L'H, una passione romana

Quella mattina si svegliò presto e uscì sulla terrazza della casa in cui abitava da tanti anni. Roma, al solito, l’aspettava sorniona e gli offriva in tutta la sua leggendaria bellezza.

- Troppo generosa questa città – si disse bevendo il caffè – Troppo generosa troppo benevola... Non me la merito!

Un raggio di sole un po’ piccante le venne ad accarezzare la punta delle cervicali.

Marinella era una di quelle persone venute a Roma tanti anni fa, per studio e speranza d’amore col ragazzo dell’epoca. Poi, a mano a mano, un credito universitario dopo l’altro, una speranza sentimentale dopo l’altra, si era decisamente fermata e col passare degli anni e della spensieratezza, aveva finito per comprarsi una casa, indebitandosi a vita.

Indebitata, ecco la parola che le veniva in mente quando si fermava a pensare a questa città che  l’aveva accolta a braccia aperte e quando vedeva le vecchie liste di cose da visitare o da rivedere con attenzione e approfondimento. Un senso di colpa l’assaliva ogni tanto, con la consapevolezza di trascorrere una vitaccia frenetica, senza inizio, senza fine, con poca grazia e poca spiritualità, che sicuramente erano dei pilastri mancanti nella sua vità.

Solo quando soffocava nei trasporti si pentiva della sua scelta.

- Ah, che confusione, che caos questa città! Alla fine, che sorniona che sei Roma... Offri un mucchio di bellezza e in un istante un mucchio di pesantezza.

Faceva quelle riflessioni mentre le cervicale le bruciavano sempre di più per quel sole.

Sonnecchiò.

All’improvviso, vide un autobus H davanti a lei che l’aspettava con l’autista che indossava un costume tutto stampato di lettere H, aveva dei tatoo di H sulle braccia scoperte e un sorriso grande, grande con denti bianchissimi e ben allineati e una mandibola quadrata.

L’autista l’invitò a salire sull’H completamente vuoto e lei accettò subito.

AHHHHHH!!!!!!

Per quell’H aveva una passione, non del tutto spenta. Come poteva essere  diversamente. Un autobus che aspetti per un tempo infinito senza speranza e rimani sfinita, eppure ferma tenace immobile nel abisso dell’attesa. Gli autobus H sono di quelli che quando arrivano ti fanno dimenticare tutto, o quasi… Anzi, vorresti portare una candela in chiesa: è arrivato l’H, che grazia!!! Fila, vola, corre, sorpassa, non si ferma.

Prima si era innamorata del tram otto. Un amore forte, perenne, stabile. Poi l’H era diventato come l’amante, la passione che aveva fatto indebolire l’amore più regolare. Naturalmente si era stufata di quella passione devastante (ore nel freddo, speranze ingannate, degne di quelle durante l’infanza per chi ha vissuto l’attesa del ritorno della mamma che non torna mai) o di quei scenari ben conosciuti, come camminare pieni di energia verso la fermata e vederlo che sta andando via, come un velocista lanciato a grande velocità, portando con sé i fortunati di cui non fai parte, o naturalmente la versione che corri ansimando dietro (mai correre per un H, il combattimento è già perso) e non ti aspetta, va via.

Però, in quel momento, abbagliata dall’immensa luce calda e dall’invito alquanto allucinante e scintillante, salì molto lunsigata e gioisa sull’autobus, e l’H, fedele a se stesso, si mise a sfrecciare, saltellare, ignorando con superba più fermate, portando così la sua fama di express al di sopra di tutto (c’è il mondo e c’è l’H), di tutte (le fermate secondarie) e di tutti (quelli che l’avevano perso, cioè la maggioranza).

Stranamente, la velocità si sovrappose a quella del giorno, il buio arrivò in un lampo, il tramonto cadde molto velocemente. E si cantava Che fantastica la vita, Lungo Tevere, o ancora Chiamami amore.) A questo punto, l’autista divenne più un corteggiatore tenebroso e la sintonia tra loro due crebbe molto, fino a che l’autista, trasformato in H, diventò scintillante fuori e dentro con polvere di H intorno a lui e le chiese il permesso di farle da autista personale per i posti che non conosceva o che preferiva a Roma.

Così, saltellarono sul Gianicolo, Montecitorio, Monte Mario, vie bellissime, poi fecero alcuni capolinea (scegliendo a caso dei numeri di autobus) e cosi via. Ebbero una notte da sogno. Ma non solo una notte.

L’autista, in grande segreto (con l’energia speciale del segreto) le propose altre scappatelle di quel genere, che lei non ebbe la forza di rifiutare, tra le sue chiacchere premurose, le viste e splendori di Roma, luoghi sconosciuti e il potere e la forza che sentiva dentro di lei essendo su un H per lei da sola (sì, era l unica sull’autobus, ma incrociavano altri H ugualmente saltellando, con altri unici passaggeri felici, allegri e altrettanto autisti alla faccia di H, pieni di H, ognuno al suo modo, con tanta fantasia, capelli in forma di H, stickers incollati, croce d’oro con enorme H, H nella forma dei denti, occhiali, ecc.) . Era consapevole di vivere dei momenti unici. La vità è cosi, a volte.

Regolarmente, quando si svegliava, trovava su di lei un braccialetto o orecchini a forma di H, o un profumo nominato H, o bigliettini con scritto ahhhhhh.....

Però, un giorno, wham, i cartelli elettronici e altre app sui telefonini apparvero con l’orario di arrivo.

La magia scomparve, non subito, pian piano. Lei lo attese tanto, tanto, però, non era stupida e capì che tutto sarebbe diventato diverso. Molto presa, insistette, però, neanche in sogno ritrovò il suo magico autista.

Provava a parlare con gli altri autisti (che a volte per disperazione cercava anche di lusingare, caso mai uno potesse essere quello che aveva perso) e descriveva il famoso collega, però non funzionò.

- Mi dice qualcosa, boh non saprei – le rispondevano un po’ distrattamente.

Che noia...

Allora tornò ai suoi primi amori: i tram otto, sempre lì, sempre presenti, anche durante gli scioperi, anche di notte, anche accettando le bici dentro, non soffocando troppo perché tram e non autobus, e sopratutto che arrivavano sempre, prima o poi.

Si poteva anche fare dei sorrisi agli autisti senza vederli, quelli che riaprono le porte all’ultimo mentre stai correndo (cioè la routine).

Soffrì lo stesso per l’H e la sua magia persa e rimase un po’ amareggiata perché l’autista dell’H non l’aveva nemmeno avvisata. Tutti uguali gli uomini, era tentata di dirsi.

Un campanello la scosse dal suo sonnellino: un taxi, davanti alla sua porta, con un chauffeur dalla faccia larga, ma rotonda e molto sorridente.

- Bella signorinella – le disse – posso, con il suo permesso chiamarla signorina? Perché lei sembra avere vent’anni. Se vuole darsi la pena di salire.

Marinella rimase muta e un po’ interdetta.

- È lei che ha chiamato il 3570 per un percoso da capolinea a capolinea dell’autobus H? – aggiunse l’autista.

E nei suoi occhi brillava una scintilla forte in forma di P come Piacere di conoscerla, Pazzarella Per me non lo sei, mi Piaci...

- Perché no – si disse Marinella e salì sul taxi.

Blandine Arondel

 

Dedicata a tutti gli autisti degli autobus “H” dell’ Atac di Roma e a un certo taxi del 3570

 

* incipit tratto da Il sogno di Candito, racconto di Dario Amadei