Ma 'sta scala?

- Signor Giudice, quando noi abbiamo fatto questo eravamo piccoli, eravamo dei bambinetti

- Uhm, bambinetti… trentuno anni lei, trentatre, ventisette e ventiquattro gli altri tre...

-Sì, vabbé, per modo di dire, dai, eravamo studenti!!! Ma lei... con tutto il rispetto, ci mancherebbe altro, com’era lei, voglio dire, quando era bambino, signor Giudice? Sono sicuro che...

- Uhm - tagliò corto l’egregio Giudice, che aveva il viso afflosciato ma gli occhi molto accesi.

- Allora, vediamo - disse in tono didascalico – lei, signor Lego, era uno studente stagista, il signor Corrimani invece era un apprendista costruttore, il signor Scaloni, da poco laureato in architettura e assunto a tale titolo, mentre il signor Saliscendi era un muratore.

Roberto Lego, capelli a spazzola ricoperti di gel, giacca jeans gravata da un chilo di badge e altri pin’s, orecchini e pearcing, ci teneva ad essere riconosciuto come uno senza peli sulla lingua, che aveva l’audacia che gli bruciava dentro.

- Egregio Presidente - disse lentamente Mario Corrimani, trentenne con la barba, una sigaretta appena arrotolata, qualche tatuaggio romanticone e l’apparenza di uomo a cui non piace per niente essere pressato - noi eravamo sfruttati. In realtà, i capi andavano a fare baldoria tutti i giorni senza lasciarci né materiale, né istruzioni chiare. In quanto ai soldi, poi, oltre a grandissime promesse, non ci davano un bel niente.

- Uhm - il giudice tentò di schiarirsi la voce nel microfono, come per riprendere il sopravvento, però si ricordò all’improvviso che aveva dimenticato lo spray per la gola e il pensiero lo fece veramente tossire – Cough, cough... Ditemi un po’, che tipo di sostanze illecite avevate preso quella famosa notte del 12 giugno 1994, in cui avete elaborato e costruito questa scala che sbuca su un muro a un metro dal pavimento? Dico, per arrivare a quale risultato?

E mostrò la foto all’intera aula. Si vedeva una scala esterna, contro la parete di una casa, che, scendendo da destra verso sinistra, terminava sul niente, ovvero su un muro cementato senza porta, rialzato rispetto al pavimento. Lungo la scala, ad un certo punto, c’era una piccola finestra quadrata con sotto una scritta in vernice rossa: “Ma ‘sta scala?”

Risate dei presenti in aula che vedevano la foto su uno schermo gigante, come gli spettatori televisivi, perché l’udienza era filmata a puntate ed era un successo enorme per la Rai. 

I fatti risalivano a più di cinque anni fa.  I tre padroni del cantiere, tornando da un ennesimo festino per degli appalti vinti, erano arrivati di notte e ubriachi al cantiere. Avevano riconosciuto da lontano i ragazzi che fuggivano ed erano poi entrati nella casa. Uno di loro, per prendere una bottiglia nel garage, era sceso di corsa sulla famigerata scala ed aveva stupidamente sbattuto contro il muro. Un  altro compare, anche lui ubriaco fradicio, aveva tentato di raggiungerlo, però quella maledetta scala, costruita in fretta e furia, senza tutte le viti necessarie, era crollata sotto il suo peso ed era caduto, purtroppo per lui, in un buco nel pavimento, fatto in previsione di una piscina, rompendosi molte ossa. Il terzo compare, vedendo la scena, si era messo a ridere come un matto, perché aveva preso altre sostanze illecite in discoteca. Quando aveva smesso di ridere, però, si era spaventato e se n’era andato senza farsi più vedere. Siccome custodiva lui i soldi, gli altri due, arrabbiatissimi, se l’erano presa con i quattro ragazzi, denunciandoli, tanto più che gli acquirenti della casa, quando l’avevano visitata il giorno dopo e avevano visto la scala, erano andati via spaventati.

- Se fanno una scala così, figuriamoci il resto! – avevano pensato.

Volevano indietro la caparra, ma i soldi non c’erano e quindi non restava altro che rivolgersi al tribunale.

La casa era stata abbandonata, occupata da gruppi rock alternativo e cani randagi e cinque anni dopo, avevano trovato la scala con il graffito “ma ‘sta scala?”.

Mauro Scaloni, capelli neri lunghi sulle spalle, che si scansava dal volto sbuffando, vestito con una bella camicia bianca dal collo rigido e tutto il resto nero, prese allora la parola.

- Signor Giudice, io ho fatto una proposta. Con la mia compagnia di teatro d’avanguardia, vorrei venire a fare le prove e le rappresentazioni sulla scala, con la finestra che servirebbe per far entrare ed uscire il materiale. Sarebbe perfetto, tanto più che facciamo uno spettacolo di burattini. Sì, sui notabili della città, è vero... Sì, una caricatura, una parodia...

Mormorii vari dell’aula, c’era chi apprezzava e chi invece non sopportava.

Nino Saliscendi era nervoso. Giacca di pelle nera tutta rovinata, capelli tirati all’indietro con brillantina, viso segnato, tante catene, mani in continua agitazione con dita callose e uno sguardo che esprimeva tutte le sue emozioni sempre di misura XXL.

- Signor Giudice, signori, noi siamo tutti e quattro disoccupati o molto precari. Siamo noi ad essere stati sfruttati, abbandonati, ricattati. Non è che potevamo fare causa a loro, che, come sapete, conoscono tutta la città. Noi che non contiamo niente, che dovevamo fa’? Eravamo dei ragazzi, non degli incoscienti. Non volevamo questo… - disse con un pizzico di emozione, alzando il braccio in direzione del signor Scalinetti, su una sedia a rotelle, con lo sguardo impassibile e duro - Sì, è vero che abbiamo fumato tante canne, ma che dire di loro tre, signor Giudice? Adesso, come convenuto, vado via perché devo dare una mano a mio cognato che gestisce una grande pizzeria al taglio e poi devo andare a prendere mio figlio a scuola, perché mia moglie oggi non può.

Da quel processo sono passati quasi vent’anni e la storia si è conclusa con un pena di pubblica utilità. I quattro dipendenti hanno dovuto distruggere la scala e costruirne un’altra sotto il controllo di un nuovo architetto con la guida di un altro capo cantiere. Hanno poi dovuto pulire il graffito e hanno avuto l’obbligo di andare a visitare regolarmente dei malati ridotti sulla sedia a rotelle. I costruttori, invece, hanno dovuto pagare ai quattro quello che dovevano, più un risarcimento danni.

Quando tutto è finito, i ragazzi hanno festeggiato a casa di Mario e poi hanno deciso di aprire un bar cabaret, chiamato “Attenzione alla scala”.  Tutte le sere c’erano spettacoli su questa tematica: ballo, improvvisazione teatrale, rappresentazioni tragiche, o tragicomiche, rap o slam a secondo della moda, poesie di denuncia della società, cocktail dal nome “Escalation”. Hanno pure stampato dei bagde, degli stickers, con l’immagine della famosa scala. Tuttavia, questo bar cabaret, dopo un successo discreto dovuto alla fama televisiva, non è durato.

Le famiglie delle due “vittime”, amareggiate, li hanno ostacolati in tutti i modi, appellandosi alla burocrazia e i ragazzi, indirettamente, hanno anche ricevuto delle minacce. Pian piano, hanno dovuto chiudere, soprattutto per problemi di gestione.  Ognuno è andato per la sua strada, con alcuni debiti.

Poi sono diventati più vecchi e, passando davanti alla famosa casa, hanno scoperto che era diventata una casa di riposo privata, abbastanza lussuosa.

Si chiamava “FINALMENTE” e sotto l’insegna c’era scritto in una maniera quasi illeggibile “Prima o poi, la scala non sale più, ma scende e sbuca su nulla”!

Diciamo che, fortunatamente, l’importante era soprattutto di sapere chi c'era dentro questa casa di riposo, cosa si mangiava e come si veniva curati.

Ma chi sarà stato il proprietario di quella struttura? Non sarà mica stato uno delle due sopra descritte “vittime”? No!!! Era il Giudice!!!

Tutti i quattro hanno conservato la foto della scala e piace molto a loro rievocare questa storia con particolari diversi.

- Sei tu che hai avuto l’ idea...

- No! Tu!!!

Ma tra i quattro, ce n’è uno, o di più, che ci andrà, in questa casa di riposo? Giurano di no, però, chissà, alla fine magari possono avere uno sconto, o chiedere diritti d’autore.

Blandine Arondel

[racconto nato dopo aver visto l'immagine qui sotto]