La signorina a pois

Quell’anno, il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto e a metà giugno le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe, pronte per essere raccolte.*

L’aria era satura di profumi esaltanti, quasi soffocante. Ero così piccola, non ancora maggiorenne. Ah! Mi sentivo eccitata, nervosa, avevo il batticuore. E nello stesso tempo, mi sentivo fragile, sola, depressa, spaventata di tutto ciò che mi stava intorno e dentro di me. Con il mio abito non stirato, ma lucido, brillante. Era a fondo rosso carminio e pois neri, così carini, all’ultima moda, fichissimi!!! Sembrava un abito da sera, dolce, vellutato soave. Mi sentivo splendente appena sveglia, oh certo, posso dirlo, mi sentivo forte, bella, anzi bellissima. Sentirsi bella ti dà un potere, che va ben oltre la vanità e quando tutto ti manca, almeno questo ti fa compagnia.

Un maschio di formica era stato scortese.

- Già dal mattino presto, sei pronta per la serata, pfff, immagina se io indossassi lo smoking dalle nove del mattino. Ahahah, dai sei veramente strana.

In ogni caso, avevo dentro di me la sensazione che non avrei vissuto tanto tempo, ma intensamente si !

Anche il mio corpo era teso da tutte le parti, esplodeva e soffocava sotto le trasformazioni della mia gioventù e l’aria era satura di caldo e di profumi esaltanti…

Sentivo che avevo delle ali piccole e molto fragili. Era una sensazione forte sospesa tra il piacere di avere le ali e la vergogna di non saperle usare.

Mentre mi stavo rimirando in fretta e un po’ nervosa in una gocciolina, un rumore stridente mi ruppe i timpani, che mi si erano appena formati. Passi, rumori e voci di mostri giganti, che parlavano in una lingua straniera di origine sconosciuta. Insomma, il terremoto! La mia bisnonna quando ero ancora una larva me ne aveva parlato.

- Ti trovano adorabile – mi diceva – però stranamente ti vogliono catturare. Lasciali perdere, figliola mia.

Ma io, naturalmente dotata per le lingue straniere, in un tempo da record, cominciai a capire quello che i mostri si stavano dicendo.

Sembrava che ci fossero due persone, una con voce chiara e acuta e l’altra profonda e maschile che cambiava di timbro ogni due secondi. Adesso i passi si erano fermati e apparentemente si erano seduti sull’erba a pochi metri da me, perché avevo sentito un terribile caos. Ci furono feriti e tanti insetti mi caddero addosso, io ero salva e anzi ne avevo approfittato per mangiare senza masticare.

Ora ero contenta, sazia, finalmente accadeva qualcosa di eccitante, che forse avrebbe cambiato il mio destino o mi avrebbe fatto fare una bella figura.

- No, no, per favore, smettila, dai, non così – riuscii a capire.

Poi silenzio, sospiri di brutto.

- No, ti ho detto, no che fai – sentii di nuovo.

Spostamenti nell’erba, per un attimo ho avuto paura, però grazie alle mie ali sono riuscita a spostarmi.

La voce della donna era sempre più agitata, suplicchevole, nervosa e alla fine delle grida.

- Ehi, stai calma, non fare la pulcinella – disse la voce d’uomo – ti ho visto, dovresti sapere quello che voglio, quando provochi, devi assumerti le tue responsabilità. Ma che tipo di donna sei ?

Poi silenzio, sospiri e infine un altro grido.

- Nooooo!!! Aiuto!!!

Sentii allora un’emozione grandissima. Io, piccola signorina, sommersa di sentimenti contrastanti tra piacere e timore sentivo di dover fare qualcosa più per vanità che per convinzione.

Non riflettei, con la bocca piena, spiegai le mie ali e volai nell’aria, fuori dall’erba che era il mio paradiso. Senza pensarci, istintivamente mi misi sulla bocca della donna, la quale fece un movimento brusco e siccome l’altro stava per baciarla, ricevette un pugno in faccia. Il tempo di realizzare, iniziai a volare sugli occhi dell’uomo e chiamai un mosca e una vespa, usando la loro lingua che conoscevo in maniera approssimativa. Fu un grido di aiuto che mi svuotò completamente, invecchiai vent’anni in un istante e mi vennero un sacco di rughe. Nel frattempo l’aria si era fatta ancora più calda e profumata e la donna piangeva e urlava, io mi sentivo sul punto di fallire, di morire, avevo paura di tutto, anche degli altri animali. Quando, all’improvviso, quel caldo fece apparire una coppia di vespe, molto vecchie che stavano insieme da cinquant’anni ed avevano appena festeggiato le loro nozze d’oro. Erano un po’ brilli ed eccitati e questo permise loro di pungere l’uomo che aveva un prodotto dolce nei capelli. Tutto questo avvenne in pochi secondi, durante i quali sentii un’altra voce, più flebile, era quella di una ragazzina.

- Mamma, mamma, che fai? Dove sei? Guarda che cosa ho trovato…

- Si, sono qua! – gridò subito la donna mettendosi in piedi – Si amore della mamma, facevo una passeggiata, sono qua, che cosa hai trovato bella mia?

- Una coccinella! – gridò la bambina – La voglio portare a casa! La voglio adottare, indovina quanti pois ha? L’ho toccata sai!

Sentii a questo punto un altro grido, nella mia lingua questa volta, un grido di panico, disgusto, morte, spavento. E a questo punto, siccome ormai ero la superwoman con il mio manto di supereroe, volai in soccorso del mio simile, che in realtà era un ragazzo non male. Lo portai sulle mie spalle, soffiando come un maiale.

- Dai, dicevo, sbrigati, le tue ali, sono mica per i cani? Aho – imitai l’accento romano, tanto per scuoterlo, lo sentivo un codardo.

- Ahhh! Ma dov’è sparita? Ahhh, ce ne sono due! Ahhh, volano!!! – gridava intanto la ragazzina.

Io mi sentivo in un film francese del dopoguerra quando l’elicottero arrivava finalmente in zona libera.

- Dai, forza, non mollare, non piangere, ce la faremo! Tanto, comunque tra un po’ morirai e anch’io.

- Lasciala piccola mia, lasciala, un giorno ti spiegherò quanto le coccinelle possono essere le tue fate – disse la madre con un tono di voce stranamente calmo – basta lasciarle in pace, che fanno dei miracoli.

La ragazzina tacque perché fu molto sorpresa da quel tono di voce e anche dallo sguardo, molto triste, con gli occhi umidi.

Da quel giorno la ragazza amò profondamente le coccinelle, senza mai catturarle. Divenne una zoologa famosa, specializzata nei coleotteri e naturalmente collezionò tutti gingilli a forma di coccinelle, riempiendo la sua casa. Fece parte di un’associazione internazionale per la protezione delle coccinelle, fece delle conferenze, alle quali prese parte anche il suo psicoanalista, scrisse dei libri, si vestì da coccinella (abiti, pantaloni, pantofole, biancheria, orecchini, copriletti, mug, tende della doccia, ecc) Insomma, era diventata una persona un po’ strana, stravagante, che faceva paura agli uomini. E i miei discendenti le furono per sempre riconoscenti.


Blandine Arondel

*Incipit tratto da Niccolò Ammaniti, Io non ho paura