La strada

Quell’anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto e a metà giugno le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe pronte per essere raccolte.

- Ah, un ragno! – gridò Pietro.

- E fai attenzione, stupido! – brontolò Giovanni, il fratello maggiore.

- Possibile, Pietro? Sei figlio di contadini da cento generazioni e hai paura dei ragni – aggiunse il padre che guidava il trattore.

- Ma i ragni sono brutti, neri e schifosi – piagnucolò il piccolo Pietro – e io non voglio venire nei campi con voi, perché ora ho tanto sonno e dopo avrò tanto caldo.

- Eh, non vuoi venire nei campi… e cosa vuoi fare allora? Restare in casa con le donne a fare la sfoglia? – incalzò il terzo fratello – E ora smettila di frignare e lasciaci sonnecchiare un po’, finché non arriviamo.

Pietro invece non riusciva a dormire. Pensava, con malinconia, ai giorni trascorsi nell’aula della sua scuola e, con tristezza, ai caldi mesi estivi che lo attendevano nei campi.

Non riusciva a spiegarsi il perché, ma lui non si sentiva come suo padre e i suoi fratelli. Con la semplicità dei suoi sette anni, non riusciva ad immaginare il suo futuro tra le spighe alte del grano.

Del resto, l’aveva detto anche la maestra. Già, nessuno se ne era accorto, quella mattina di primavera, ma lui aveva sentito la maestra sussurrare alla mamma che, secondo lei, era evidente, lui era portato per lo studio. Era puntuale, preciso, ordinato, sempre interessato a migliorarsi.

- Questo bambino non ha il visetto, né l’andatura del contadino. – aveva detto la maestra – Ci pensi signora, ne parli con suo marito: se lo fate studiare farà strada.

Pietro, in effetti, non aveva ben compreso cosa significasse “farà strada”, però la strada gli sembrava già meno calda e polverosa dei campi di grano.

Ci pensò su tutta la notte, poi prima dell’alba si alzò in silenzio. Mise un po’ di pane e formaggio nella sacchetta che portava sempre con sé, aggiunse anche una maglia pulita, così la mamma sarebbe stata più tranquilla e si rimise a letto.

Quella mattina sul trattore non frignò e nei campi aiutò suo padre e i fratelli di buona lena, tanto che ebbe il permesso di riposarsi un po’ subito dopo pranzo. Pietro ne approfittò per allontanarsi, pian piano, senza dare nell’occhio, portando con sé la sua preziosa sacchetta. Non aveva in mente un posto preciso dove andare, voleva solo allontanarsi per sempre dalle dorate spighe di grano e dai ragni. Camminò per ore, per giorni, forse per mesi. Ad ogni chilometro che percorreva, i campi diventavano sempre più spogli e aridi e i pascoli sempre più silenziosi. Il cinguettio degli uccelli si rarefaceva ad ogni passo e si sentiva sempre meno il fastidioso ronzare degli insetti. Si guardava intorno stupito, ma non voleva fermarsi, non poteva tornare indietro proprio ora che si stava finalmente lasciando alle spalle ragni e campi di grano.

- Ehi, pst, dico a te, mi senti?

- Ma chi è che parla? – chiese Pietro che non vedeva anima viva da giorni.

- Sono io, sono qui – continuò la vocina dal tono vellutato. – Insomma, hai tanta paura dei ragni e non vedi che ce ne è uno proprio sopra la tua sacchetta? Che poi, se vogliamo dirla tutta, sono io.

- Ma io chi? – replicò Pietro infastidito.

Poi, atterrito, si sfilò bruscamente la sacchetta dalle spalle e la lanciò a terra.

- Ohi, attento, mi vuoi schiacciare? – disse il ragno scivolando dalla sacchetta.

Pietro, incredulo, continuava a stropicciarsi gli occhi e a guardarsi intorno, come a cercare colui che gli stava tirando quello stupido scherzo.

- Vado a rinfrescarmi la faccia in quel ruscello, così quando torno questo brutto ragno se ne sarà andato e io potrò riposare un po’ qui all’ombra. Ho camminato troppo, è per questo che ho le visioni.

- Perché dici che sono brutto? Solo perché non sono come te? Beh, guarda amico, non so se te ne sei accorto, ma qui siamo rimasti solo noi due, quindi forse è il caso che ti rassegni a parlare con me.

- Come, solo noi due? – saltò su Pietro, dimenticando di aver rivolto la parola a un ragno.

- Ah, vabbè, ma dove vivi, tra le nuvole? Non ti sei chiesto come mai stai camminando da giorni e giorni senza incontrare un centro abitato, un pascolo, dei campi arati, un essere umano o un insetto di qualunque genere?

- Beh, in effetti… – bofonchiò Pietro – Ma aspetta un momento! – esclamò poi allarmato – Ma tu come fai a sapere da quanto tempo cammino?

- Ah, meno male! Allora non sei proprio tonto come temevo – sospirò il ragno – Io sono quello che ogni mattina ti infastidiva sul trattore. Scusa, ma le giornate sono così noiose, che quando capita un moccioso da torturare, lo devo ammettere: è uno spasso ragazzi! Però l’altra mattina – continuò facendosi più vicino allo scarpone di Pietro – quella in cui hai deciso di tagliare la corda, mi hai insospettito perché non ti lamentavi. E si che io m’impegnavo! Così per tenerti d’occhio, mi sono sistemato sulla tua preziosa sacchetta.

- Ma questa è una persecuzione! – esclamò Pietro – Io scappo dalla mia famiglia per fare strada e, dopo tanta strada fatta, con chi mi ritrovo a parlare? Con te, l’incubo delle mie estati nei campi di grano. Quasi quasi me ne torno a casa.

Il ragazzo era davvero sconsolato.

- Non puoi. – disse serio il ragno – Quello che hai lasciato non esiste più e neanche quello che pensavi di trovare c’è ancora.

E risalì la gamba di Pietro fin sotto il ginocchio.

- Che vuoi dire? Certo che esiste! – affermò il ragazzo – Ora te lo dimostrerò: prenderò la strada in senso contrario e cammina cammina, tornerò a casa.

- Allora no, non mi ero sbagliato – ribattè il ragno – sei proprio tonto! Ti ostini a non ascoltarmi e a non ragionare e questo solo perché sono un ragno. Se qui al mio posto ci fosse un essere umano, sono certo che presteresti più attenzione.

- Che fai, ti offendi? – sorrise Pietro, ironico.

- No, ti faccio semplicemente notare quanto sei ottuso. Il tuo mondo fatto di campi di grano, di polvere e di ragni come me è svanito lentamente, un po’ ad ogni passo che percorrevi.

- Ma come? – domandò Pietro senza avere però la forza di completare la frase.

- Sono stati quelli come te a farlo scomparire – proseguì il ragno, giunto ormai, a portata di sguardo, in cima al ginocchio piegato di Pietro

- Quelli come me? Vuoi dire dei bambini? – chiese con tono beffardo Pietro

- No, intendo dire quelli che hanno abbandonato la Terra, che si sono sentiti esseri superiori agli altri che la popolavano, che hanno pensato di poter sopravvivere producendo inutili ferraglie e, per questo, hanno abbandonato i campi.

- Oh! – sospirò Pietro, senza aggiungere altro

Rimase in silenzio per una buona mezz’ora a riflettere. Poi, con un tono e un timbro di voce nuovi, più maturi e consapevoli, si rivolse al ragno

- E tu? – gli disse semplicemente

- Io cosa? – chiese l’animaletto, risalendo rapido la gamba di Pietro fino in prossimità del braccio che vi era stancamente adagiato

- Beh, si… Tu cosa pensi di fare?

- Ah! – esclamò il ragno, arrampicandosi sul braccio di Pietro – Io pensavo di diventare tuo amico

A quell’affermazione innocente e sincera, Pietro scoppiò a ridere e raccolse il ragno sul palmo della mano.

- Se mi vedessero i mie fratelli – disse scuotendo la testa – Io che faccio amicizia con un ragno… Sei simpatico, sai?

Il signore di mezza età, in giacca e cravatta, seduto sulla panchina del giardinetto pubblico, si ridesta ridendo da quello strano sogno. E’ ormai diverso tempo che esce di casa con la valigetta per andare al lavoro, ma il lavoro non c’è più. La sua scrivania è ora la panchina del giardinetto, dove per ore medita ogni giorno sul suo futuro. I genitori avevano assecondato la sua indole e seguito i consigli della maestra. Era così diventato ingegnere e aveva “fatto strada”, come dicevano tutti nel suo piccolo paese dove tornava di rado.

E poi il baratro. La sua azienda fallisce, la sua età è tagliata fuori dal mercato del lavoro e lui si ostina tutte le mattine a vestirsi e ad uscire come aveva sempre fatto per tanti anni e non perché a casa ci sia qualcuno a cui nascondere la nuova amara realtà, ma perché non vuole farsi rubare anche la dignità di quell’abito, per cui i suoi genitori e lui stesso hanno fatto tanti sacrifici.

Ma ora ha capito, ha capito di aver sbagliato tutto fin dall’inizio. Ora è tutto chiaro: decide di farla finita con quella valigetta, con quella giacca e con quella cravatta e parte. Parte per tornare alle spighe di grano che erano e sono la vita, con la certezza che i ragni, ora, non lo infastidiranno più.

 

Cinzia Pacelli