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- Vi volete sbrigare o no? Non è possibile essere così lenti! Sarebbe meglio che la sera andaste a dormire prima invece di bighellonare con quegli sfaccendati dei vostri amici! – tuonò l’uomo rivolto ai suoi figli intenti ad aiutare gli operai nell’azienda di famiglia.

Alberto, un signore alto ed atletico con il volto non ancora solcato dalle rughe e due occhi penetranti, possedeva la baldanza dell’età giovanile, nonostante l’avvicinarsi del sessantesimo compleanno.

Il suo motto era: “Non bisogna perdere tempo e ogni attimo della giornata deve essere utilizzato per raggiungere dei risultati.”

Produrre e poi produrre era la frase che amava ripetere più spesso.

Lo sapevano bene anche i suoi dipendenti a cui non era concesso il minimo cedimento nell’ambito professionale.

Alzando le spalle ed aggrottando le folte sopracciglia, borbottò fra sé e sé osservando con insistenza i suoi figli con aria di disapprovazione.

- Questa generazione è fatta proprio da rammolliti, non hanno idea di che cosa significhi lavorare. Io, alla loro età, stavo già al chiodo, alzarsi all’alba e portare a casa lo stipendio a fine mese era l’unica idea che avevo in testa, altro che tutte quelle stupidate a cui pensano i giovani di oggi!

Gettò un’occhiata rapida all’orologio.

- È già l’ora di pranzo – si disse – devo affrettarmi a tornare a casa perché, subito dopo, mi attendono mille impegni! 

La moglie lo aspettava sorridendo e rimirò il marito con quell’aria timida e timorosa che tanto lo irritava.

- Hai tanto da fare oggi pomeriggio? – chiese titubante conoscendo già la risposta.

- Certo – rispose Alberto come previsto – lo sai che non ho tempo da perdere.

E girandosi verso la coppia di indiani che lavoravano nella sua abitazione, bisbigliò all’orecchio della donna.

- Anche a questi due dovresti fare una bella ramanzina e dar loro uno scossone come ho fatto oggi con i nostri ragazzi. Ti dico io che non hanno voglia di fare niente e che non approfittano del tempo a loro disposizione! Due persone solo per noi, con i nostri figli che non stanno più qui, sono soldi buttati via. Sarebbe meglio che questi fannulloni tornassero al loro paese.

- Ma Alberto – protestò la moglie con aria accorata – la casa è grande, abbiamo anche il giardino e poi spesso i nostri figli pranzano qui con i nipotini!

- Tutte scuse cara, adesso devo andare – annunciò con aria solenne gettando il tovagliolo sul tavolo da pranzo – Il lavoro mi chiama, io penso a produrre e non posso permettermi di sprecare il mio tempo.

E con quest’ultima sentenza si avviò a passi rapidi verso l’uscita, mentre la moglie sospirando si accinse a sparecchiare la tavola.

La mattina dopo, Alberto si diresse verso il garage con il consueto vigore, anche se prendere l’automobile per recarsi al lavoro lo considerava un’autentica seccatura.

- Con il traffico si sprecano energie e tempo – ripeteva sempre – molto meglio i mezzi di trasporto pubblici che ti consentono di continuare ad operare senza un attimo di sosta.

Ma quel giorno non poteva farne a meno, recarsi in Svizzera con il treno non era funzionale per gli appuntamenti che aveva programmato.

La città era ancora deserta e una canicola biancastra rendeva il cielo uniforme e sfumava i contorni dell’orizzonte.

- Anche oggi sarà una giornata torrida – pensò mentre constatava con soddisfazione la totale assenza di traffico – Di questo passo arriverò a Lugano in netto anticipo e forse avrò modo di incontrare anche un altro cliente.

Ma, appena terminato di formulare queste riflessioni, dopo una curva a gomito, scorse una lunga fila di auto che si stendeva a perdita d’occhio sul cavalcavia dell’autostrada.

- Nooo – urlò con disappunto – questa non ci voleva proprio!

E si accinse a schiacciare il pedale del freno.

- Adesso come faccio? – si chiese contrariato abbandonandosi sullo schienale dell’auto in preda allo scoraggiamento.

Mentre allungava il collo al di fuori del finestrino per capire la causa dell’intasamento, scorse una nuvola bianca che calava sui veicoli in coda.

- Che strano la nebbia in questa stagione! – osservò.

Ma nel giro di pochi secondi la foschia circondò il suo veicolo, rendendo praticamente invisibile il paesaggio circostante e gli altri veicoli attorno.

Una sgradevole impressione di isolamento lo colse, come se quella specie di fumo lo separasse dal resto del mondo, creando un’atmosfera ovattata.

- Che brutta sensazione – disse fra sé – mi sembra di essere ingoiato dal nulla! 

Non aveva ancora terminato di formulare questo pensiero, che alle sue orecchie giunse un’eco lontana.

- Ciao Alberto, io sooono il vuooooto.

- Il vuoto? E che cos’è? – chiese l’uomo stupito.

- Sì, sono il vuoto – ribadì la voce – e da ora in poi ti terrò compagnia perché tu hai molto bisogno di me!

- Io non ho bisogno proprio di nessuno! – ribatté Alberto irritato.

- Sì, io sooono il vuuuoooto e il siiileeenzio – continuò l’eco – che fanno nascere nel cuore e nella mente degli uomini i migliori pensieri e le attività più nobili.

- Ma cosa stai dicendo?! Il meglio lo si produce sgobbando e non concedendosi mai un attimo di sosta! Non farmi perdere altro tempo prezioso, stupido essere!

E, all’’improvviso, come se volesse ubbidire all’invito rivoltogli, la nuvola si dissolse in pochi istanti, giusto il tempo perché Alberto si rendesse conto che le auto in fila iniziavano lentamente a muoversi.

- Forse ci siamo – sospirò sollevato – per questa mattina ho già avuto fin troppo inconvenienti! – borbottò mentre innestava la marcia.

- Papà mi potresti accompagnare domani all’aeroporto di Malpensa? La mia auto è ancora a fare il tagliando!

Alberto fece finta di non sentire la richiesta del figlio.

- Questi giovani non si decidono mai a crescere – rimuginava tra sé – Anche quando sono diventati a loro volta genitori restano dipendenti come bambini. Non se ne può più!

- Ma papà sei diventato sordo o fai apposta a non rispondermi? – insistette il ragazzo.

A questo punto Alberto si alzò di scatto e si rivolse al giovane urlando con voce irritata.

- Hai proprio deciso di non farmi combinare più nulla! Alla tua età non puoi usare i mezzi di trasporto pubblici?

- Ma l’aereo parte all’alba e un passaggio mi farebbe veramente comodo – insistette il figlio con voce addolcita abbattendo così le ultime resistenze del genitore.

- E va bene – rispose il padre, monetizzando già fra sé quanto gli avrebbe inciso sull’andamento dei suoi affari quella breve parentesi mattutina.

E cosi, l’indomani con la città ancora avvolta nel buio, Alberto sfrecciò con la sua auto verso l’Autostrada dei Laghi.

- Speriamo che non ci siano inconvenienti come la scorsa settimana – si disse mentre la sua mente sfiorava, senza soffermarsi, lo strano episodio di cui era stato protagonista. Arrivati di fronte alle partenze dell’aeroporto, il padre salutò il giovane e, senza un attimo di esitazione, schiacciò l’acceleratore per riprendere la strada del ritorno, ma l’auto non diede segno di vita. L’uomo, in preda al nervosismo, riprovò a spingere il pedale, ma ancora non successe nulla.

- Ma capita tutto sempre a me? – urlò disperato.

- Per fortuna l’officina non era lontana e Alberto attese con impazienza il carro attrezzi, che non tardò ad arrivare.

- E allora? – chiese mentre continuava a tamburellare con il piede nel tentativo di attenuare l’inquietudine.

- Mi dispiace – rispose il meccanico – ma deve mettersi tranquillo – Occorreranno almeno tre o quattro ore per riparare il guasto.

- Tre o quattro ore? Non è possibile io ho da fare cose importanti! Non posso perdere tempo!

- Mi dispiace – disse l’uomo in tono gentile – ma non è possibile fare diversamente. Se crede può tornare a prendere l’auto domani.

Alberto si diresse con aria abbattuta verso la hall dell’aeroporto.

- Tre o quattro ore! – si ripeté sgomento.

E si abbandonò su una sedia della sala d’attesa molto depresso.

Si guardò attorno con aria stranita: aveva sempre attraversato di corsa gli aeroporti con la mente tesa all’affare che sarebbe andato a concludere, senza concedersi un attimo di sosta. Gli sembrava di essere in una terra dimezzo, tra il via vai delle persone che si dirigevano rapide verso le loro destinazioni.

Improvvisamente una foschia sempre più densa lo avvolse, fino ad inghiottirlo completamente. Alberto riprovò il senso di isolamento e solitudine che aveva già avvertito, ma questa volta la nebbia si diradò subito, lasciando intravedere una figura di donna che gli si avvicinava.

- Alberto sei proprio tu?

L’uomo la squadrò senza riconoscerla.

- Ma dai sono Monica. Non ti ricordi che abbiamo fatto l’università assieme?

Una valanga di ricordi lo travolse.

Ma certo, la signora davanti a lui era la deliziosa ragazza bruna che tanto gli piaceva negli anni della sua gioventù.

Entrambi si lanciarono nel rammentare il loro passato, intervallando la piacevole conversazione con un sacco di risate, tanto che il tempo trascorse senza che entrambi se ne accorgessero.

Quando il telefono squillò, Alberto rispose con aria assente.

- Ah certo, l’auto è già pronta? Vengo subito a ritirarla.

Si congedò dall’amica con la promessa di non perdersi più di vista e tornò sui suoi passi con aria pensosa.

La presenza della magica nebbia si era come insinuata nell’anima di Alberto riuscendo ad influenzare tutta la sua vita.

Anche se ogni cosa apparentemente si svolgeva nel modo consueto e agli occhi di tutti appariva come il duro e sbrigativo uomo di affari di sempre, Alberto era consapevole che qualcosa era mutato. Il suo sguardo si soffermava sempre più spesso su ciò che lo circondava, facendo sorgere, al suo interno, una sconosciuta dimensione di ascolto nei confronti del mondo. E ogni volta che cercava di frenarsi e di rientrare nei ranghi, subito una forza sconosciuta lo tratteneva, spingendolo ad esercitare su di sé un’osservazione ancora più attenta e profonda.

Quella mattina, in ufficio, Alberto non poté fare a meno di scrutare la sua segretaria: fedele alla sua persona da più di vent’anni, godeva, da parte sua, la stessa considerazione che riservava ai soprammobili di casa. La sua funzione era scontata: doveva essere sempre pronta ad esaudire ogni desiderio e a risolvere, in maniera tempestiva, qualunque problema si presentasse.

- Gabriella sei stanca? – le chiese osservando le profonde occhiaie che le scavavano il volto. 

La donna sollevò il capo dal computer con le gote arrossate per la sorpresa.

- Mi stupisce che si interessi al mio stato di salute. Ma sì, se proprio lo vuole sapere non é facile ogni giorno arrivare da fuori città e mandare avanti lavoro e famiglia. D’altronde le avevo chiesto una riduzione d’orario, ma lei non s’è degnato neppure di prendere in considerazione la mia richiesta.

- Forse, adesso, è arrivato il momento di riparlarne – mormorò l’uomo con un tono di voce da cui traspariva la vergogna di essersi messo in gioco per la prima volta.

E, non riuscendo più a sostenere lo sguardo attonito della poveretta fisso su di sé, si diresse verso l’uscita.

- Sei già di ritorno – chiese la moglie stupita lanciando una rapida occhiata all’orologio appeso alla parete – Il pranzo sarà pronto tra un’oretta.

- Ho solo pensato di venire a fare due chiacchiere, quanto tempo è che non parliamo noi due?

La signora si sedette sul divano con aria preoccupata.

- Ecco lo sapevo, sei ammalato, quante volte ti ho detto di smettere di fumare?

- Ma no, tranquilla niente di tutto questo. Cosa ne dici di farci un po’ di vacanza? Dopo tutto ce la meritiamo.

E mentre sul volto della donna si dipingeva un largo sorriso che ne illuminava l’espressione, Alberto le porse un paio di opuscoli.

- Ecco, sono giusto passato a prendere un po’ di documentazione, guardiamola assieme.

E si abbandonò sullo schienale con aria serena e soddisfatta, rivolgendole, a sua volta, un sorriso.

Alberto si alzò dalla sua scrivania stiracchiandosi. Quel pomeriggio aveva in agenda una serie di appuntamenti importanti. Il primo si era concluso positivamente anche se, contrariamente alle sue abitudini, aveva dato spazio alle opinioni del figlio che, pur stupito in un primo momento per l’inconsueto atteggiamento paterno, si era rivelato all’altezza della situazione.

Ma ora, in attesa del cliente successivo, Alberto aveva iniziato a tamburellare nervosamente la mano su un foglio, in preda a una grande agitazione.

Improvvisamente si rivolse con voce decisa alla sua segretaria.

- Devo uscire un momento.

- Ma dottore – obiettò la donna con aria smarrita – tra pochi minuti arriverà l’altro cliente.

- Non succede proprio niente se aspetta un po’ di tempo – rispose.

E, con passo veloce, si diresse verso la porta.

Con un’andatura scattante che lo faceva apparire molto più giovane della sua età, l’uomo si avviò verso l’asilo del nipote che si trovava a pochi isolati dal suo ufficio.

Assieme al drappello di giovani mamme che cinguettavano spensieratamente, Alberto scorse la babysitter del nipotino.

- Signora, oggi accompagno io a casa Luca, si può ritenere libera – le annunciò con un tono che non ammetteva repliche.

La ragazza fissò l’anziano signore dapprima con sguardo diffidente, poi prese atto del suo piglio deciso.

- Va bene – gli rispose – se proprio desidera. Ma lo dica lei a sua figlia, io non voglio avere problemi!

E si allontanò canticchiando e accompagnando la melodia con il movimento della borsetta. – Luca, oggi è venuto a prenderti il nonno – si rivolse Alberto con voce affettuosa al bimbo che lo osservava timoroso.

- E la tata dov’è? – mormorò il piccolo allungandogli già la manina.

- L’ho lasciata libera perché oggi è una giornata speciale – sentenziò l’uomo strizzando gli occhi con aria complice. 

- Una giornata speciale? – esclamò il bambino pieno di gioia – Allora dobbiamo andare al parco giochi.

Alberto esitò un istante pensando al suo appuntamento, ma le sue resistenze si dileguarono subito di fronte all’espressione raggiante del nipote.

Il parco giochi era tutto un cicalio di bambini che facevano a gara a salire sulle giostre colorate. Alberto si sedette ed osservò estasiato lo spettacolo. Quanto tempo aveva perso e quanti pomeriggi avrebbe potuto trascorrere con Luca se non avesse sempre dato la priorità agli affari! Già il prossimo anno, il bambino sarebbe andato a scuola e il tempo a disposizione sarebbe diminuito vertiginosamente.

Mentre guardava il piccolo dondolare sul dorso di un cavallino, una fitta nebbia lo avvolse, ma, contrariamente alle volte precedenti, l’uomo non fu sopraffatto dal consueto senso d’isolamento e di solitudine.

Una voce amica lo raggiunse.

- Fra un po’ non ti terrò più compagnia, perché non hai più bisogno di me.

- No ti prego, non te ne andare – implorò Alberto sinceramente dispiaciuto – mi hai insegnato molto.

- Ma ormai hai capito – proseguì la nube magica – che un po’ di silenzio e di vuoto aiutano a comprendere e che qualunque cosa facciamo o diciamo ha sempre delle conseguenze su chi ci sta attorno.

Non appena ebbe pronunziato quelle parole, la nebbia si dissolse in una frazione di secondo, giusto in tempo per vedere Luca che si avvicinava con il visino arrossato per l’aria frizzante.

- Adesso il nonno ti fa giocare all’astronauta.

- Veramente! – urlò il bambino entusiasta.

E, prendendolo in braccio, lo pose sull’altalena.

- Adesso voliamo in cielo – gli comunicò dandogli una spinta vigorosa.

Alberto sbirciò un attimo l’orologio: ormai l’appuntamento era perso, ma di sicuro aveva partecipato a un altro ben più importante.

Nell’abitazione di Alberto regnava una fervente attività.

Tutti erano affaccendati nell’organizzare la sua festa di compleanno che si sarebbe svolta l’indomani.

L’uomo osservò compiaciuto quanto si dessero da fare i suoi cari: la sua famiglia pareva un alveare dove api laboriose contribuivano in maniera armonica al risultato finale.

E anche le adesioni all’invito erano state più del previsto: dipendenti, amici intimi e conoscenti che non lo incontravano da tempo, avevano accettato con grande piacere, spinti anche da un pizzico di curiosità per costatare, di persona, il cambiamento di cui avevano sentito parlare.

In particolare la moglie di Alberto si dava da fare dirigendo con aria sicura i preparativi e intercalando il suo lavoro con continui sorrisi rivolti al marito.

All’improvviso l’uomo avvertì un irrefrenabile impulso ad allontanarsi e si avviò verso il giardino che si trovava nei pressi della casa.

Si sedette su una panchina ed osservò pensoso la natura circostante stupito per i cambiamenti avvenuti nel giro di poco tempo: le prime gemme erano già scoppiate e macchie di colore qua e là interrompevano e rallegravano la monotonia del marrone degli alberi. Da quando aveva vissuto la sua strana avventura, Alberto avvertiva, sempre più spesso, la necessità di appartarsi e riflettere. Una dimensione, da poco scoperta, che dava un maggiore significato alla sua esistenza e non più considerata, come una volta, un’inutile perdita di tempo.

Ad un tratto udì la voce della moglie dietro di sé.

- Ma Alberto dove ti eri ficcato, abbiamo bisogno di te per completare i preparativi! Sparendo così mi fai perdere del tempo prezioso!

E accompagnò il rimprovero tirandolo per un braccio.

L’uomo sorrise e l’attirò a sé.

- Proprio tu me lo dici? Dovresti avere imparato quanto sia utile, a volte, un po’ di silenzio e di vuoto per capire tante cose e fare ordine nella propria vita.

Alberto la prese poi sottobraccio ed entrambi si diressero verso casa, mentre la nube magica danzava sopra le loro teste.

Cristina Manuli