Un lupo in camice bianco

La maestra entrò in classe, salutò i bambini, posò i registri sulla cattedra e vi si piazzò davanti iniziando la lezione con una domanda.

- Chi sa dirmi il colore della nostra bandiera?

Da ogni banco si alzò un braccio.

- Alessio, dimmi!

- Bianco, rosso e verde – rispose il bambino, soddisfatto.

- Bravo – esclamò la maestra.

Poi, leggendo la delusione sui volti degli altri, aggiunse:

- So che lo sapevate tutti! Siete una bella classe e proprio per questo il preside vi ha scelto per rappresentare la bandiera. Più tardi sorteggeremo tre di voi per realizzarla.

Monica Cappucci sedeva nel banco in terza fila. Era una bambina molto carina, ma preferiva i giochi da maschio e gli sport alle bambole. Non era paffuta, anzi, per la sua magrezza, storpiando il suo cognome, le avevano affibbiato il soprannome di Cappuccetto.

In quei giorni era molto triste perché sua nonna, alla quale voleva un mondo di bene, non era più in casa con lei. I suoi genitori avevano deciso di mandarla in una specie d'ospedale, dove, secondo loro, sarebbe stata meglio. Lei era già andata a trovarla da sola, nonostante quella villa fosse molto lontana dalla sua casa, estremamente isolata e con un bel pezzo di strada da fare a piedi.

Quel giorno, in classe, come spesso le capitava, stava con la testa tra le nuvole e fu con un sobbalzo che tornò sulla terra, quando sentì che la maestra, sorridendo, le stava comunicando qualcosa.

- E infine tu Monica, nella bandiera sarai il rosso.

Poi la maestra fu chiamata dal bidello. Era appena uscita dalla classe che tutti i bambini si rivolsero verso Monica, gridando.

- Cappuccetto Rosso, Cappuccetto Rosso, Cappuccetto Rosso! - ripetevano in coro.

Ridevano tutti e anche lei scoppiò a ridere, finché tornò la maestra.

I bambini, dopo la scuola, presero la via di casa, tutti tranne Monica, che, anche quel giorno, voleva andare a trovare la nonna. Sentiva troppo la sua mancanza ed era sicura che anche lei avesse bisogno della sua adorata nipotina. L'ultima volta che c'era andata, le era rimasto vivo nella mente il ricordo di un'altra signora che stava finendo di bere una tazza di cioccolata. Si capiva che le piaceva moltissimo e sorrideva con le labbra chiazzate di marrone. Le mancava solo l'ultimo sorso, il più dolce, ma una mano le portò via la tazza: quell'omone alto e grosso, un infermiere, le disse che non poteva più aspettare.

- Ma non potrebbe pazientare un minutino? - azzardò Monica che in cambio ricevette l'ammonizione di tacere.

Erano questi i pensieri che affollavano la mente della bambina, mentre stava andando. Doveva passare per un posto in cui non era mai stata a piedi, ma solo con la macchina del babbo. Era un grosso parcheggio, un casermone di cemento a più piani, coi soffitti bassi e senza pareti, per far entrare più luce, ma anche così ogni piano risultava molto buio. La costruzione era situata a ridosso di una collinetta: si entrava dall'alto e dopo aver sceso diversi piani ci si trovava sulla strada. La maggior parte delle auto presenti, venivano parcheggiate la mattina e riprese la sera e quindi durante il giorno, in quel luogo sinistro, non si incontrava nessuno. Monica si fece coraggio, entrò di corsa in un ascensore e spinse il bottone "T". Cominciò la discesa, ma ad un piano intermedio l'ascensore rallentò e si fermò: le porte si aprirono ed entrò un uomo, non prima di aver allontanato con un calcio e un'imprecazione un micino in cerca di fusa. Solo quando l'ascensore ripartì, Monica riconobbe in quella bestia l'infermiere della cioccolata, lo stesso che accudiva sua nonna. Il peggio fu che anche lui la riconobbe.

- Ciao... – la salutò lui, schioccando le dita come se stesse cercando di ricordare il suo nome

- Monica – lo aiutò lei

- Monica, ecco! Lo avevo sulla punta della lingua.

L'ascensore ripartì. La bambina aveva paura di guardarlo, ma non poté fare a meno di sbirciare dallo specchio: era più alto di suo padre e rispetto a lui aveva una montagna di capelli. La pelle del viso era piena di buchi, ma quello che più la spaventava erano gli occhi, piccoli e vicini, come quelli del papà di Luigi, un suo vicino di casa, che urlava sempre dietro al figlio, minacciandolo continuamente. Arrivato al piano terra l'ascensore aprì le porte per farli uscire.

- Stai andando dalla nonna?

Che domanda! Non avrebbe avuto altro motivo per essere lì.

- Si, sono uscita da scuola e voglio andare da lei. – rispose

- L'ho detto anche a mio papà - aggiunse poi, come se la cosa la tranquillizzasse.

- Brava bambina. Allora andiamo insieme. Va bene?

- Perché no, però sbrighiamoci.

Uscirono in strada e lui cercò la mano di lei che si scansò con uno scatto, spaventata. Lui si fermò a guardarla.

- Voglio aiutarti ad attraversare - le disse con voce calma per tranquillizzarla - Può essere pericoloso, qui c'è molto traffico.

Monica esitò qualche istante, alzò la testa per guardarlo e alla fine allungò il braccio e gli tese la mano. Attraversarono, ma lui non la lasciò e lei non ebbe il coraggio di svincolarsi. Così arrivarono, mano nella mano fino alla clinica. La bambina però si sentiva rassicurata da quella vicinanza e pensò che forse l'uomo non doveva essere del tutto cattivo.

La nonna stava dormendo quando Monica entrò nella stanza. La ragazza si sedette ad aspettare e dalla rivista che stava sfogliando cadde un foglio. Lo raccolse per leggerlo, ma entrò l'infermiere col suo bel camice bianco e così lo rimise velocemente tra le pagine. L'uomo si avvicinò e senza parlare cominciò a rovistare nei cassetti.

- Non credo che mia nonna abbia piacere che lei frughi tra le sue cose.

- Sarai tu a fare la spia? - ringhiò l'infermiere – Esci subito, vai in corridoio, devo riassettare.

Monica, per un attimo, pensò di ribellarsi, ma voleva leggere il foglio e così obbedì senza fiatare. Si chiuse in bagno, lì non la vedeva nessuno. Non riuscì a comprendere il significato di ciò che era scritto nel foglio e così col cellulare chiamò la maestra per farsi spiegare. Quando l'insegnante le chiarì il senso di quelle parole, Monica si spaventò. Piegò il foglio e mentre se lo stava infilando in un calzino il fragore di un pugno dato alla porta trasformò la sua paura in terrore.

- Ancora lì dentro? Esci! - le intimò l'uomo - Tua nonna si è svegliata.

- Un attimo. Sto uscendo!

Fu quasi tentata di buttare quella carta nel bagno, ma poi chi le avrebbe creduto?

Ed uscì, dopo aver fatto scendere l'acqua.

L'uomo, senza parlare, la spinse nella stanza della nonna, si fece consegnare il cellulare ed uscì, chiudendo la porta a chiave. Monica capì di essere in trappola, prigioniera insieme alla nonna, che non era per niente sveglia.

Cosa poteva averle fatto? La bambina sentì che stava per mettersi a piangere.

La nonna continuava a dormire.

- Povera nonnina – pensò Monica - si deve essere sentita abbandonata!

Però nel foglio non c'era la sua firma, non aveva ceduto. Con quella carta la nonna donava una delle sue cose più preziose ad una misteriosa associazione, almeno questo le aveva spiegato la maestra. Quello che per lei era solo un vecchio libro dentro una teca di vetro, in realtà risultava essere una rarissima Prima Edizione, di un valore molto elevato.

Monica si avvicinò alla finestra chiusa ermeticamente. Nel palazzo di fronte si vedevano delle persone: provò a battere i piccoli pugni sul vetro, ma inutilmente, rischiava solo di farsi male. Il sole inondava di luce la stanza e guardare fuori le procurava fastidio, ma doveva resistere. Poi ebbe un'idea, una grande idea: lo aveva visto fare in un film ed anche suo cugino l'aveva tormentata in questo modo. Prese lo specchio di sua nonna, grande, col manico e cominciò a riflettere la luce del sole verso le persone del palazzo di fronte. Ci riuscì benissimo, tanto che alcuni andarono alla finestra per farla smettere. Adesso doveva solo far capire loro che aveva bisogno di aiuto: si, ma come? Forse doveva scrivere qualcosa su un foglio, anche solo una parola, tipo "salvateci". All'opera dunque! Ma riuscì solo a scrivere le prime lettere perché la porta si aprì all'improvviso e Monica si sentì scaraventare a terra da quell'uomo malvagio. Le stavano venendo i lacrimoni, ma non voleva far vedere che piangeva e si rialzò immediatamente.

La nonna finalmente si era svegliata.

- Che sta succedendo? Monica che ci fai qui? – riuscì a dire con la bocca impastata.

- Bene vecchia! Adesso o fai come ti dico, o questo fagottino lo butto dalla finestra – minacciò l'infermiere prendendo in braccio la bambina.

- Va bene – cedette la nonna - dammi quel maledetto foglio.

L’uomo adagiò Monica su di una sedia e prese da una cartellina un foglio, identico a quello che a questo punto la bambina si tolse sconsolata dal calzino

- Cosa credevi? – disse l'infermiere sventolando il suo trofeo – uno scritto si può ricopiare. Perso uno se ne ristampa un altro!

Poi si avvicinò al letto della nonna e le porse il foglio e la penna

- Firma e facciamola finita!

Monica però non si era arresa e proprio mentre la donna stava per posare la penna sul foglio, si lanciò verso il letto, le strappò la biro dalla mano e la spezzò in due parti che gettò a terra. Guardò con sfida l'uomo, che però rise sguaiatamente. Poi, l’infermiere mimando goffamente il gesto di un mago agitò in aria le mani e mormorando parole misteriose ne avvicinò una al taschino da dove sfilò un'altra penna.

- E' nera, non blu come l'altra, ma andrà bene lo stesso.

Finalmente aveva avuto quello che cercava e stava uscendo con il documento firmato quando, dimostrando ancora una volta un grande coraggio, la bambina gli si gettò addosso

- No Monica! – urlò la nonna terrorizzata

- Adesso basta, mi costringi ad insegnarti un po’ di rispetto! – disse l'uomo veramente alterato.

Si scrollò facilmente la bambina di dosso e proprio mentre la stava per colpire con un pugno, la porta si spalancò ed entrarono due uomini robusti che si gettarono sull'infermiere bloccandolo. Monica da terra, riconobbe due bidelli della sua scuola e dietro di loro la sua maestra.

- Appena in tempo – disse la donna aiutandola ad alzarsi.

Un bidello porse quel foglio tanto prezioso alla maestra che lo rilesse e si rivolse a Monica con un sorriso

- Quando si dice il destino! Il libro di tua nonna è una rarissima edizione del 1697 della raccolta di fiabe "I racconti di mamma l'oca" con una dedica dell'autore, Charles Perrault. E una delle storie più famose è "Le Petite Chaperon Rouge" in italiano Cappuccetto Rosso, proprio il soprannome che ti hanno dato!

Monica ritrovò il sorriso e corse ad abbracciare la nonna.

 

Ivano Migliorucci