Sorridi Peppino!

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5,30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare.*

Peppino quel giorno si era dato appuntamento giù al porto con Gennarino, avrebbero dovuto concludere “l'affare del secolo”, gli aveva promesso l'amico e di lui si fidava, avevano “bevuto dalle stesse zizze”, diceva, perciò erano fratelli di latte.

S'infilò la maglietta blu, quella che indossava per le grandi occasioni, i pantaloni lunghi stirati, le scarpe marroni lucide di cromatina e si precipitò giù per le scale nell'androne con la fretta di un ronzino a cui hanno appena regalato uno zuccherino.

Non c'era stato tempo per lavarsi, anche se pochi giorni prima, la madre, quasi come se sospettasse qualcosa, gli aveva regalato una saponetta di marsiglia nuova di zecca.

- Così fai bella figura con i tuoi amici- gli aveva sorriso – so quanto ci tieni.

Ed era ritornata alle sue faccende.

Aveva trascorso la notte insonne, pensando all'affare.

- Sicurissimamente ci cambierà la vita – gli aveva bisbigliato Gennarino la sera prima dalla finestra del basso in cui viveva.

- Uno, due, tre... ma quanti sono?!? – pensava – ieri erano di meno!

Contava uno ad uno gli scalini, che sembravano infiniti e proprio mentre stava per aprire il portone, le urla lancinanti di una donna, che provenivano dall'ultimo piano, lo costrinsero a fermarsi.

Percorse a ritroso le scale, ma lentamente, aveva riconosciuto quelle urla. La paura lo invase e non appena raggiunse il pianerottolo, si fermò per un po’ davanti all’unica porta chiusa. Iniziò a battere forte, i pugni chiusi e irrigiditi.

- Chi è? Che succede? Che succede?

Continuava a sentire quelle urla, ora più stridule e mescolate a voci di altre persone, che però non lo sentivano. Ne riconobbe alcune: la voce di Carmela, la vicina, che gli diceva sempre “Peppino, io ti ho visto nascere!”, della custode e della zia Maria, che da anni viveva al Nord per aveva sposato un milanese e così era emigrata.

Ma come poteva essere? Come poteva trovarsi tutta quella gente a quell’ora a casa sua?

Guardò l’orologio, segnava le 5:40, il tempo si era fermato.

Nel trambusto di voci che si accavallavano, sentì il vagito di un bambino e un grido di gioia.

- È nato, è nato Peppino!

In quel momento capì che stava nascendo.

Sbalordito da quello che stava accadendo, accostò l’orecchio alla porta, ascoltò attentamente il suo pianto, già fiero, come il più grande degli inni alla vita e solo in quel momento si rasserenò.

Udì le risate e i complimenti di tutti e si sentì amato, come mai gli era capitato nella sua semplice vita. Si sentì amato da Carmela, la vicina, che aveva sempre rimproverato sua madre.

- Tu vizi troppo a Peppiniello! – le ripeteva – ricordati che mazzate e panelle fann e’ figli belli!

Ma poi ora che ci pensava, Carmela almeno una volta a settimana, gli faceva trovare, invece delle mazzate, le panelle, anzi il panino caldo con la ricotta e i cicoli, il suo preferito.

Si meravigliò dei complimenti della zia Maria, che invece quando gli chiedeva qualcosa e lui restava a bocca aperta, con un sonoro schiaffo dietro la nuca, lo riconduceva alla realtà.

- Svegliati! – gli diceva – Che sei, ritardato?

Ma poi nel momento in cui, qualcuno si prendeva gioco di lui, subito lo difendeva.

- Il ragazzo è ritardato sì, ma solo di qualche minuto!

Mentre era da solo, perso nei suoi pensieri, si ricordò dell’affare e fu allora che venne accecato da una luce bianchissima.

Per la verità Peppino, quel giorno all'appuntamento con Gennarino si era presentato, ed era stato anche puntuale: il porto si era già svegliato da qualche ora ed il viavai di pescatori che cercavano di sistemare sui banconi il frutto della loro fatica notturna gli impediva di capire dove fosse l'amico.

Poi lo aveva visto, facendosi spazio tra la gente che si accalcava tra le bancarelle per comprare il pesce ancora freschissimo. Gennarino era lì, fermo, che parlava con due uomini sulla cinquantina dall'aspetto poco rassicurante.

Gli era corso incontro e non appena l'amico l’aveva visto, come se non si conoscessero e senza alcuna espressione in viso, ma con un cenno del capo gli aveva dato un ordine secco.

- Mettiti lì, fai il palo.

E gli aveva indicato un muretto che si trovava in fondo ad uno dei viali che costeggiavano la banchina.

Peppino, che c'era rimasto male, senza capire bene cosa stesse accadendo, un po’ per quel suo leggero ritardo, un po’ per l'entusiasmo e l'eccitazione di trovarsi a vivere quell'esperienza, gli aveva obbedito immediatamente. Senza dire una parola, aveva iniziato a camminare ,ma questa volta lentamente, come se si volesse godere a pieno la delusione.

La puzza del pesce, mista a quella di polvere da sparo, si era insinuata nelle narici e nella gola con violenza ed un dolore fortissimo lo aveva attraversato dalla testa ai piedi.

Era caduto e il suo unico pensiero era stato rivolto a chi lo aveva tradito: forse il latte con cui erano cresciuti, era avariato!

Il corpo disteso e rilassato, ormai si era liberato di tutta quell'eccitazione e come nella tranquillità del ventre materno, si era visto nascere.

Lo aveva proprio visto quel momento o forse aveva desiderato che fosse davvero così.

Bambino amato, coccolato, voluto, anche se poi la vita non era andata proprio come sperava, anche se l'amico lo aveva tradito, anche se l'affare non era finito come immaginava.

Perciò chiuse gli occhi e sorrise.


Fabiana Migliaccio

*Incipit tratto da Se solo fosse vero di Marc Levy