Ricominciare

Le canne acquatiche, le erbe della riva, i piccoli cespugli di salici e gli alberi grandi videro giungere anche quella domenica di settembre la signora vestita di bianco e come di consueto la salutarono: le canne sollecitate dal vento improvvisarono un ballo ordinato, mentre gli alberi con le loro fronde cercavano di accarezzare la figura chiara e leggera che attraversava il viottolo.

La signora in bianco ormai faceva parte del paesaggio domenicale e, nel vicino borgo, voci più o meno fondate raccontavano la sua storia con un misto di tenerezza e di invidia.

Eva, così si chiamava, era arrivata una decina di anni prima con un giovane pianista: allora aveva poco più di vent’anni e per il suo portamento si diceva che fosse una ballerina. I due fidanzati alloggiavano in un piccolo appartamento nel centro storico, accanto al Comune. Al loro arrivo le finestre, che fino a quel momento erano state tristi e anonime, erano diventate balconi fioriti e anche il piccolo terrazzo aveva assunto le sembianze di un giardino. La giovane attraversava il paese sempre cortese e sorridente, con i suoi vestiti svolazzanti e i lunghi capelli raccolti in una coda di cavallo: i maligni si chiedevano dove fosse il trucco di tanta serenità.

Un giorno però il giovane pianista era scomparso all’improvviso e la ragazza si era rifugiata nel silenzio e nella solitudine, uscendo solamente per comprare il necessario per sopravvivere. Nel terrazzo i fiori si erano seccati e alle finestre erano rimaste soltanto delle piccole tende ricamate. Oltre all’allegria, anche la tristezza fa notizia e così il paese si era sbizzarrito nelle congetture più fantasiose. Alcuni mormoravano che il pianista aveva trovato lavoro all’estero, mentre altri sostenevano che era tornato dalla moglie: pian piano però tutte le teorie si erano esaurite e col tempo quell’uomo era stato completamente dimenticato.

Dopo qualche mese Eva aveva ricominciato ad uscire e in una mattina di sole si era presentata al negozio del fioraio offrendosi di aiutarlo: non aveva mai lavorato, ma adorava i fiori e questo secondo lei era più che sufficiente per essere assunta. Da allora nei giorni di festa, quando il sole splendeva alto nel cielo, s’incamminava verso lo stagno, fino ad arrivare ad una vecchia casa abbandonata dove si sedeva in compagnia della natura circostante. E anche quella domenica stava avanzando lungo il sentiero con passo deciso.  

- Questa camminata è diventata una necessità – pensò mentre procedeva spedita – mi serve per riflettere e mi aiuta a trovare la soluzione anche ai problemi più difficili.

Ai lati del sentiero, fiori di tutti i colori la rallegravano, migliorando il suo umore malinconico.  

Durante il tragitto, incontrava sempre un suo grande amico, che come lei adorava quel paesaggio fiorito. Il signore dai candidi capelli, così l’aveva soprannominato, era un pilota di aerei in pensione e le signore del borgo raccontavano, con un po’ di nostalgia, che da giovane era stato un bell’uomo, un rubacuori da romanzo rosa. Il pilota, che si chiamava Michele, nelle giornate di sole s’accomodava su uno sgabello pieghevole a leggere il giornale all’aria aperta e da quando era andato in pensione si dilettava nella preparazione di dolci, seguendo le ricette che aveva trovato in un vecchio quaderno di sua nonna. Eva era la sua cavia preferita.

- Ciao! – la chiamò appena la vide – Sapevo che saresti passata e ti ho portato il solito dolcino.  Mangiare è uno dei piaceri della vita e lo sai che io me ne intendo!

Eva s’inteneriva sempre quando lo vedeva e gli andò incontro con un sorriso.

- Salve Michele – gli disse – Qual è la delizia di questo pomeriggio?

- Muffin al cioccolato – rispose lui con un sorriso.

Dopo lo spuntino e un po’ di commenti sulle ultime novità, Eva salutò il suo amico e s’avviò, come ogni domenica, verso il rudere. Spesso si chiedeva perché quella casa diroccata le desse tanta serenità, ma sedersi su quei gradini distrutti la faceva sentire imbattibile.

- Forse – pensò – non è il rudere a darmi tranquillità, ma è lo sforzo fisico necessario per raggiungerlo. È veramente in cima ad una salita molto ripida e se riuscissi a mettere in tutto quello che faccio un impegno del genere, sarei invincibile!

Arrivata con fatica alla casa, si accomodò su uno dei sassi che stavano di fronte a quello che una volta doveva essere l’ingresso. Mentre si lasciava accarezzare dal sole, in attesa che il respiro le tornasse normale, Eva sentì dei lamenti e quando si alzò vide un gattino nero tremante e impaurito.

S’avvicinò al batuffolo nero indecisa se accarezzarlo, perché sapeva che quando i cuccioli perdono il loro odore la mamma li abbandona, ma dopo essersi assicurata di essere sola si chinò timorosa a raccoglierlo. Era talmente piccolo che gli entrava tutto nella mano, sentiva il suo cuore battere forte e per tranquillizzarlo iniziò a parlargli.

- Per prima cosa devo calmarmi – pensò – perché sto tremando quanto lui e poi non lo posso abbandonare qui da solo, sicuramente morirebbe. Appena arrivo a casa devo andare da un veterinario che mi aiuterà!

Dopo tanto tempo si sentiva importante per qualcuno, aveva la consapevolezza di essere responsabile della vita di quella creatura.

Con passo svelto riprese la via del ritorno e in poco tempo raggiunse il borgo. Sapeva che un dottore aveva lo studio in un paese poco distante. Appena arrivata a casa, prese una scatola da scarpe e vi adagiò, avvolgendolo in una sciarpa di lana, il gatto che nel frattempo aveva smesso di tremare e la guardava incuriosito. 

- Forse ti sei  abituato alla mia presenza e alla mia voce – gli disse – da quando t’ho trovato non ho smesso un attimo di parlarti, avrai già capito che non sono una persona molto silenziosa.

Il veterinario fu molto gentile: le regalò un piccolo biberon e un latte speciale per poter alimentare il gattino nei giorni seguenti, le consigliò di tenerlo al caldo e le diede un appuntamento per il venerdì successivo.

Eva rientrò a casa più tranquilla, sapeva come comportarsi con il nuovo amico, ma si presentò subito un altro problema: la mattina dopo sarebbe dovuta andare al lavoro e non intendeva certamente lasciare il gatto da solo.

Dopo un attimo di esitazione chiamò il suo datore di lavoro.

- Buonasera Aldo, scusi se la disturbo a quest'ora, ma volevo dirle che domani non posso venire al negozio.

Aldo non le fece nemmeno terminare la frase.

- Cosa ti è successo? Stai male? – le domandò allarmato.

- No, stia tranquillo – lo rassicurò Eva – non è successo niente di grave, ho solo bisogno di stare a casa qualche giorno, mi sento un po’ stanca.

Le dispiaceva mentire, ma non gli voleva dire niente del gatto, era un segreto tutto suo.

- Va bene –  rispose lui – comunque se hai bisogno di qualsiasi cosa, non ti fare scrupoli, per me sei diventata come una figlia. A presto.

- Che cosa strana – pensò Eva – oggi per la seconda volta mi sento importante per qualcuno. Prima per il  micio, ora per Aldo… non sapevo che tenesse tanto a me. Qualche volta al negozio è talmente scontroso che mi fa venire la voglia di scappare lontano.

Dei flebili lamenti richiamarono Eva alla scatola da scarpe. Il micio la guardava con gli occhi smarriti che sembravano due stelline perse in un universo sconosciuto. Eva lo prese delicatamente in braccio e gli preparò il biberon con il latte che le aveva regalato il veterinario. Fu per lei una soddisfazione immensa vedere quella creaturina mangiare con gusto e addormentarsi in un batter d'occhio dopo aver finito.

- E ora cosa faccio? – si chiese – Ho sempre cercato di stare a casa da sola il meno possibile per evitare di pensare, ma ora devo accudire questo piccolo amico. Sai gattino? Ho deciso di chiamarti Calimero, era un pulcino della pubblicità e quando ero piccola mi piacevano tanto le sue avventure!

In quell’istante Eva si sentì di nuovo precaria. Da quando era stata abbandonata dal pianista aveva cercato di alzare un muro tra il passato e il presente e tutti i ricordi dovevano scomparire perché la facevano soffrire, erano come spine conficcate nel suo cuore.

Inconsapevolmente aprì l’armadio a muro dove teneva la scatola dei CD con le fotografie, prese il computer e iniziò a guardarle, erano passati tanti anni dall’ultima volta. All’inizio si sentiva un po’ a disagio ed una sensazione di spossatezza le intimava di andare a dormire. Ripensò a quel pomeriggio appena trascorso nel quale, durante la passeggiata, era stata tentata dalla voglia di tornare indietro.

- Se l’avessi fatto – si disse – non avrei incontrato Calimero!

E continuò a scorrere le immagini.

Il disagio magicamente si dissolse. Vedeva il suo volto sorridente accanto al pianista e come sfondo le bellissime città che avevano visitato insieme: Londra, Parigi e Vienna. Adorava viaggiare, conoscere usanze diverse e gente nuova e per questo aveva sempre studiato l’inglese con costanza: parlarlo era per lei come possedere una formula magica per entrare in nuove realtà. A distanza di tanto tempo le sembrava di rivedere un film di cui si sentiva solo una spettatrice. Da quando era stata lasciata aveva provato molto spesso una gran voglia di piangere, ma le lacrime si erano solidificate nella sua anima ed aveva dovuto portarne il peso, rassegnata. Finalmente una piccola goccia inumidì la sua guancia, seguita da tante altre che fino ad allora erano state represse ed un dolore straziante la invase, come quando un fiume esce dagli argini. Si sentiva sola, disperata e come un naufrago che s’aggrappa ad un tronco per non annegare, prese in braccio Calimero e coccolandolo come fosse un bambino, si addormentò sul divano.  

La mattina seguente si svegliò con un mal di testa martellante e gli occhi gonfi. Si guardò allo specchio e non fu molto soddisfatta del suo volto stanco, ma, nonostante il malessere, si sentiva finalmente libera, il muro che aveva creato era stato portato via dalla piena di lacrime della sera prima. S’accorse che Calimero era sveglio ed aveva ancora bisogno della sua tenerezza. Era bello svegliarsi e sentirsi spiata, gli occhi del gatto la guardavano come se volessero leggerle dentro. Eva gli sorrise, gli preparò il solito biberon di latte e s’accomodò sul divano per nutrirlo.

Calimero era ogni giorno più forte e giocherellone!

Ad un tratto Eva, guardandosi intorno, sentì la sua casa ostile, inospitale e anche i mobili scelti al momento del trasferimento non le piacevano più. Ricordò con un sorriso la lite furibonda con il pianista che aveva preceduto l’acquisto dei quadri appesi nell’ingresso: rappresentavano scene di caccia con dei poveri cervi che giacevano inermi sotto i fucili dei cacciatori. Quelle immagini di morte l’avevano sempre angosciata. Le tende scelte con tanta cura ora le apparivano sciatte e fuori moda. S’alzò per rendersi meglio conto di cosa fosse fuori posto e, guardando dentro la vetrina, vide che c’erano ancora i soprammobili comprati durante i viaggi all’estero. Portare un souvenir al rientro dalle ferie le era sempre sembrato superfluo e qualsiasi ninnolo una volta poggiato su un mobile perdeva tutto il suo fascino, ma al pianista quegli oggetti piacevano e lei li aveva conservati tutti.

- Forse – pensò – è stato un altro modo per ricordarmi di non lasciarmi mai più andare ai sentimenti.

- Bene! – disse rivolgendosi a Calimero e riprendendosi dal torpore dei ricordi che l’aveva avvolta per l’ennesima volta – Ora facciamo un po’ di pulizia.

Raccolse in un grosso sacco nero tutto ciò che non le piaceva, si vestì velocemente e con i quadri ben imballati si recò dal corniciaio in fondo alla via, regalandoglieli e poi consegnò alla parrocchia, per la Fiera di beneficienza che si svolgeva ogni estate, tutte le altre suppellettili.

- Ora, piccolo amico, ti porto dal veterinario, perché secondo me il latte che ti preparo non è sufficiente a sfamarti ed io, sicuramente, non ti voglio far soffrire.

Andò in macchina all’ambulatorio e il medico l’accolse con un sorriso radioso.

- Buongiorno – le disse – vi vedo tutti e due in ottima forma. Lei signorina, stamattina, ha negli occhi una luce speciale che non aveva quando l’ho conosciuta. Complimenti è veramente molto bella!

Eva arrossì.

- Penso che aver incontrato questo micio mi abbia aiutato a ricominciare a vivere, praticamente ci siamo aiutati a vicenda.

Uscì dallo studio serena come non le capitava da tempo.

 

Stefania Bicci