Storia di Lucia e delle sue storie

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano la 5,30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l'alba della sua città sapeva creare.

Lucia sollevò appena una palpebra, la richiuse e si girò dall’altro lato… una luce abbagliante la rivestiva mentre lei correva, correva, correva…

- Ehi, ma non vuoi bere il tuo caffè?

Aprì un occhio. Buio. Aprì anche l’altro seguendo il profumo del caffè. Primo spiraglio.

Ma chi era quel personaggio strano che insisteva per farle bere il caffè? Ma com’è che stava nel letto? Non stava correndo?

Quello strano personaggio si stancò di aspettare con il bicchierino, tassativamente di carta, in mano, l’appoggiò sul comodino e alzò la tapparella.

Compiuto il rito, se ne tornò in cucina. Lucia capì allora che per quella mattina il suo sogno si era interrotto. Non avrebbe mai saputo dove stava correndo.

Forse era il caso di bere il caffè e di affrontare la giornata che l’aspettava.

Per un attimo, solo per un attimo, i pensieri di quello che doveva fare l’aggredirono. Paura! Ma c’era la possibilità di scappare?

Poi si ricordò che quasi ogni mattina pensava la stessa cosa e ogni volta respirava a pieni polmoni la luce calda della vita che l’attirava fuori e decideva così di affrontare quel giorno.

Chiamava a raccolta ogni pezzo del suo corpo, i piedi, le gambe, la schiena, le spalle, le ginocchia e ordinava loro di parlarsi, di fare le dovute presentazioni e di mettersi al lavoro senza lamentele e perdite di tempo.

Dunque era giunto il momento. Ripassò velocemente il programma della giornata, ma rimase incollata al letto e per quanto si sforzasse di muoversi non ci riusciva. Si accanì con tutte le sue forze, trattenne il respiro, ma NIENTE!

Accidenti. E adesso? Cos’era quella novità?

Gli occhi erano ben aperti: vedeva chiaramente ogni particolare della sua camera da letto nuova, comprata per i festeggiamenti del matrimonio della figlia. Sentiva anche i rumori che provenivano ovattati dalla cucina, dove il “caffettaio”, chiusa la porta, esercitava il suo potere di padrone temporaneo di quello spazio, in attesa della “regina del focolare” che una volta alzata avrebbe preso in pieno il comando della situazione.

Fu in quel momento, quando la disperazione stava per prendere il sopravvento sullo sgomento iniziale, che Lucia fu abbagliata da una gran luce. Si può dire luce luminosa? Sì, era una luce abbagliante e luccicante, era qualcosa di avvolgente, fatta di tanti puntini luminosi che coprivano, coprivano, coprivano una figura misteriosa.

E adesso? Non vorremmo essere nei panni di Lucia!

Gli occhi sbarrati. La voce impedita.

Una melodia. La voce che uscì da quella luce era una vera melodia.

- Buongiorno cara Lucia, sono la fatina della lentezza e sono qui solo per aiutarti. Mia cara, così non va bene, non va affatto bene eh, eh, eh!

E mentre pronunciava queste parole una cascata di punti luminosi si adagiò ai piedi del letto perché, dovete sapere, ogni volta che la fatina parlava, dondolava la testa come in una danza africana e tutti i punti luccicosi si sparpagliavano intorno a lei, svelando in maniera sempre più chiara la sua figura.

Ora Lucia poteva intravederne il viso. Sorpresa! Era una vecchina dai lineamenti minuti, con il volto perfettamente ovale, una vera miniatura da cammeo. I capelli bianchi come la neve, legati dietro la nuca in una pettinatura antica come il suo vestito, le lasciavano libero il volto che sembrava risplendere di luce e di bontà.

- Puoi chiudere la bocca, mia cara. Se mi prometti di non agitarti troppo, ti libero di una parte dell’incantesimo e così potrai parlare!

- Auschhhhhh! Auschhhhhh! – sbadigliò Lucia, stiracchiando ogni parte del corpo - Fammi capire bene, chi saresti tu? E che ci fai in camera mia a quest’ora?

- Sono la fatina della lentezza e non fare la furba con me, so bene che fai finta di non capire. Din-don-da-lò - recitò la vecchina mentre si dondolava e il manto di luce si allargò ai suoi piedi rivelando altri particolari: le mani.

Com’erano sottili e piccole e delicate e tenere, abituate da sempre alle carezze, anzi nate apposta per farle.

La fatina si avvicinò al letto e con le sue mani fatate le toccò la testa. Lucia avvertì subito una piacevole sensazione di fresco riposo, di leggerezza, come se con quel tocco la fatina le avesse scacciato tutti i brutti pensieri, le ansie, gli orari da rispettare, le corse che quella giornata le aveva organizzato.

Lucia chiuse gli occhi. Da quanto tempo non si sentiva così bene, leggera e libera!

- Ma… ma… cosa mi hai fatto? E il mio mal di testa, fidanzato inseparabile del mal di stomaco a prima mattina?

- Eh, eh, eh, eh! – ridacchiò la fatina – Alzati adesso e pensa alla prima cosa che vuoi fare.

Lucia ebbe subito l’istinto di ripetere le azioni abituali, cioè per prima cosa prendere la sua agenda e controllare gli impegni più importanti della giornata e decidere subito da cosa cominciare, ma il manto luminoso le fece cambiare idea. Si fermò, seduta sulla sponda del letto e pensò di telefonare a sua madre. Ottantatrè anni, e com’era bella, e com’era romp… e come a volte non sopportava le lunghe lamentele delle sue lunghe giornate! Però oggi non era come gli altri giorni, oggi aveva il manto di luce, oggi tutto si poteva fare, avrebbe avuto il tempo per farlo e per apprezzarlo.

Si diresse nel soggiorno per prendere il telefono, ma quando fece per alzarsi la fatina non c’era più. In un primo momento pensò che si era trattato di un sogno, ma poi, ai piedi del letto, una luce carismatica le confermò che il manto della fatina della lentezza era rimasto a lei.

E adesso veniva il bello! Doveva cominciare a vivere in modo completamente diverso da come aveva fatto fino ad allora.

Sembrava in trance, invece era solo assorta in quei pensieri che si trasformavano in scene e poi in un film che solo lei poteva vedere. E così, ad uno ad uno, i mesi e i giorni passati e i fatti accaduti sfilarono davanti ai suoi occhi.

Che buffo, le sembrava di stare al circo, dove ogni tanto avviene qualche magia. Avete presente il gran finale con la parata conclusiva di tutti gli artisti e degli animali che hanno preso parte allo spettacolo? I suoi ricordi le facevano quest’effetto. Però… ecco, c’era un però, che rendeva quel circo triste e non allegro: c’erano tanti spettacoli, tante iniziative, tanti oggetti… ma c’era una grande assente… LEI… LUCIA!

Dov’era finita? Quando si era smarrita? Aveva dato retta a troppe persone, aveva fatto un’infinità di cose e ne aveva imparato molte di nuove, ma si era dimenticata di quella più importante: LEI STESSA!

Avrebbe dovuto capirlo durante una visita medica.

- Quali sono i suoi hobby? – le aveva chiesto il dottore – Che cosa le piace fare nel tempo libero?

E lei non aveva saputo rispondere: le sembrava che il suo lavoro, quello che faceva per vivere e per cui veniva pagata, fosse anche il suo hobby e il suo divertimento.

Non era giusto? Fino a quel momento non se l’era mai chiesto. La vecchia fatina, però, le aveva aperto gli occhi (non solo perché l’aveva svegliata!) ed era giunto il momento di trovare una risposta.

Quella mattina Lucia non ebbe fretta di prepararsi per uscire, anzi, straordinaria novità, se ne tornò a letto per pensare!

- Uè, che fai, non ti alzi? Come mai? Non stai bene? – si sorprese Nicola, che era abituato a sentirla correre per casa, sempre di fretta, inciampando spesso nelle cose.

- No, sto benissimo – rispose – ma ho tanto da fare. Devo pensare!

E fu così che, pensa e ripensa, alla fine Lucia pensò che era ora di alzarsi.

Assaporò a pieni polmoni l’idea del tempo che aveva a disposizione. Solo adesso si rendeva conto che ne aveva tanto e che solo lei poteva decidere cosa farne. Un bel potere!

Nella libreria di quello che una volta era il soggiorno di casa, che lei aveva provveduto a trasformare in uno studio abitabile (perché in effetti viveva là…), aveva organizzato un settore adibito alla preghiera e alla meditazione. Mai utilizzato, in effetti. Ogni tanto ci passava vicino e con la mano accarezzava i testi e le riviste ben disposte ed allineate, sognando il momento in cui avrebbe avuto il tempo di sedersi a leggere e a riflettere. Pensava anche a cosa avrebbe provato, ma era solo un attimo e poi un Drinnn! o un “Mamma dove sono…?” oppure un “Hai visto i miei occhiali? Dove ho messo le chiavi?” le facevano capire che non era il momento adatto.

Si avvicinò allo scaffale e prese con tutta calma e con una strana pace interiore la Regola di San Benedetto e cominciò a leggere: Ascolta, o figlio, la voce del maestro…

Le venne in mente Madre Benedetta, la suora benedettina di clausura, divenuta sul campo sua confidente e maestra di vita, la quale le raccontava di un saggio che si era ritirato a vivere da eremita, in una grotta, per avere la tranquillità di pregare e di riflettere. Ogni tanto qualche giovane monaco si inerpicava per i sentieri della montagna in cerca del vecchio eremita per ricevere da lui un consiglio o un insegnamento.

- Padre, dammi una parola!

- Ecco… ma su questa parola dovrai riflettere a fondo. Solo quando l’avrai compresa pienamente potrai tornare da me!

E quel giovane, soddisfatto della parola avuta, tornava indietro.

A volte impiegava anche degli anni per ritornare dal maestro tanto era profondo il suo pensiero. Ma quando tornava e riceveva una nuova parola la sua felicità era indescrivibile e profonda.

Per Lucia era davvero arrivato il tempo di cambiare. Pensò con calma, pensò e ripensò ancora… finché dentro di sé trovò una passione un po’ sonnecchiosa, che però avrebbe potuto ancora funzionare… bastava una spolveratina, un aiutino e poi… chissà?

Ne parlò per caso con Gabri, una sua ex alunna a cui era rimasta particolarmente legata. Un giorno ricevette da lei un’email: “Prof, forse ho trovato quello che fa per lei. A Roma c’è un corso di scrittura creativa Magic BlueRay…”

Lucia imparò a trovare le storie che erano già dentro di lei e cominciò a scriverle. Non sapeva mai alla prima parola quale parola sarebbe seguita, né aveva già chiaro come la storia si sarebbe conclusa, ma sapeva che era lì e sapeva che la fatina della lentezza l’avrebbe aiutata a cercarla!

Bastava aspettare, con pazienza e con amore.

 

 

Angelamaria Fiorillo