Ricordando su due ruote

A quattro anni aveva una biciclettina con le rotelle, ma il suo papà le aveva promesso che presto le avrebbe insegnato ad andare su due ruote sole.  Lei aspettava fiduciosa, perché suo papà era un mago della bicicletta, sapeva andare anche senza mani!

A volte però mamma rovinava tutto, quando sentiva Mario dire alle bambina che presto le avrebbe insegnato ad andare su due ruote si agitava: - Se poi cade e si fa male dopo sono io che devo curarla!-

Veramente si agitava anche quando Nanetta, come lei la chiamava, si tappava le orecchie impaurita dal temporale o dai fuochi d’artificio.

-Quanto sei stupida, togli quelle mani dalle orecchie, non c’è niente da aver paura. Vedi che gli altri bambini si divertono? Solo tu sei paurosa!-

La piccola Adriana si nascondeva vergognosa, dispiaciuta dei rimproveri di sua madre, ma osservava che, stranamente, anche lei si turava le orecchie. Perché a lei papà non diceva che era stupida?

Ora a casa nuova dormiva in un letto vero in sala da pranzo, anche se a volte aveva un po’ paura di stare sola e avrebbe preferito tornare con i suoi genitori. Ma teneva duro, non voleva sentirsi dire da sua madre che era una fifona.

Ancora ricordava con un dolore quasi fisico quando, qualche tempo prima, avevano lasciato la casa dove era nata. Mentre doveva salire sul camion con i mobili, sotto una pioggia fitta fitta, si accorse che mancava qualcosa: non avevano preso le porte, secondo lei se ne stavano dimenticando. Iniziò a piangere e a urlare: - Sono mie, le voglio, perché le lasciamo qui!- Nessuno riusciva a convincerla e le urla diventavano sempre più isteriche e salivano sempre più di tono, come saliva l’agitazione di sua madre che non riusciva a calmarla, mentre suo padre si divertiva un mondo. –Come fai papà a ridere così se io piango?- pensava senza osare dirlo.

Nella casa nuova piano piano si calmò, vide le porte nuove e si convinse, ma l’episodio le tornava sempre alla mente come un momento di dolore assoluto.

Ora finiva l’estate, era già venuto qualche acquazzone, e finivano anche le giornate al mare, a Ostia. Si divertivano tutto il giorno, erano in tanti: zie, amiche, cugini, ma lei si sentiva diversa, perché ogni momento aveva sua madre addosso:-Attenta al sole, tieni il cappellino, esci dall’acqua che fa freddo, se cadi ti fai male, sui pattini no perché ti rovini le ginocchia-. Alla fine della giornata era stanca solo di tutte queste proibizioni. Se ci fosse stato papà le avrebbe insegnato a nuotare, ma purtroppo lui doveva lavorare.

 

Qualche giorno fa era successo un fatto insolito: papà era tornato a pranzo stanco e nervoso e mamma lo aveva fatto mettere a letto. Aveva sonno a quell’ora del giorno?

Poi capì che papà non aveva sonno, ma era malato: una strana malattia che lo faceva tossire e tossire, senza che nessuno sciroppo riuscisse a guarirlo.

Passarono molti giorni, papà era sempre più malato, mamma più agitata e lei si sentiva sola, dimenticata in un angolo di casa insieme alla sua bambola.

Andavano e venivano parenti, vicini di casa, ma non succedeva niente, nessuno era capace di ridarle il suo papà guarito e allegro come prima.

Veniva sempre anche la “sora Maria”, come la chiamava mamma, a fargli le punture ed un giorno portò con sé un uomo magro, con i baffi neri e la faccia triste che tutti chiamarono “dottore”. Lei non lo aveva mai visto, non era il dottore solito di casa, e quando vide che iniziava a visitare papà si nascose ancora di più. C’erano in giro troppe brutte novità!  Poi lo sentì dire: - Avete un telefono?-

Dopo questa telefonata arrivarono delle persone che misero papà in un lettino e lo portarono via.  Sentì la parola “ospedale”, ma non ne conosceva il significato e il suo smarrimento aumentò.

Solo il giorno dopo, quando insieme a mamma salirono le scale dell’”ospedale” che stava su un’isola, capì che suo padre stava in un posto dove avrebbero curato la sua malattia.

Per Adriana piccolina iniziò un periodo strano, che non avrebbe dimenticato mai più: tutti i giorni prendeva con la mamma prima un autobus, poi il tram a rotaie. Scendevano vicino al Tevere, qualche volta compravano dei giornalini in un’edicola, poi traversavano un ponte e iniziavano a salire le scale dell’ospedale.

Mamma diceva ogni giorno, come una nenia: - Lo troverò vivo o lo troverò morto?- e lei diventava se possibile ancora più piccola, con la sua bambola stretta al cuore.

Papà era sempre a letto, aveva un filo di voce, ma per lei c’era sempre una carezza. Qualche volta arrivava prima il rimprovero a sua madre.- Perché la porti qui a vedere questi spettacoli, portala dalle tue cognate! –

Ma Adriana e mamma erano inseparabili: Adriana non voleva stare dagli zii perché “sentiva” che mamma la voleva tra le sue braccia, come avrebbero fatto a stare vicino a papà se erano separate?

Dagli zii non andò mai più e papà non disse più niente, era così debole e malato!

Poiché mamma tre volte a settimana doveva restare anche di notte con papà, si adattarono alla vita dell’ospedale. Dormivano in due nel letto vicino  e la notte, poiché Nanetta si svegliava chiedendo il latte, i frati che curavano papà avevano dato il permesso di scaldarlo in cucina. Si erano affezionati a lei e alla mamma e spesso la facevano giocare in corridoio o le portavano cose buone da mangiare.

Poi si spaventava tanto quando, gironzolando dentro e fuori la stanza, vedeva che i dottori con una lunga siringa bucavano la schiena a papà e ne usciva tanta acqua. Si tappava gli occhi e scappava per il corridoio, finché mamma non la ritrovava impaurita e piangente, e invece di consolarla la rimproverava: - Perché piangi, non è niente, non farti vedere così da papà! –

C’era anche qualche momento di gioia: la mattina dell’Epifania, al risveglio, le sembrò di veder qualcosa di bello sul tavolino della stanza….non poteva essere vero….la cameretta della bambola e la cucina che aveva tanto desiderato! La Befana sapeva che c’erano dei bambini anche nell’ospedale! Era magica!

Poi, tutti i pomeriggi veniva un signore alto, con i baffi e un bel vestito, che mamma chiamava “ragionier Vacchini”. Era un superiore di papà che gli era affezionato, e tutti i giorni si faceva vedere. Aveva una parlantina simpatica, raccontava a papà tante cose del lavoro per tenerlo aggiornato e a volte qualche bella storia anche a lei.

 

Passò anche febbraio. Papà iniziava ad alzarsi dal letto, mangiava un po’ di più e, finalmente, un bel giorno lo mandarono a casa.

Era magro, debole e si stancava facilmente, ma la prima cosa che ritrovò fu la sua allegria.

Poi – lei e la mamma erano forse più brave dei dottori? - il suo papà a Pasqua riuscì anche a tornare al lavoro. Mamma gli faceva portare sempre il cappotto, la sciarpa e il cappello e di bicicletta non si parlò più. Anzi, la bicicletta sparì addirittura, forse la regalarono a qualcuno, ma Adriana non la vide mai più.

Come mai papà non si arrabbiava per riaverla? Strano, la amava tanto, come aveva permesso che mamma la facesse sparire? Sarà stato vero, come lei diceva sempre, che la bicicletta lo aveva fatto ammalare? A Nanetta sembrava strano: come , una cosa così meravigliosa come una bicicletta può far ammalare? Forse papà non diceva nulla perché a competere con mamma ci perdeva sempre, lei si agitava subito e lui si spazientiva e poi si arrabbiava.

In compenso, ora c’era la sua di biciclettina, e presto papà le tolse le rotelle.

Nel palazzo dove abitavano c’era un grande cortile ed un giorno, finalmente, dopo tante prove e incoraggiamenti di papà, riuscì a pedalare su due ruote. Che bello, sembrava di volare! Finalmente un po’ di libertà!

Ma durò pochi mesi. Adriana cresceva in fretta e la biciclettina non bastava più. Lei e papà si allearono e cercarono di convincere mamma a comprarne una più grande. Papà sapeva che non avevano abbastanza soldi, ma per farla contenta avrebbe fatto anche un debito.

Purtroppo mamma non volle sentire ragioni: - Non ci sono soldi e ci sarebbe bisogno di tante cose più importanti! Con la tua malattia hai perso tante giornate ed ora dobbiamo rimetterci in sesto!-

Non ci fu verso, la bicicletta non fu mai comprata e Adriana, per provare lo stesso senso di libertà, dovette aspettare i vent’anni e la patente.

 

Adriana Pieroni