La maglia del cuore

All’uscita del paese si dividevano tre strade: una andava verso il mare, la seconda verso la città e la terza non andava in nessun posto. Lui tutti i giorni sceglieva la terza, quella che lo portava nella piccola azienda per la rilavorazione dell’alluminio… appunto in nessun posto! Le giornate trascorrevano lentamente, ma quel giorno Tomas finito il turno ritornò immediatamente a quel bivio. Lì ad aspettarlo c’era Wayne, suo figlio di dieci anni, in pantaloncini corti nonostante il freddo e con il suo pallone bianco tra i piedi, ormai consumato a causa delle mille battaglie affrontate insieme nei campi sabbiosi di Manchester. Era impressionante quanto si somigliassero: stessa corporatura alta, massiccia e sguardo simpatico, ma entrambi di poche parole. Dopo un breve cenno di saluto si avviarono verso lo stadio in un silenzio che lasciava spazio al rumoroso vento freddo che veniva dai monti. Tomas riusciva a sentire l’emozione del figlio, che per la prima volta andava a vedere la sua squadra del cuore. Poteva immaginare i pensieri che affollavano la sua mente. Ricordava bene quando anche lui era andato con suo padre allo stadio: una giornata fantastica, anche se ormai erano passati trent’anni. Era diventata quindi una tradizione familiare andare a vedere insieme il City.

Appena girato l’angolo di Arlington Road, videro lo stadio, gigantesco, immerso in quei rumori e negli odori emanati nell’aria dalla fibrillazione per la sfida che li attendeva.

Si misero in coda con gli altri ragazzi per sottoporsi ai rigorosi controlli della polizia e poi raggiunsero le scale per il loro settore, quello azzurro.

Dopo aver attraversato l’ultimo tratto al buio, vennero invasi da una luce stupenda e il cuore di Wayne si fermò per un attimo: era dentro lo stadio! Il prato verde, l’azzurro della sua squadra, che faceva il suo ingresso salutando gli spalti e il rumore dei tifosi che cantavano.

Fu un giorno indimenticabile. Il Manchester City vinse all’ultimo minuto due a uno, battendo gli odiati rivali del Manchester United e conquistando così la Carlington Cup.

Wayne era al settimo cielo come non lo era mai stato. Suo padre guardando gli occhi lucidi del ragazzo rivolti verso il campo, si sentì sicuro che quel giorno sarebbe stato per entrambi un bellissimo ricordo da portare nel cuore per tutta la vita.

Erano passati sei anni da quella fantastica notte, ma non c’era molto di cambiato nella città di Manchester. Wayne ormai era un ragazzo in piena adolescenza, iniziava ad avere la barba e ad interessarsi alle ragazze, anche se il suo grande amore rimaneva sempre uno: il football. Quello che sicuramente non era mutato era il legame forte con suo padre. Per Tomas invece le cose erano cambiate in modo drastico quel giorno in cui Josh, il suo medico di fiducia da quarant’anni, gli aveva spiegato, in modo semplice, i termini tecnici che riempivano il referto degli esami effettuati: si trattava di un tumore. Da quel preciso momento era cambiato profondamente il suo modo di vedere la vita, di affrontare i problemi e di vivere le emozioni. Il primo mercoledì del mese era il giorno delle visite e normalmente Wayne accompagnava suo padre per stargli vicino, perché sapeva che erano momenti molto duri per lui. Ma quel giorno Wayne non c’era. Un imprevisto non gli aveva permesso di essere lì. Tomas non aveva indagato molto, sapeva che prima o poi Wayne non avrebbe retto al continuo stress ed era giusto rispettarlo.

Fu grandissima la sorpresa quando, tornando dallo studio medico, lo vide insieme ad un uomo davanti alla porta di casa. Il ragazzo fece un cenno al signore vestito di scuro che, senza esitare, andò verso Tomas.

- Buonasera, sono Jack Marshall – si presentò – e avrei piacere di parlare con lei di suo figlio.

Certo, spero che non sia niente di grave.

- Assolutamente no, vedrà. Possiamo parlarne in casa?

Quello che non era chiaro a Tomas era lo sguardo di suo figlio, serio e sfuggente.

Si accomodarono tutti e tre in salotto e dopo i convenevoli di rito iniziarono ad entrare nel merito della discussione.

- Signor Rooney, sarò breve, non voglio farle perdere troppo tempo. Io lavoro per una società di calcio e seleziono ragazzi giovani con buone prospettive. Ho seguito molto suo figlio, l’ho visto giocare diverse volte e ritengo che abbia delle grandissime potenzialità. Finalmente sono riuscito a convincere la mia società a prendere con noi Wayne. E’ una grandissima opportunità per il ragazzo e per la vostra famiglia.

Non so se mio figlio sia pronto per cambiare città e vivere lontano, da solo!

- Ma Signor Rooney, siete fortunati, questo non dovrà accadere. La società è il Manchester United.

Tomas e Wayne incrociarono il loro sguardo. Adesso era tutto chiaro.

E’ incredibile come la vita riesca sempre a mescolare le emozioni e non si fa in tempo a goderne una che subito un’altra è dietro l’angolo a reclamare il suo spazio.

Tomas capiva che quella era un’occasione unica per Wayne, tanto grossa da stravolgergli la vita. Ma sapeva anche cosa significava per il ragazzo il football e il suo amore per il City. Nonostante la giovane età, Wayne era molto realista e già sapeva che nella vita spesso le cose non vanno come si vorrebbe e che le circostanze a volte mettono alla prova. A sedici anni il mondo sembra confuso e complesso, ma una cosa sola era chiara a Wayne: gli azzurri del City erano i buoni e i rossi dello United erano i cattivi. E lui era sempre stato un buono, anche se da allora in poi, tutto sarebbe cambiato.

Seduto sulla panchina di legno con il suo asciugamano intorno al collo, Wayne si stava rilassando prima di rivestirsi. L’allenamento era andato molto bene, aveva dato il massimo e i complimenti del mister, prima di rientrare negli spogliatoi, avevano cancellato in lui tutta la stanchezza.

Erano passati ormai due anni da quando era entrato in quello spogliatoio per la prima volta ed anche se il suo modo di giocare era migliorato in maniera impressionante e i suoi compagni e il mister avevano cercato in tutti i modi di farlo integrare nella squadra, Wayne non riusciva ancora a sopportare quei colori. Gli mancava l’azzurro e l’aquila, quel simbolo che più volte con i suoi amici si era tatuato con la penna sul braccio. Alcune notti aveva sognato di giocare nella squadra del City, di entrare in campo e di vedere tutti gli spalti in festa. Ma poi si era sempre dovuto svegliare. Sapeva che in realtà doveva ritenersi fortunato, che molti ragazzi avrebbero fatto carte false per essere al suo posto, ma questo non lo aiutava anzi peggiorava solo il suo stato d’animo. Wayne sapeva benissimo che il football per lui non era un lavoro, era il suo primo amore.

Così assorto tra i suoi pensieri, non si era accorto che il mister lo stava fissando da almeno cinque minuti.

- Mi sei piaciuto oggi. – gli disse – Mi piacciono quelli che lottano, che sanno ciò che vogliono. Quindi meriti un premio: ho deciso di convocarti per la prima volta per la partita di sabato. Sarà molto dura e avrò bisogno della tua grinta. Ora vai a casa e riposati.

Wayne era al settimo cielo, si rivestì in fretta e corse verso casa senza neanche dare uno sguardo al calendario delle partite.

Lo fece il giorno dopo quando, entrando nello spogliatoio, si trovò davanti la lavagna. Rimase bloccato a fissare quel foglio per qualche minuto. Ma come aveva fatto a dimenticarlo? Per anni aveva aspettato, insieme ai suoi amici, con ansia quel giorno. Avevano fatto la fila per comprare i biglietti appena erano stati disponibili e avevano pianificato ogni momento di quella fantastica esperienza. Come se un vaso chiuso da un lungo periodo si fosse aperto all’improvviso, affiorarono nella mente di Wayne migliaia di ricordi: i momenti felici delle fantastiche vittorie e quelli tristi delle pesanti sconfitte. Giornate fredde e di pioggia continua e qualche rara giornata di sole. Ma era il giorno del derby e ora lui si trovava dall’altra parte, giocava nello United, era uno degli avversari.

Wayne in qualche modo era riuscito a tenere nascosto ai suoi amici e al suo quartiere, di completa fede Citizen, la verità. Ma quella domenica, se il mister avesse deciso di farlo scendere in campo, mentire sarebbe diventato impossibile. Tutti avrebbero saputo la verità: che lui era un traditore.

La sera a cena affrontò il discorso con Tomas, il quale però reagì con un sorriso. Comprendeva il disappunto del figlio, ma cercò di spiegargli che lui non si rendeva conto di che momento fantastico della sua vita stesse vivendo. Doveva assolutamente goderselo e non rovinarlo con dei pensieri negativi. Oltre a suo padre nessuno sapeva quello che stava passando, nemmeno nello spogliatoio, perchè sarebbe stato impossibile affrontare quel discorso con i compagni e il mister. Ma per fortuna il fatidico giorno arrivò.

La città era in fibrillazione già dalle prime ore del mattino. Wayne si era svegliato alle sette, aveva fatto colazione con suo padre e aveva preparato la borsa per la partita. Nelle ore seguenti si era divertito a guardare la sua città, il suo quartiere, con gli occhi di un semplice spettatore. Finalmente arrivarono le 12. Il suo compagno Fried era fuori ad aspettarlo in macchina. La giornata stava realmente per iniziare.

Nello spogliatoio nessuno parlava. Wayne si sedette al suo posto ed iniziò a prepararsi. Quando indossò la maglia rossa, per un attimo il cuore gli si bloccò e gli passarono davanti alcune immagini della sua vita: la prima volta che aveva indossato la maglia azzurra del Citizen, le partite ascoltate per radio la domenica, ma soprattutto la prima volta che aveva visto il derby allo stadio con suo padre. Oggi invece la sua maglia diceva che avrebbe giocato con i Devils. Era confuso, avrebbe voluto non essere lì. Per fortuna il mister entrò nello spogliatoio: chiamò tutti i giocatori intorno a sè ed iniziò la riunione prepartita. Erano ormai le tre meno cinque quando finalmente raggiunsero il campo. Lo spettacolo era stupendo e le gambe di Wayne iniziarono a tremare. Il sole splendeva sull’erba e sulle gradinate gli spettatori esultavano sventolando bandiere di colore azzurro da una parte e rosse dall’altra. Wayne si accomodò in panchina e la partita ebbe inizio. Entrambe le squadre erano timorose di esporsi, vista l’importanza della posta in palio e il risultato sembrava destinato a non sbloccarsi. Al settantesimo il mister si girò verso Wayne dicendogli di iniziare a scaldarsi e dopo cinque minuti lo fece entrare al posto di Milner. Finalmente era giunto il suo momento. Subito il difensore centrale avversario gli si incollò e quando, dopo aver ricevuto la palla, tentò di involarsi verso la porta, lo fermò con un intervento deciso, scatenando l’esultanza dei tifosi del Citizen. Wayne conosceva bene il difensore centrale Roy, era uno dei suoi idoli e sicuramente questo gli dava un piccolo vantaggio: sapeva quali erano i suoi punti deboli. Da tifoso aveva sofferto mille volte, vedendo Roy preso d’infilata da una punta veloce. Doveva solo riuscire ad affrontarlo uno contro uno e il gioco era fatto. Nell’azione successiva arretrò molto prendendo almeno mezzo metro al suo avversario e quando un suo compagno superò con la palla la metà campo, scattò veloce verso la porta. Ci volle un attimo al giocatore dello United per capire cosa stava accadendo e il lancio arrivò perfetto. Incredibilmente Wayne si trovò solo davanti al portiere. Con la coda dell’occhio vide che Roy stava recuperando, ma ormai era troppo tardi. Gli bastò fare quello che sapeva fare meglio: calciò forte ad incrociare e il portiere fu battuto. Il boato fu così forte che Wayne quasi si spaventò. Uno a zero. Lo United era in vantaggio a tre minuti dalla fine.

I compagni lo travolsero e anche quelli più anziani, che lo avevano sempre guardato con un certo distacco, erano sopra di lui. Dopo qualche minuto la partita riprese il suo corso. Il Citizen si riversò completamente nell’area dello United e anche Wayne fu costretto a rientrare per dare un aiuto ai suoi compagni. Durante quei tre minuti più recupero, che sembrarono un’eternità, il Citizen rischiò di sfiorare il goal almeno in un paio di occasioni, ma lo United sapeva che era ad un passo da un’impresa che i suoi tifosi avrebbero ricordato a lungo e quindi resistette fino all’ultimo a denti stretti, respingendo in qualsiasi modo ogni assalto. E quando ormai il sole basso illuminava con una luce stupenda il campo di Manchester, l’arbitro, con il triplice fischio, dichiarò la fine del match. Un boato salì dalla parte rossa dello stadio e tutta la panchina corse ad abbracciare i giocatori, che sotto la curva stavano già festeggiando con i loro tifosi. Wayne era al settimo cielo e le attenzioni era tutte per lui, l’uomo partita. Bastarono cinque minuti, però, per fargli ritornare in mente suo padre e i suoi amici, che forse avevano già abbandonato lo stadio maledendo quella giornata e probabilmente anche lui che, da vero traditore, aveva dato il colpo di grazia alla sua squadra del cuore. Una pacca sulla spalla lo costrinse a girarsi: lo sguardo duro e avvilito di Roy lo trafisse e seguì un silenzio di alcuni secondi, che a Wayne sembrarono un’eternità. Ma poi, incredibilmente, il capitano del Citizen tese la mano e si congratulò con il giovane giocatore dello United.

- Il coraggio premia sempre, figlio mio e tu ne hai da vendere.

Wayne non riuscì a dire nulla e solo in quel momento si rese conto che tutto lo stadio lo stava applaudendo. Preso dall’entusiasmo abbracciò Roy, accompagnato da uno scroscio di applausi da entrambe le tifoserie. Fu allora che Wayne riuscì a vedere i suoi amici applaudire insieme al resto della folla e anche suo padre era lì ad applaudirlo e a fissarlo con occhi gonfi di lacrime, sicuramente per la gioia di vedere suo figlio diventare un uomo ed entrare nella storia.

 

Luca Stoppa