’organo nuovo. Spesso possono sfociare in azioni violente o in azioni che la persona non avrebbe mai fatto prima dell’intervento. Sembra che lei senta molto la pressione del sistema e la viva come un’oppressione o un’aggressione.

Jack arrossì, sapeva che era pericoloso parlare male del sistema o dare esternazioni di opposizione.

- Può darsi, ma credo che sia solo dovuto al periodo di stress che ho attraversato per l’intervento e la relativa riabilitazione.

- Certo! In ogni caso lei fisicamente sta bene e può tornare a casa ma deve evitare situazioni come quelle di ieri. Il sovraccarico di tensione del cuore per un uomo nelle sue condizioni può essere fatale. Le consiglio di prendere questa pillola, è un inibitore, la farà vivere più tranquillo e cancellerà tutti i suoi sogni.

Jack prese la pillola viola e la mise in tasca. Aveva solo voglia di tornare a casa.

Una volta arrivato si mise subito a letto e ci rimase per un giorno intero. Dormì tranquillo, probabilmente grazie alle pastiglie che gli avevano dato all’ospedale e quando si svegliò rimase almeno un’ora disteso a fissare il soffitto. Mille pensieri affollavano la sua mente: i suggerimenti del medico, il flacone di pillole sul comodino, ma soprattutto gli occhi della ragazza. Il suo sguardo che esprimeva una disperata richiesta di aiuto lo inseguiva e non lo mollava un istante. Tutto quello che era successo era assurdo, in fin dei conti era solo un sogno. Però, come gli aveva spiegato il medico, quel sogno veniva dal profondo della sua anima ed era un qualcosa che il suo vecchio cuore era riuscito a reprimere per anni, ma che alla fine era stato libero di uscire, di gridare la propria voglia di combattere. Solo un inibitore poteva bloccare il suo reale pensiero, il suo vero bisogno.

- È questo che voglio veramente? – si chiese Jack

Voleva davvero reprimere i suoi istinti naturali, visto che chiaramente ci poteva essere in gioco la sua vita, come aveva sottolineato più volte il medico? Sicuramente il suo cuore non avrebbe retto ad altre emozioni come quelle vissute nei giorni precedenti, però forse vivere ignorando la realtà equivaleva in un certo senso a non vivere: non importa se il cuore batte o no, vivere una vita che è imposta, che non soddisfa è come essere già morto.

Forse adesso Jack capiva cosa era quella sensazione che aveva provato tantissime volte, che lo perseguitava e non gli permetteva di essere felice. Era la repressione del sistema che lo opprimeva, che non gli lasciava spazio: per cercare di proteggere le persone il sistema impediva loro di vivere, diventando per esse la prima minaccia.

Chiuse la scatola con le pillole nel cassetto e si mise a dormire sapendo che in pochi minuti si sarebbe ritrovato al fianco della ragazza, pronto a lottare come non aveva mai fatto per proteggerla.

Passarono pochi minuti e come aveva previsto, Jack si ritrovò tra le urla e gli odori della casa in pietra, davanti a quello sguardo che era fisso su di lui. Adesso non rimaneva che agire. Si alzò di scatto e si guardò le mani: era riuscito nel suo intento. Aveva passato la sera, prima di addormentarsi, a chiedersi come poteva affrontare quella situazione assurda: certamente non si sarebbe fatto trovare impreparato. Aveva girato per un’ora su e giù per la casa e alla fine aveva deciso di aprire la sua cassetta di sicurezza e di prendere il propulsore laser che, se puntato su una persona, era decisamente letale. Quando si era addormentato lo aveva stretto molto forte, quasi a cercare di farlo diventare una parte di sé e come aveva sperato adesso era ancora tra le sue mani. I soldati non si erano accorti della sua partenza e del suo ritorno ma stavolta si accorsero che c’era qualcosa di diverso in lui: il sorriso sulle labbra. Si alzò, puntò il propulsore e fece fuoco due volte: i due soldati esplosero letteralmente. La donna continuava a fissarlo con uno sguardo spaventato ed incredulo: lui le si avvicinò e l’abbracciò. Lo sforzo sostenuto iniziava a farsi sentire: il petto gli faceva molto male, ma era felice. Sapeva che probabilmente il suo cuore non avrebbe retto, ma non gli interessava, perché per la prima volta aveva aiutato, anzi salvato, qualcuno. Rimasero lì, nascosti fino a quando non smisero i rumori all’esterno. Era ormai sera quando decisero di uscire dalla casa. Era evidente che il villaggio era stato assalito, alcune case erano ancora in fiamme. Tutto era distrutto e molti corpi erano ormai senza vita distesi a terra. Lei aveva preparato un sacchetto con tutto il mangiare possibile e i pochi vestiti che era riuscita a portare con sé. I loro cavalli erano salvi e Jack spiegò alla donna che sarebbe dovuta andare da sola. Il panico la assalì di nuovo e sembrava che le sue obiezioni non dovessero mai finire, ma lui la convinse: a poche ore di distanza c’era il villaggio dei suoi genitori che si sarebbero presi cura di lei. Jack la vide partire con il vento nei capelli e il viso rivolto verso la strada: era una donna coraggiosa. Quando la ragazza sparì all’orizzonte, si accasciò tra le macerie di una casa e rimase lì ad aspettare che il tempo passasse e si prendesse la sua vita. L’aria della sera gli accarezzava i capelli: chiuse gli occhi e con un sorriso, che mancava sul suo volto da tantissimo tempo, si addormentò rapidamente.

La stanza dell'ospedale era molto buia, solo una piccola luce illuminava il viso della persona distesa sul letto: quel viso era appartenuto a Jack. Intorno a lui una serie di persone, con i loro appunti in mano, lo fissavano e discutevano.

Il medico, la bella infermiera e i tre supervisori del progetto cercavano di interpretare i dati che il sistema aveva analizzato e riassunto per loro in una scheda.

L'esperimento non era riuscito. L'inserimento di un cuore, collegato al sistema, in una persona con sintomi ribelli, aveva fallito. Ma non era proprio il cuore a comandare i sentimenti e lo spirito di una persona? Non era la sede dell'anima e dello spirito umano?

Il report redatto al fondo del foglio era chiaro e freddo come al solito.

Esperimento fallito per motivi inspiegabili, umani.

Il sistema dichiarava che, nonostante la sua potenza e la sua intelligenza, non era ancora riuscito a comprendere la cosa più importante: il suo creatore, gli umani.

Questa non era una novità, ma quello che tutte le persone intorno al tavolo fissavano era il tono di disprezzo.

Era inevitabile.

Era solo l'inizio.

 

Luca Stoppa