Nella buona e nella cattiva sorte

Era un pomeriggio sereno, senza vento, senza nuvole e i dolci raggi dorati del sole penetravano nella stanza.*

Una mosca sbatté contro la finestra chiusa, il ronzio bruscamente interrotto dall’impatto con il vetro che dava sulla strada.

Irene alzò gli occhi dal computer portatile aperto sopra il letto.

Strano che ci fosse una mosca. Era tutto il pomeriggio che teneva le finestre chiuse e non aveva idea di come fosse potuta entrare in casa. Eppure eccola lì, pronta a darle il tormento con il suo ronzio irritante. Meglio farla uscire subito.

Irene allungò il braccio verso la finestra per aprirla senza essere costretta ad alzarsi. Fece scattare la maniglia con un gesto della mano e la camera fu subito invasa dal verso stridulo dei gabbiani.

Aprì completamente l’anta della finestra appoggiando sul parquet un piede nudo, con lo smalto di tre giorni che cominciava a rovinarsi. Perlustrò la stanza con un rapido sguardo e scorse la mosca appesa a una delle tende.

Facendo leva sul piede a terra, si protese ancora di più verso la finestra e scosse le tende con una mano. La mosca, invece di volare fuori, si staccò dalla tenda e cominciò a svolazzare al centro della stanza, tracciando tanti, piccoli quadrati irregolari.

Con un sospiro rassegnato, Irene posò anche l’altra gamba a terra e si alzò dal letto. In equilibrio sulle punte dei piedi agitò le braccia in aria per scacciare l’insetto, che, dopo aver indugiato un poco sui suoi capelli castani, imboccò la finestra aperta e finalmente volò via.

Temendo che la mosca potesse cambiare idea e tornare dentro, Irene chiuse subito la finestra sbattendola con forza e le strida dei gabbiani si ammutolirono di colpo.

Visto che ormai era in piedi, tanto valeva approfittarne per fare una pausa.

Staccò il portatile dalla corrente e lo portò con sé in cucina, posandolo sul tavolo di formica bianca. Chiuse la pagina con il sito del fiorista consigliatole dalla cognata, quello che aveva addobbato così bene la chiesa per il suo matrimonio, e aprì la sua casella di posta elettronica prima di voltare le spalle allo schermo per dare un’occhiata a cosa c’era in frigo.

Quando si girò con un barattolo mezzo aperto di yogurt alla soia, vide che era arrivato un nuovo messaggio. Doveva essere il fotografo. Erano rimasti d’accordo che le avrebbe inviato il preventivo in giornata. Eppure non le sembrava un indirizzo conosciuto…

TMS@omegacorp.com. Decisamente non doveva trattarsi del fotografo. Aveva tutta l’aria di essere uno dei soliti messaggi di spam, non fosse stato per l’oggetto.

Irene sgranò gli occhi e si tolse gli occhiali, avvicinandosi lentamente al computer, la luce dello schermo che le sbiancava il volto.

“Una mosca sbatte contro il vetro della tua finestra”.

Irene appoggiò l’indice tremante sul touch pad e spostò la freccetta del puntatore sopra il messaggio. I caratteri in grassetto si evidenziarono di blu.

La mail era arrivata pochi minuti prima. Doveva essere stato all’incirca quando la mosca… Ma no, non era possibile. Doveva trattarsi di uno scherzo. Forse un assaggio del delirante addio al nubilato che le damigelle avevano in serbo per lei. Eppure la mano non le smetteva di tremare mentre la rapida sequenza di due click andava a rivelare il contenuto dell’email.

“Gentile cliente, a dieci anni da adesso ucciderà suo marito, verrà arrestata e condannata a trent’anni di carcere. I sistemi informatici della Omega Corporation hanno calcolato una percentuale di possibilità pari al 72% che a questo punto della sua vita lei possa fare qualcosa per deviare da questo percorso. I nostri calcoli prevedono che tale livello percentuale non sarà mai più così favorevole. Se rientra nelle sue intenzioni prendere i necessari provvedimenti, questo è il momento di agire. Qualora interessata, la invitiamo a consultare le nostre promozioni speciali relative al suo anno. Cordialmente, Jeremy Beadle, CEO, Omega Corporation.”

Il messaggio, dopo una breve interruzione di paragrafo, era accompagnato da un disclaimer scritto a caratteri minuscoli. La ragazza fu costretta a rimettersi gli occhiali per riuscire a leggerlo.

“Attenzione. Questo messaggio è stato generato da una casella di notifica automatizzata. Si prega di non rispondere a questo indirizzo. Per ulteriori informazioni, rivolgersi al nostro servizio clienti”.

Per qualche minuto Irene restò a fissare lo schermo con aria perplessa. Rilesse il messaggio due, tre volte, ma non sapeva se prenderlo sul serio o meno.

Di certo non poteva essere un messaggio di spam. Che razza di campagna promozionale sarebbe stata?

Sembrava piuttosto uno scherzo di dubbio gusto. Agli amici di Luca non era mai stata simpatica, del resto. Lei che finiva per uccidere il marito dopo dieci anni di matrimonio? Sembrava proprio il genere di scherzo che avrebbero apprezzato… Ma in tal caso non l’avrebbero certo condiviso con lei. Lo avrebbero inviato al fidanzato, semmai, come estremo segnale di disapprovazione, nel puerile tentativo di salvarlo dal commettere quel fatale errore e sposare una come lei.

Se li immaginava, a ridere alle sue spalle.

Ma quella frase che il messaggio aveva per oggetto, quel puntuale, agghiacciante riferimento a un evento così futile e irrilevante che lei stessa avrebbe faticato a ricordarselo da lì a un’ora… Quella frase stava a indicare che il messaggio era qualcosa di più serio di quanto potesse sembrare.

Chi poteva sapere di una mosca intrappolata nella sua stanza solo qualche minuto prima? Qualcuno la spiava, forse? Ma allora che senso avrebbe avuto un simile avvertimento?

Il turbine di ipotesi e spiegazioni vorticava così rapido da affiorare appena alla sua coscienza.

Escludendo, come la logica imponeva, che si trattasse di uno scherzo, il contenuto del messaggio lasciava poche altre spiegazioni. Ma non era possibile, giusto? Non poteva aver davvero ricevuto un messaggio dal futuro. La sua ragione faticava anche solo a considerare l’ipotesi come plausibile, seppure apparisse in effetti la più logica. Ma perfino in quel caso, cosa poteva saperne questa Omega Corporation della mosca di poco prima?

A meno che tra le invenzioni del futuro non rientrasse anche il filtro dell’onniscienza oltre che la comunicazione intertemporale, Irene non vedeva davvero come potessero sapere…

Anche ammesso che dietro quel messaggio ci fosse un’ipotetica se stessa del futuro, perfino lei non avrebbe potuto ricordarsi di quella mosca se glielo avessero chiesto tra dieci o trent’anni.

Di certo adesso se la sarebbe ricordata per molto tempo.

Eppure restava una possibilità… Se quella Omega Corporation era davvero in grado di inviare nel passato un pacchetto di dati per comunicare con lei, forse, e soltanto forse, avrebbe anche potuto mandare quella mosca come un segnale concordato, giusto per assicurarsi di essere presi sul serio. Certamente si erano conquistati tutta la sua attenzione.

Le dita di Irene scattarono sulla tastiera che ticchettò digitando nella barra del motore di ricerca una lettera dopo l’altra. “Omega Corporation”. Sotto la pressione rapida dell’indice, il tasto invio fece partire la rotellina del caricamento.

Prima ancora di rendersene conto era già arrivata alla quarta pagina dei risultati, quella dove solo i disperati come lei osavano spingersi, e capì che non avrebbe ottenuto molto in questo modo. Aveva bisogno di più parole chiave. Prima provò con “messaggio Omega Corporation”, poi aggiunse anche la parola “futuro”, ma nulla. Allora tentò con altre combinazioni, ma continuava a non trovare niente di utile.

Stava giusto cominciando a chiedersi dove altro avrebbe potuto trovare informazioni su qualcosa che non sarebbe nemmeno dovuta esistere quando, poco prima di chiudere la finestra, notò qualcosa nei risultati proposti tra le immagini.

Il suo cuore parve fermarsi. All’inizio non se ne era accorta perché si trattava di un disegno molto stilizzato, ma quella serie di pixel verdi su fondo nero sembravano proprio disposti in modo da rappresentare una mosca.

Ora, c’era solo una ragione possibile che spiegasse la presenza dell’immagine di una mosca tra tutti quei risultati. Aveva trovato quello che cercava. Senza indugiare oltre, Irene aprì il link della pagina corrispondente.

Comparve un blog. Uno di quelli brutti, con la grafica banale del web di qualche anno fa.

Ovviamente era scritto in inglese. Che stupida era stata a non pensarci. Per questo la ricerca per parole chiave non aveva dato frutti.

L’indirizzo del sito era www.thetruthuntold.net. Doveva essere approdata nel rifugio di qualche folle teorico del complotto. Fantastico. Ma forse era proprio tra i pazzi che avrebbe trovato qualche risposta sensata alla follia che stava vivendo.

C’era un articolo che parlava di messaggi simili a quello che aveva ricevuto lei. Stando a quanto sosteneva l’autore ce ne erano stati molti altri, in passato, che risalivano fino all’epoca romana. Naturalmente non si era sempre trattato di email. Il medium era cambiato con il tempo.

Lettere, SMS, telegrammi, perfino messaggi lasciati in segreteria telefonica. Tutti puntualmente rimossi dalla storiografia ufficiale. Tutti preceduti dalla strana comparsa di una mosca e tutti firmati dalla stessa, misteriosa Omega Corporation. Tutti, inevitabilmente, si erano avverati, come oscure profezie di mala sorte.

Un brivido le percorse la schiena. Non poteva essere vero. Il suo futuro non poteva essere già stato scritto. Lo diceva il messaggio stesso, dopotutto. C’era un 72% di possibilità che le cose andassero diversamente e questo doveva pur significare qualcosa. Una via d’uscita doveva esserci, quindi.

L’articolo terminava con un invito. Chiunque fosse in possesso di informazioni sul fenomeno dei messaggi temporali era pregato di contattare David Kayne, il fondatore del blog, attraverso l’apposita chat.

In mancanza di alternative percorribili Irene inventò al volo un nickname e scrisse, sperando che qualcuno si occupasse ancora di tenere aggiornato il sito.

“C’è qualcuno?”.

Aspettò quelle che parvero ore con il dito incollato al tasto di aggiornamento della pagina. Il suo cellulare squillò.

Era Luca.

Non poteva parlare con lui. Non adesso.

Inserì il silenzioso e lasciò il telefono a vibrare sul tavolo della cucina finché non smise, mentre continuava ad aggiornare la pagina ogni due minuti. Poi comparve, con quegli orribili caratteri verdi su fondo nero. Una risposta.

Era David Kayne.

Irene gli spiegò della mosca, del messaggio e del matrimonio come meglio poté nel suo inglese da scuola superiore, chiedendogli aiuto, spiegazioni, una via di fuga.

L’uomo, o almeno Irene presumeva che si trattasse di un uomo, si prese del tempo per rispondere, come se stesse valutando attentamente le sue parole.

Stando a quello che scrisse, non c’era modo di sapere se fosse possibile sfuggire alla predizione contenuta nel messaggio.

Tutti i casi precedenti di cui era giunta notizia mostravano che la profezia si era puntualmente avverata, ma questo poteva non essere il solo scenario possibile. Certo, era molto probabile che l’assenza di precedenti positivi significasse che nessuno fosse ancora riuscito a mettersi in salvo dalla profezia, ma Kayne sosteneva che, se qualcuno ce l’avesse davvero fatta, non ci sarebbe stato alcun modo di saperlo, perché tale deviazione avrebbe generato una nuova realtà in cui dal principio il messaggio non avrebbe avuto alcuna ragione d’esistere.

Solo nel caso in cui l’avvertimento non avesse destato cambiamenti nella linea temporale, sarebbe rimasta una traccia tangibile della sua esistenza.

Ovviamente si trattava soltanto di una teoria e non c’era modo di sapere se fosse corretta.

In definitiva, Irene non aveva davanti a sé che due possibilità: ignorare il messaggio e continuare con la sua vita come se nulla fosse, anche se così facendo non avrebbe potuto sperare di cambiare il corso delle cose; oppure fare qualcosa che la facesse deviare dal cammino intrapreso finora. Scappare, abbandonare tutto ciò che conosceva e ricominciare da zero, senza che ciò le desse d’altronde alcuna garanzia di successo.

La scelta stava a lei.

Il cellulare riprese a vibrare sopra il tavolo.

Era Luca, di nuovo.

Doveva rispondere, altrimenti avrebbe cominciato a preoccuparsi.

Ma come poteva rispondere? Come poteva rischiare di imboccare quel sentiero che l’avrebbe portata a uccidere l’uomo che avrebbe sposato?

Il cellulare vibrò per la quarta, quinta, sesta volta. La mano di Irene scattò verso il telefono e accettò la chiamata.

«Amore!» rispose con voce allegra, spensierata perfino. Non c’era più traccia di angoscia sul suo volto.

«Sì, tutto bene».

Con la mano libera dal telefono chiuse la chat con Kayne e spedì l’email misteriosa nel cestino.

«Scusa… Avevo il cellulare in silenzioso e non ho sentito la chiamata…».

Mentì nell’unico modo che conosceva, con agio, con facilità.

«Sì, la chiesa è confermata per il mese prossimo».

Abbassò lo schermo del computer e tornò al suo yogurt di soia.

«Vedrai, sarà un matrimonio perfetto».

Riuscì perfino a sorridere mentre lo diceva.

«Non c’è nulla che possa andare storto».

Insieme nella buona e nella cattiva sorte, dopotutto… È così che si dice, no?

Silvia Torani

 

*incipit tratto da Kitchen di Banana Yoshimoto