La casa popolare

Loris aveva l'abitudine quotidiana di chiedere ad Antonio, suo padre, quando finalmente avrebbero potuto abitare in una casa nuova. Antonio rispondeva calmo. Ogni volta: “presto Loris,presto”. Erano le stesse risposte che riceveva all'ufficio assegnazioni. E cominciava a non crederci più.

25-30 metri quadri per 5 esseri umani non si possono definire con tutta la buona volontà, una casa. Se poi si aggiunge che i topi erano ormai coinquilini, il bagno (o meglio, la turca) era fuori in cortile , l'umidità e la muffa avevano da tempo ricoperto le pareti, il quadro di disagio della famiglia era completo.

Loris soffriva anche di reumatismi e a 9 anni , quando ancora devi cominciare a vivere, è abbastanza inconsueto. E le iniezioni dolorose  a cui si sottoponeva, erano come aghi che ti torturano senza pietà. Solo il miraggio di una nuova casa leniva un poco il male.

 Altra visita all'ufficio assegnazioni ed altra identica risposta”presto Antonio,presto. E’quasi il tuo turno”. La sensazione era che questa gente non avesse la benché minima idea di cosa volesse dire vivere con moglie e tre figli piccoli in una  specie di  stamberga .

La superficialità delle loro promesse, la vaghezza del loro sguardo quando ti parlavano, la vigliaccheria di nascondersi dietro una lista che dicevano  non dipendeva da loro, consumavano lentamente l'anima di Antonio. Che non sapeva più cosa rispondere a Loris ed al resto della famiglia e risvegliavano in lui antichi quanto pericolosi istinti non convenzionali.

Sapeva che il punto di rottura era vicino.  Si era ormai reso conto che quelle liste erano fasulle ed il suo nome veniva puntualmente passato dietro a chi arrivava dopo. E chi sa per quale particolare privilegio.

Antonio ora esce di casa. Carica in macchina un vecchio materasso ed un tavolino sgangherato. Antonio parcheggia in prossimità della strada principale. Trafficata. Molto trafficata. Scarica il materasso, il tavolino e li depone in mezzo alla carreggiata insieme a tutta la rabbia e alla frustrazione accumulata.

Si siede sul materasso e blocca la sede stradale. Pensa che adesso non dovrà essere più lui a fare domande a quei maledetti burocrati con le mani sporche di mazzette e merda: che è poi la stessa cosa.

Si formano infinite code di autoveicoli. Autisti nervosi che scendono e chiedono spiegazioni. Alcuni comprendono altri,invece, provano a forzare il blocco. La tensione aumenta e si arriva anche al contatto fisico.

Antonio era preparato a tutto questo e  qualche amico lo aiuta. Vuole quella casa. Gli spetta di diritto. Ha seguito tutte le cervellotiche procedure che gli hanno indicato. Ha aspettato pazientemente il suo turno ed anche dopo. Adesso da questa strada si muoverà soltanto con in mano un contratto d’affitto per una nuova abitazione .

E’ l’ora delle forze dell’ordine. Intralcio alla circolazione. C’era da aspettarselo. Si portano via Antonio. Una notte in questura e la rabbia aumenta. Nessuna paura, solo il pensiero alla sua famiglia ed il desiderio di giustizia.

Antonio torna dai suoi. Un abbraccio e una frase:”Quella casa ce la devono dare, non importa cosa devo fare per averla”. Ed infatti torna a sedersi sul suo materasso senza gomma piuma ma solo dure molle. Come dura è la strada per l’affermazione dei propri diritti.

Ora la storia la conoscono anche i giornali che hanno fotografato l’interno del tugurio mostrando ai lettori tutti i colori della sofferenza. Ma anche della caparbietà. Loris, i fratelli e la madre quasi si vergognano di tutta questa attenzione. 

E’ tutto più grande di loro. Ma ora tutti sono con loro e vogliono la giusta fine per questa incredibile storia italiana.

E così è stato. Antonio torna a casa dopo l’ennesima visita al commissariato. Ma questa volta ci torna con la promessa dei funzionari dell’edilizia pubblica  che a breve riceverà buone notizie. 

La lettera arriva. Antonio può addirittura scegliere tra due diverse abitazioni.

Loris lo aveva sognato la notte prima. Fare colazione in una vera cucina. Senza topi. La mamma che gli prepara la cartella nel salone e lui che saluta i fratelli nella loro cameretta.  

Tutto è bene quel che finisce bene. In effetti è stata una buona fine.

Una buona fine desiderata, voluta,lottata,giusta.

Ma quanti blocchi stradali era ed è necessario fare per ottenere ciò che spetta per legge? Quanta frustrazione e vergogna devi sopportare? Ma lo trasformi in coraggio per tentare l’impossibile.  Perché in fondo sai che hai ragione. Perché sai che la tua famiglia, la tua comunità, la tua nazione ti guarda. 

E allora, ogni tanto, un blocco stradale facciamolo. Per sbloccare le menti intorpidite dei burocrati, dei faccendieri, dei fancazzisti, degli speculatori, dell’elitè sovrana. Perché sappiamo, che in fondo, abbiamo ragione. Ed alla fine potremmo anche noi ottenere la nostra casa popolare. Come Antonio.


Gabriele Marcon