Storia di una donna

Scese gli scalini davanti alla porta di casa e si incamminò verso la via principale. A quell’ora del mattino non c’era quasi traffico. Camminava nella tranquillità domenicale come un automa, frastornata. Non era sicura di cosa fosse successo poco prima.

 

Il sabato sera, l’ennesimo litigio, una frattura sempre più profonda con l’uomo che aveva tanto amato e per il quale aveva rinunciato a tante ambizioni della sua vita. E quella mattina… Cosa era successo quella mattina?

 

Le venne in mente suo padre, architetto affermato con la pretesa di progettare anche le vite altrui. Aveva pianificato tutta la vita della figlia e fino al suo ingresso all’università – facoltà di architettura, naturalmente – l’aveva protetta e tenuta al riparo da tutto ciò che fosse estraneo al loro ambiente dorato.

 

Erano gli anni della contestazione giovanile e: “Sei sicura, Marina?” le disse, tentando di metterla in guardia da quel ragazzo bruno, appassionato, che era convinto di poter cambiare il mondo.

 

Un giorno, un po’ timorosa e spaesata, Marina si ritrovò in un’assemblea in facoltà. Tutte le certezze e i condizionamenti crollarono di fronte alla passionalità prorompente di Diego che arringava gli altri studenti. Lui, inizialmente, non si accorse di Marina, distinta ma un po’ scialba. Poi, la notò proprio per l’aspetto troppo pulitino, rispetto allo stile dei ragazzi di Valle Giulia dell’epoca. Lo strappo che sentì dentro di sé, evocò a Marina l’immagine, ripresa al rallentatore, di una lampadina che scoppia; ogni frammento di vetro che volava via era un pezzetto della sua vita fino ad allora vissuta senza passione e senza la capacità di decidere.

 

Cominciò a guardare Diego con ammirazione che presto divenne adorazione e fu facile, una sera, quando lui si offrì di accompagnarla a casa, cedere alle sue lusinghe. Era ormai stregata per la vita.

 

Cominciò a trascurare i suoi studi per aiutare lui, sicuramente meno dotato e fra politica e tecnica delle costruzioni, collettivi e analisi matematica, un neo architetto andò ad arricchire l’albo professionale. Il nome della figlia di un affermato architetto romano non sarebbe mai stato scritto in quell’albo.

 

Diego la amava, ma a modo suo, di un amore egoista e soffocante e non si rendeva conto che forse aveva sposato la giovinetta scialba, di buona famiglia, così diversa da lui, proprio per distruggere e umiliare quel mondo che tanto odiava. Ma il risultato era stato quello di umiliare soltanto Marina mentre lui, Diego, grazie a lei, si era perfettamente integrato in quell’ambiente dorato e non gli dispiaceva affatto avere un suocero che gli apriva le porte di una professione in cui affermarsi senza conoscenze, non è facile.

 

Non avevano figli: Marina, aveva detto il medico, non avrebbe potuto averne a causa di una disfunzione difficilmente curabile e Diego era contrario all’adozione.

 

Sempre più spesso Diego rincasava tardi dicendo che il lavoro lo tratteneva a studio e, a volte, non rientrava neanche la notte. Il rigore e la correttezza di Marina le impedivano di andare a controllare, come sarebbe stato suo diritto, se effettivamente Diego si trovasse a studio tutte le volte che affermava di rimanervi.

 

Un brutto giorno, era un pomeriggio di pioggia, Marina decise di andare a fare un giro in una grande libreria del centro. Solitamente era distratta e non osservava molto la gente che aveva vicino. In quel periodo, poi, viveva così intensamente la crisi profonda del suo rapporto col marito che si stava ripiegando su sé stessa sempre di più. Ma quando arrivò alla cassa e dovette mettersi in fila, non poté fare a mano di guardare le due persone che aveva davanti. Prima un profumo familiare, poi una voce, la fecero trasalire: l’uomo davanti a lei era proprio Diego e teneva un braccio sulla spalla di una elegante signora. Quando arrivarono alla cassa, Marina, cercando di non farsi vedere, si rese conto con sgomento che la signora, che le stava ora davanti di profilo, sfoggiava un superbo pancione sotto l’elegante soprabito di sartoria.

 

Lasciò cadere i libri che aveva in mano e fuggì fuori senza sapere dove andare. Il traffico del centro la stordiva e fece fatica a prendere l’autobus per tornare a casa.

 

Quando finalmente arrivò, fradicia e in lacrime, trovò Diego, placidamente sprofondato sul divano, con un libro in mano: “Sai, è sabato. Ho preferito tornare a casa, da te, anche se avrei dovuto trattenermi a studio anche stasera. Vogliamo uscire?”

 

Con la forza della disperazione e del suo dolore, Marina lo afferrò per la camicia costringendolo ad alzarsi; lo spinse con forza contro la parete ma lui si sbilanciò a cadde all’indietro sbattendo violentemente la testa contro il marmo del caminetto.

 

La macchia di sangue si allargava sempre di più sul tappeto e Marina rimase tutta la notte a fissarla, seduta sul divano. Sembrava un’aureola. Quando la macchia divenne scura, asciugandosi, le venne in mente che presto sarebbe nato un bambino che non avrebbe mai conosciuto il padre.

 

A quell’ora del mattino non c’era quasi traffico e quella domenica, davanti ad un agente di polizia del commissariato del suo quartiere dove le sue gambe l’avevano portata senza che lei se ne rendesse conto, Marina seppe dire soltanto: “L’ho amato tanto.”

 

(Rossana Bonadonna, da un'idea di Gianna Mieli)