Sapore antico

Sofia era una bambina felice, dalla fervida fantasia, piena di inventiva e talvolta fin troppo vivace. Aveva tanti amici e, quando si giocava insieme, lei era sempre quella che organizzava tutto. Aveva nove anni, le piaceva andare a scuola e prendere bei voti. Sapeva disegnare, leggere bene e, quando non studiava, si dilettava a scrivere delle storie. Da grande voleva diventare una scrittrice e il suo papà le aveva perfino regalato una valigetta rossa che conteneva una piccola macchina da scrivere. La portava spesso con sé, anche quando andava a casa delle sue amiche e faceva leggere loro le storie che inventava. Insieme si divertivano come matte!

Sofia abitava alla periferia di una grande città, ma il suo era un quartiere tranquillo, perché i bambini potevano ancora permettersi di stare fuori casa da soli a correre, andare in bici, saltare alla corda o a campana.

Nonostante la bambina amasse quel luogo e i suoi amici, c’era un posto dove non vedeva l’ora di tornare ogni volta: la casa dei suoi nonni paterni. Erano gli unici nonni che le fossero rimasti, gli unici di cui avesse memoria.

Suo padre non era originario di quella città, ma vi si era trasferito da un’altra regione, per motivi di lavoro, quando era appena diciottenne. Era nato e cresciuto in un paesino di montagna e in città aveva conosciuto una ragazza, se ne era innamorato e l’aveva sposata. Così adesso, di tanto in tanto, a Natale, a Pasqua, durante le vacanze estive o semplicemente in un week end, tornava a trovare i suoi genitori e i tre fratelli che erano rimasti nel paesino. Sofia era sempre emozionata quando sapeva di dover partire per quel lungo viaggio che durava ben quattro ore. La partenza era tutta una festa: si preparavano le valigie portandosi dietro quasi tutta casa, perché la mamma voleva che non mancasse nulla. Si portavano anche regali per gli zii, per i nonni e qualcosa dalla città che non si riusciva a trovare in quel paesino ancora tanto arretrato.

In auto, gli occhioni grandi e scuri di Sofia sbirciavano incuriositi dal finestrino, osservando con attenzione come mutava il paesaggio. Prima rumori assordanti, palazzi addossati e fiumi di persone che attraversavano le strade sporche sfidando il traffico impazzito. Poi, all’improvviso, ecco le colline con la magia dei loro colori che andavano dal verde dei prati, al giallo del grano maturo, al marrone della terra appena arata. E si iniziava a godere il canto degli uccelli, il fruscio del vento tra i rami, il cielo di un azzurro pulito. Sofia, con il naso schiacciato contro il vetro, volava già col pensiero a quegli alberi di ulivo, a quei sapori in cucina così diversi da quelli della sua vita di tutti i giorni. Di lì a poco avrebbe riabbracciato i cuginetti e avrebbero parlato in quel dialetto strano che lei aveva imparato sin da piccolissima e i suoi nonni, gli zii, i vicini si sarebbero divertiti molto ad ascoltarla.

Quell’estate, come sempre, sarebbe stata speciale e avrebbe appreso nuove cose meravigliose. Giunta a destinazione, Sofia salutò i nonni con affetto, portò le sue cose nella sua stanza e dopo aver pranzato con tutta la famiglia, sgattaiolò fuori casa e s’incamminò su quella viuzza di ciottoli che amava tanto. Respirò profondamente l’aria fresca, godendosi il silenzio, rotto soltanto dallo scricchiolio dei suoi passi sul brecciame. Arrivò sorridente nel suo posto segreto e si sedette sotto un enorme ulivo secolare. Si sentiva abbracciata dalle sue radici e accarezzata dal venticello tiepido che spirava.

- Ciao! Vedo che sei tornata. – disse all’improvviso una voce possente sopra di lei.

Si voltò, sbirciò a destra e a sinistra, ma non vide nessuno.

- Ti sei ricordata di me anche stavolta. – disse ancora la voce.

Sofia si alzò in piedi, guardò il vecchio albero e capì che era lui che le stava parlando.

Con gli occhi pieni di stupore sorrise e lo abbracciò più forte che poteva, anche se le sue braccine non riuscivano a stringere l’intera circonferenza del tronco e la dura corteccia le pizzicava il viso. Sofia tornò a casa soddisfatta di aver trovato un nuovo amico e decise che da quel momento l’albero sarebbe stato il custode dei suoi pensieri più profondi, dei suoi segreti più nascosti. E ogni giorno gli avrebbe raccontato gli accadimenti più importanti.

L’indomani, infatti, Sofia si recò nel prato dove affondava le sue radici il vecchio ulivo. Si salutarono e poi la bambina stese ai piedi dell’albero una tovaglietta a quadri bianchi e rossi e tirò fuori dalla sua borsetta quattro grosse fette di pane e un vasetto di marmellata.

- Ne vuoi? – chiese all’ulivo, che si mise a ridere e la ringraziò per il gesto affettuoso.

- Cos’hai visto di bello oggi? – gli domandò.

Lui le raccontò di aver visto passare in volo due vecchie cicogne che non tornavano più lì da tempo e quell’anno erano venute a nidificare sul comignolo di un antico casale abbandonato, che si trovava proprio sulla collina di fronte. Poi l’ulivo invitò la bambina ad arrampicarsi sui suoi rami più alti per poter guardare e lei non se lo fece ripetere due volte. Come un maschiaccio, scalò agilmente il robusto tronco e in un attimo fu sulla cima, si sedette tra i rami e volse lo sguardo lontano, laggiù dove gli aveva detto l’ulivo.

- Che meraviglia! – esclamò stupefatta – Si riesce a vedere anche il mare! È proprio là, quell’infinita striscia blu!

L’albero annuì e spiegò che in certe giornate di vento si poteva perfino sentirne l’odore salmastro.  

- E tu cos’hai fatto di bello oggi? – le domandò.

Sofia gli raccontò di essere stata tutta la mattina, con il papà, gli zii e i cugini, in giro per le campagne a raccogliere more tra i rovi ed era tornata con due secchielli pieni. Aveva le mani tutte graffiate dalle spine e alcune ferite anche sulle braccia, ma non sentiva dolore perché era una bimba forte.

- Abbiamo portato a casa chili e chili di more, sai? – disse con la sua vocina gentile mentre l’ulivo l’ascoltava attentamente – E molte le ho mangiate per strada, sapessi quante! La mamma e le zie ci hanno fatto la marmellata, tantissimi vasetti! Ma forse ho esagerato ed ora ho un po’ di mal di pancia.

E l’ulivo scoppiò in una chiassosa risata che smosse tutte le sue fronde. Poi abbassò alcuni rami come se volesse accarezzare la bambina e confortarla.

- Domani andrò col nonno al fiume a raccogliere i giunchi, non so cosa deve farci, poi te lo racconterò!

Così dicendo salutò in fretta il suo amico e corse verso casa prima che facesse buio.

Sofia rincasò in tempo per vedere il nonno tornare al tramonto col suo piccolo gregge di pecore e caprette. Adorava ascoltare il tintinnio delle campanelle al collo degli animali. Qualche capretta, un po’ più ribelle, a volte usciva dalla fila per avvicinarsi a Sofia ed annusarla. Così lei si divertiva a sgridarla e a rimandarla nel gruppo, sentendosi un po’ la Heidi della situazione.

La sera dai nonni c’era una gran pace e un buio totale circondava la casa, illuminata solo dal chiarore della luna. Non era come in città, dove ad ogni angolo i lampioni accesi spegnevano le stelle. Sopra la casa dei nonni c’erano milioni di stelle e non di rado, osservando bene, Sofia riusciva persino a scorgere le lucciole, che volavano basse sui prati al crepuscolo con le loro lucine minuscole che si accendevano a intermittenza. Nessun rumore di auto, solo il canto delle cicale o il bubolare di un gufo. D’estate, la sera, si stava spesso tutti seduti fuori all’aria fresca. Gli zii e il papà di Sofia raccontavano le storie della loro gioventù e lei le ascoltava incantata. All’alba, ogni giorno, il nonno usciva per andare a dar da mangiare alle bestie. Mentre il gallo cantava, Sofia ancora a letto, ascoltava starnazzare le oche che gioivano nel ricevere la loro dose di cibo giornaliera. Il nonno sbraitava ad alta voce e lei si chiedeva se parlasse da solo o con gli animali. Quel gran baccano svegliava sempre tutti gli abitanti della casa.

Quella mattina, la nonna era già in piedi. Sofia, ancora in pigiama, la raggiunse in cortile e insieme andarono nell’ovile a vedere come si mungono le caprette. La nonna aveva in mano una grande scodella bianca smaltata, con una riga blu sul bordo, che posizionò sotto la capretta e iniziò a mungerla. Quando fu mezza piena, la porse alla bambina.

- Tieni, bevi – le disse.

E Sofia, molto contenta, ne bevve a volontà.

- Nonna, è tiepido! – esclamò leccandosi i baffi – E ha un sapore buonissimo!

La nonna sorrise continuando a mungere le altre caprette.

Poi arrivò il nonno che disse alla piccola di andarsi a vestire. Era giunto il momento di recarsi al fiume. Passarono tutta la mattinata insieme, raccogliendo rami di giunco e rincasarono per l’ora di pranzo. Sofia era emozionata e curiosissima di sapere cosa avrebbe fatto il nonno con quei giunchi. Nel primo pomeriggio, mise i rami a bagno nella grande cisterna sul retro della casa.

- Dovranno restare in ammollo qualche giorno – spiegò alla nipotina – poi li scorticherò e li farò essiccare al sole.

Subito dopo, aprì le porte del suo deposito agricolo e tirò fuori dei rami di giunco dell’anno prima, già essiccati, che erano lunghi, dritti e di colore chiaro.

Il nonno si sedette su una seggiola all’ombra del grande fico davanti alla casa e iniziò ad intrecciare quei lunghi ramoscelli. Sofia, come ipnotizzata, osservava le sue abili mani che, magicamente, davano forma ad un bellissimo cesto. I ramoscelli, senza rompersi, prendevano la piega che gli dava il nonno e Sofia, orgogliosa, aspettava con curiosità di vedere l’opera finita. Dopo qualche ora di lavoro il cesto fu terminato e il nonno lo consegnò tra le mani della bimba.

- È tuo – le disse - te lo regalo!

Sofia sorrise, abbracciò forte il nonno e si precipitò dal suo amico albero per raccontargli cos’era successo.

- Un giorno anche io imparerò a creare con le mie mani degli oggetti dal nulla – confidò la bambina all’ulivo, che come sempre, l’ascoltava con piacere.

Sofia tornò a casa, saltellando di gioia, stringendo il suo cesto al petto e ammirando il paesaggio che la circondava. Sapeva già che l’indomani sarebbe stato un altro grande giorno, in cui avrebbe imparato ancora nuove cose.

Ma ormai l’estate volgeva al termine e Sofia sapeva che avrebbe dovuto salutare i nonni per rivederli durante le vacanze natalizie o forse ad anno nuovo. Sapeva che le sarebbero mancati quell’aria pura da respirare a pieni polmoni e quei campi di girasoli color giallo – arancio, così alti e allegri. Sapeva che in inverno, non avrebbe rivisto le api, perché si sarebbero rintanate nelle loro casine così buffe e colorate, ma soprattutto sapeva che avrebbe dovuto lasciare il suo caro amico ulivo. E allora Sofia stava lì, sulla panca davanti alla casa, con gli occhi fissi sulla nonna che sgranava le pannocchie e ne lasciava essiccare i chicchi su un panno steso al sole. Osservava le sue mani affaticate, segnate dal tempo e dal duro lavoro, per imprimerne meglio nella sua mente il ricordo e portarlo via con sé una volta tornata in città. Poi spostava il suo sguardo ammirato sul nonno che, nonostante l’età avanzata, era ancora un instancabile lavoratore. Aveva appena raccolto una gran quantità di patate, le aveva messe in terra su un telo di iuta e con la schiena piegata stava lì, sotto il sole, a fare la cernita tra quelle da portare in cucina e quelle da ripiantare. Avrebbe fatto tutto da solo, come sempre, con le sue mani, quelle mani callose e stanche, ma tanto forti nonostante alla destra mancassero tre dita. Il nonno le aveva perse per un incidente che gli era capitato in gioventù, quando un fucile gli era esploso mentre lo imbracciava. 

Gli occhi di Sofia erano affamati di quelle semplici azioni quotidiane.

Più tardi si recò dal suo albero per dirgli che presto sarebbe ripartita e voleva riempirsi dell’odore della sua corteccia per poterlo sentire ancora a chilometri di distanza.

- E così ci rivedremo in inverno? - le chiese l’ulivo.

- Spero di sì - rispose Sofia carezzandolo - L’estate è quasi finita ed io dovrò tornare a scuola.

-  Eh già! - le sussurrò il vecchio albero - Tra pochi giorni anche per me finirà quest’estate e verranno a raccogliere i miei frutti per farne un olio extravergine buonissimo!

- Ma ti faranno male? - domandò preoccupata la bambina.  

- Oh no! - borbottò l’ulivo - Solo un po’ di solletico!

Lei lo salutò stringendolo forte un’ultima volta, poi andò via.

Passarono gli anni e Sofia tornò sempre più di rado in quei luoghi, specialmente da quando i suoi nonni non c’erano più. Nemmeno le casine delle api erano rimaste, nessuno andava più a raccogliere il miele. La stradina di ciottoli era stata in parte asfaltata, molte cose erano cambiate nel tempo, ma per fortuna il grande vecchio ulivo era ancora lì ad aspettare.

E Sofia, dalla sua città, era sempre pronta a ripartire.

Emma Carrozzieri