Spire di fumo

Inspirò profondamente una lunga boccata di fumo, ignorando completamente il grido di dolore dei suoi poveri polmoni che chiedevano pietà fischiando.

La brace della sigaretta ormai consumata divenne più luminosa e illuminò il suo volto segnato dalle troppe notti insonni.

Avvolto nel fumo azzurrino, chiuse gli occhi godendo del leggero stordimento che si impadroniva lentamente della sua testa.

Da parecchio tempo non riusciva più a dormire durante la notte e di giorno, gli occhi cerchiati, si aggirava in casa, per la strada, nel suo studio, come un fantasma. E se provava a riposare, gli tornavano alla mente quei momenti, quei dannati momenti che gli avevano rubato la tranquillità e irrimediabilmente anche la salute. In una parola: la vita.

 

Era un luminoso giorno di primavera. Una primavera esplosa all’improvviso e i prati del parco, dove era solito andare col suo cane, erano imbiancati dalle pratoline sorridenti.

Il suo cane, non più giovane ma ancora vivace, solitamente si aggirava tranquillo tra gli effluvi del prato e dei cespugli, senza perdere mai di vista il suo padrone. Ma quel giorno, all’improvviso, qualcosa lo attrasse irresistibilmente: cominciò a correre diretto verso una meta ben precisa. A nulla valsero i richiami, i fischi, le minacce di Francesco che si stupì di tale comportamento. Non poté fare a meno di seguirlo fino a quando, dopo una lunga corsa che lo portò dalla parte opposta del parco, Ombra, il suo cane, si fermò, visibilmente eccitato vicino ad una dolcissima labrador bionda. Ombra aveva seguito il suo istinto e Francesco aveva seguito il suo cane. Guardò prima Ombra e l’espressione di disappunto che lo aveva accompagnato durante la lunga corsa si trasformò in uno sguardo di simpatia e complicità quando capì il motivo della fuga. La labradorina era veramente graziosa e attraente, da un punto di vista canino, naturalmente. Indossava un vezzoso collare verde mela al quale era attaccato un guinzaglio dello stesso colore. Lo sguardo di Francesco risalì lungo il guinzaglio e si posò su di un braccio snello, abbronzato che risultava appartenere ad una bellezza atletica, e statuaria.

“Ciao!” sorrisero due grandissimi, limpidi occhi azzurri ma Francesco non fu in grado di rispondere al saluto; era rimasto come fulminato da quella visione e mentre Ombra e la labradorina solidarizzavano caninamente, lui restava inebetito, incapace di muoversi.

“Salve. Simpatico, il tuo cane. Vengo qua tutti i giorni ma non ti ho mai visto.”

“Sì, grazie, ma non è di razza, sai. E’ un meticcio … l’ho preso in un mercato … Ha dieci anni, ma… ma… è, è giovanile, ecco.” Così rispose lui, un po’ stupidamente senza nemmeno rendersi conto di quello che stava dicendo. I grandissimi, limpidi occhi azzurri si strinsero in un sorriso divertito:

“Facciamo due passi?” proposero “ penso che sarà difficile separare i nostri amici; stanno giocando così bene.”

Quella fu la prima di una lunga serie di passeggiate nel parco, col pretesto dei cani che avevano fatto amicizia e che si cercavano ogni volta che arrivavano al solito prato.

Ben presto si resero conto entrambi che non erano solo i loro cani a cercarsi, non erano solo loro ad essere felici quando si trovavano insieme in mezzo alle pratoline; ma nessuno dei due riusciva ad uscire dalla gabbia imposta dal ruolo di persone-che-portano-a-spasso-il-cane-al-parco.

Finché un giorno Francesco, affascinato seppur intimidito dalla disinvoltura di lei, superando timori ed incertezze, la invitò a cena. Fu una serata indimenticabile. Lasciati per una volta a casa i loro amici a quattro zampe, riuscirono a superare timidezze e diffidenze, finendo così per conoscersi meglio in una sola serata che non in tante passeggiate al parco trascorse a parlare di vaccini, croccantini, veterinari e cose simili. La loro vita cambiò radicalmente.

Francesco, architetto di successo, diede un nuovo impulso al suo lavoro di progettista anche grazie all’aiuto di Ludovica che si occupava di arredamento di interni.

Iniziò un periodo ricco di esperienze lavorative e sentimentali irripetibili. Quando lei era troppo impulsiva o incoerente lui, col suo equilibrio e la sua calma, riusciva a riportare nei giusti confini qualunque situazione. Ma se era lui ad avere incertezze, l’entusiasmo e la tenacia di lei lo facevano uscire dalla sabbie mobili del suo carattere a volte troppo riflessivo.

Lui, architetto, amante delle linee rette e ortogonali. Materiale preferito: l’acciaio. Lei: colore, colore, colore, fantasia.

Di notte Francesco aveva l’impressione di camminare sull’arcobaleno, sentendosi di volta in volta blu, rosso, giallo, arancione. Lui stesso diventava solo colore. Grazie a Ludovica.

E di giorno, il sorriso soddisfatto dei suoi committenti riscaldava lo studio come mai era successo prima.

Felicità pura nella fusione di due corpi, due intelligenze, due cuori e anche due conti in banca che ricevettero un benefico impulso da questa energia scatenatasi dopo un semplice incontro tra due cani

 

Poi una sera: No, sono stanca.”

L’indomani non una parola, non una lettera, non una telefonata. Ludovica era andata via portando con sé le sue cose e tutti i colori di Francesco.

 

Di lui non rimase che una nuvola grigia di fumo.

 

(Rossana Bonadonna)