La pianura incantata

Quell'anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto e a metà giugno le pianure erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe pronte per essere raccolte.*

Chissà quanti bambini avrebbero mangiato dei buoni pop corn ignari del fatto che provenisse da quelle piante, cresciute così rigogliose e dorate in quella pianura dove i papaveri, sparsi qua e là, sembravano ombrellini di fatine e folletti che giocavano a nascondino.

In quel campo d'oro le spighe cullate dal vento sottile che s'insinuava tra loro, emettevano un suono leggiadro che, a orecchie poco attente, sembrava solo un semplice fruscio. Per Blue Bell no. Lei ci sentiva una musica dolce e struggente che cantava delle bellezze della natura, della vita spesa a produrre ricchezza e vissuta per procurare il bene agli altri.

- Che meraviglia! – pensava Blue Bell mentre avidamente, seduta sulla collinetta di fronte al campo, continuava a scrutarlo, ne ascoltava la musica, ne respirava profondamente i freschi odori.

Si sentì parte integrante di quel campo, tanto che si divertì a tanare prevalentemente i folletti, dato che lei si sentiva una fata e quindi parteggiava per le fatine.

Rimase a godersi quello spettacolo e a giocare fino a quando, dopo aver dipinto di rosso il paesaggio, anche il sole andò a dormire. Il vento, continuando a cullare le spighe, cantò la sua ninna nanna fino a farle addormentare e la sera svegliò altre creature.

- Sarà meglio che mi affretti a tornare o mi daranno per morta e incominceranno a telefonare a tutti gli ospedali. – pensò Blue Bell e, dopo aver dato un ultimo sguardo a quel paesaggio incantevole, si incamminò verso quella scatola di latta che chiamano macchina.

Durante il tragitto pensava a tante cose, a come aveva fatto a finire lì in quella valle dorata e incantevole così distante dalla civiltà.

- Civiltà poi... – pensava Blue Bell – piuttosto inciviltà. È civile l'uomo che strappa terreni a madre natura che gli offre cibo per il corpo, lustro per gli occhi e tranquillità per la mente?

Improvvisamente le venne voglia di gridare insieme ai grilli del campo che costeggiava il sentiero e senza preoccuparsi di chi la potesse sentire e prendere per matta lo fece.

- Sono nata nuda, generata da un seme della natura! – gridò Blue Bell.

Per un attimo tutte le creature della notte smisero di chiacchierare, ma fu solo un attimo per riprendere più forte di prima il loro chiacchiericcio che a Blue Bell sembrava seccato perché interrotto da un'intrusa.

Intanto era calata la sera e la luna crescente aveva acceso il suo argenteo spicchio di luce.

- Ma dove accidenti ho lasciato la macchina – disse Blue – non ricordavo di averla lasciata così lontana. Non mi sarò mica persa?

- Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna calante, è così che ho imparato dov'era il ponente e il levante – pensava ad alta voce Blue Bell per farsi coraggio mentre incalzava la notte e della macchina neanche l'ombra.

Ormai il campo di grano era lontano e quel melodioso fruscio del vento tra le spighe non si sentiva più. Le voci notturne erano diverse ora, più cupe e minacciose e Blue Bell, abituata ormai alla natura metropolitana irriverente ed egoista si sentiva timorosa e spaurita, quasi fuori luogo in quel paesaggio che era cambiato divenendo da dorato e ambrato, cupo e ombroso. Davanti a sè, maestoso e chiomato comparve un grosso albero che a Blue Bell sembrò una quercia secolare, tanto era grosso. Le venne la curiosità di misurarne la circonferenza. Segnò il punto di partenza posando la borsa ai piedi dell'albero, allargò le braccia e incominciò ad abbracciarlo e a contare.

- Uno, due, tre…

Più contava e più si sentiva forte e meravigliata dell'ampiezza di quel tronco.

- Quindici, sedici, diciassette...

E qualcosa la fece trasalire.

Aveva sentito un fruscio tra le foglie dell'albero e una folata di vento leggero che dal piede le sfiorò il lato sinistro, ma non c'era vento. Blue Bell smise di contare e notò un'apertura nel tronco.

- O mio dio, non sarà mica il villaggio dei Puffi, la tana di una volpe, o peggio ancora l'antro di accesso alla casa di una strega – pensò.

La macchina non si vedeva, si era fatto buio, la curiosità era tanta, Blue Bell superò la paura e decise che avrebbe passato lì la notte. Si rannicchiò nella cavità e stava per addormentarsi quando sentì una vocina stridula.

- Ehi tu! – disse – Chi ti ha accordato il permesso di introdurti in casa mia? Sempre così questi mortali: arroganti, presuntuosi, egoisti e incivili. Anzi civili secondo la loro logica inciviltà!

- Chiedo scusa, non sapevo fosse abitato – disse Blue Bell con voce tremante e meravigliata nello stesso tempo.

- Bastava dire semplicemente permesso, come fate tra voi mortali, o non fate più nemmeno questo? – continuò la vocina.

- Ha ragione, mi scusi. – disse allungando la mano e non sapendo dove guardare se non in alto verso la chioma – Mi presento, sono Blue Bell, ho smarrito la strada dove ho lasciato la macchina e le chiedo ospitalità per la notte.

- Tipico di voi mortali essere superficiali e sbadati verso cose che credete di possedere, prima le desiderate e poi, una volta avute, ne desiderate altre. Avidi e stupidi mortali che non vedete altro che il vostro egoismo e non oltre al vostro naso.

- Non è vero, non siamo tutti così e poi non le permetto di offendere. – sbottò Blue Bell – Io amo la natura, ho cura delle mie cose, dei miei affetti, osservo con attenzione il mondo e la vita che mi circonda.

E stava per continuare quando la vocina la interruppe

- Ah sì! – disse – Blue Bell è attenta, osserva, ama, ha cura delle sue cose… E allora girati e guarda in direzione del tuo naso all'orizzonte e dimmi cosa vedi!

Blue Bell si girò, guardò in direzione del suo naso all'orizzonte e vide. Poco distante da lei, rischiarata dall'argentea gobba a ponente, c'era la sua auto.

Blue Bell si girò di scatto, alzò lo sguardo e le braccia al cielo e stava per dire qualcosa quando la vocina le parlò ancora.

- Perché guardi verso l'alto? È verso il basso che devi guardare.

Blue Bell, ritirate le braccia, guardò verso il basso e, per una microscopica frazione di secondo, le sembrò di vedere una minuscola creaturina, simile alle fatine che aveva visto giocare nel campo di grano, con in mano una lanterna dal bagliore fioco simile a quello di una lucciola. Non fece in tempo a vedere altro che la creaturina fatata era già svanita nel nulla. Blue Bell la pregò di farsi vedere, ma non ricevendo risposta pensò che sarebbe stato incivile e scortese insistere. Salutò e mentre andava pensierosa verso la macchina, risentì la vocina.

- Ricordati, guardando in alto vedrai una fila, guardando in basso vedrai una folla.

Blue Bell, avviò la macchina e tornò nella città piena di smog, di strade bucate e palazzi costruiti su campi una volta dorati. Ancora una volta la natura aveva dato lezione di vita e Blue Bell ne aveva avuta una di umiltà e saggezza.

- Davanti a noi c'é la fila di pochi privilegiati, ma dietro di noi una folla di disperati.

Blue Bell si sentiva più felice, ricca e privilegiata.

 

 

Sofia Morena

*Incipit tratto da Niccolò Ammaniti, Io non ho paura