Schegge di vita

Un mese di febbraio strano, quell’anno. Dopo l’autunno caldo, come un prolungamento dell’estate, la fine dell’inverno porta Neve e Gelo anche dove Neve e Gelo non erano mai stati. Ma, Neve e Gelo, da dove non erano mai stati se ne vanno molto velocemente, come a voler togliere il disturbo e in quella bella città, famosa per il clima mite, ritorna il sorriso di un sole tiepido che accarezza la neve gelata, ridotta a sinistri cumuli neri, rimasta incastrata negli angoli più umidi. Le mimose spettinate e prive del loro aspetto radioso, i pini derubati della bella chioma morbida rivelano i segni del passaggio di quei due, Neve e Gelo, che avevano visitato inaspettatamente una città non abituata ad accoglierli. I ciclamini, generosi e impavidi, dopo aver sfidato il freddo, ancora ravvivano balconi e davanzali, mentre le primule, coloratissime e allegre, cominciano ad occhieggiare sui banchi del fiorai.

 

Ed è in una mattina illuminata dal primo tiepido sole di una precoce primavera, che Elisa esce di casa respirando aria nuova. La giornata luminosa la accoglie tra le sue braccia amiche. Sale sul primo autobus che le capita, trova posto e sedere e si sofferma ad osservare le persone che ha accanto. Vicino a lei si accomoda una giovane donna dalle fattezze orientali; ha con sé un passeggino che ospita una bella bimba affondata in pesanti indumenti rosa. Fa pensare ad una bambola, ma i grandi occhi scuri sono vivacissimi e curiosi. La giovane donna sistema il passeggino di fronte a sé in modo da vedere bene la bimba poi apre la borsa e ne estrae uno specchietto e una pinzetta. Inizia a depilarsi le sopracciglia. Elisa non può fare a meno di pensare alla vita di quella donna che è costretta ad utilizzare il tempo trascorso in autobus per prendersi cura di sé.

 

L’autobus non ha ancora raggiunto i quartieri più centrali, quando sale un uomo dalla pelle scura, resa forse ancora più scura dalla sporcizia. Cappello informe sulla testa e pantaloni luridi che pare debbano calargli sulle caviglie da un momento all’altro. A guardarlo bene ci si accorge che è giovane e , forse, è anche un bel ragazzo. Tiene strettamente abbracciata contro la giacca di colore indefinibile, una bottiglia di plastica da due litri piena a metà di vino bianco. Capovolto sul collo della bottiglia, un bicchierino di plastica bianca spicca nel degrado. Si va a sedere di fronte ad una ragazza bionda che, automaticamente, apre il finestrino. L’uomo con la bottiglia, con voce garbata e un buon italiano venato di note esotiche, le fa notare che non ci sono animali sull’autobus. Alla sorpresa di lei, lui replica dicendo: “Se tu hai aperto il finestrino, vuol dire che devi cambiare l’aria perché c’è puzza. Ma qui non ci sono animali che puzzano. Perché hai aperto il finestrino?”. La ragazza bionda, con allegria, gli risponde semplicemente che fa caldo, ha aperto il finestrino per rinfrescare l’aria e basta. Danno così il via ad una conversazione surreale che Elisa non può fare a meno di ascoltare. La ragazza bionda parla ad alta voce e allegramente fa notare all’uomo con la bottiglia che non dovrebbe bere tutto quel vino, gli fa male e gli chiede anche se a quell’ora del mattino – sono le dieci – comincia già a bere, in che condizioni pensa di arrivare alla sera. Lui, pacatamente, col suo italiano corretto venato di note esotiche, replica che non può far male la sua bevanda: è semplicemente succo di frutta. Insiste sul fatto che il succo d’uva non fa male. La battuta è banale ma la serietà con cui la pronuncia l’uomo con la bottiglia, le fa acquisire una insospettabile dignità. La ragazza ride con semplicità e lo ammonisce di nuovo, allegramente, predicendogli una brutta fine. E lui racconta. Racconta la sua storia pacatamente e senza vergogna. Fa sapere di essere già stato in prigione un anno e di non avere documenti da dieci. Scorrono paralleli i loro discorsi come le colonne separate nel doppiaggio di un film.

 

Quando l’uomo con la bottiglia scende, echeggia l’ultima risata bonaria della ragazza bionda. Poi scende anche lei e l’autobus sembra improvvisamente vuoto.

 

Elisa prende il libro che porta sempre con sé quando esce. Le piace leggere sull’autobus o anche sedersi, con la buona stagione, sulla panchina di un parco in compagnia del suo libro. Quando legge riesce ad estraniarsi da tutto ciò che la circonda. E ora sull’autobus, seduta vicino al finestrino con i pochi passeggeri taciturni, la situazione è ideale per immergersi nel romanzo scelto.

 

Una voce la distoglie dalla sua concentrazione: “Lei è insegnante?” Elisa alza gli occhi dalla pagina e guarda la persona che le sta vicino con aria interrogativa e anche un po’ stupita. “Lei è insegnante” ripete la persona che le sta vicino. E’ una signora di età indefinibile. Si capisce che deve essere stata una bella donna ma i capelli esageratamente biondi non contribuiscono a migliorare il suo aspetto. Elisa, afferrata la domanda, risponde titubante: “No…no. Perché?” La signora bionda, con molto garbo e una profonda tristezza negli occhi – sembra che i suoi occhi guardino lontano, molto lontano – risponde: “Sa, deve scusarmi. Ho visto che lei legge e ho pensato che forse insegna. Perché… perché io sono un’insegnante. Sì, sono un’insegnante. Al mio paese. Vengo dalla Moldavia e là ci sono molte difficoltà, allora sono venuta in Italia ma… qui faccio un lavoro sporco”. Dice proprio così la signora con gli occhi tristi. Lavoro sporco. Il suo lavoro sporco, come dice lei, è quello della badante. Assiste una persona anziana ma ha tanta nostalgia dei suoi ragazzi e delle aule scolastiche lasciate al suo paese. Elisa non sa cosa risponderle ma le fa piacere che quella donna triste abbia scelto proprio lei per le sue confidenze malinconiche. Con garbo e riservatezza, prima di scendere dall’autobus, l’insegnante moldava, badante in Italia, si scusa con Elisa per averla importunata. La signora bionda scende e sfugge alla vista sul marciapiede. Quando l’autobus riprende la sua corsa, Elisa si trova a fissare a lungo il sedile lasciato vuoto dalla nostalgia.

 

I passeggeri rimasti, alcuni seduti, altri in piedi, appaiono manichini grigi e privi di vita.

 

Rossana Bonadonna