Un magico regalo

La piccola sveglia sul comodino in legno chiaro suonò. Erano le 5.30 e la sua camera da letto era inondata da una luce dorata come solo l’alba della sua città sapeva creare.*

Iniziava così una nuova giornata di lavoro per Greta che, pronta a correre da un paese arroccato all’altro, ormai esperta nello scendere da un cucuzzolo innevato verso una valle fiorita, non aspettava altro che tornare, stremata e soddisfatta, a rintanarsi sotto le morbide e calde coperte in quel grande letto dalla testiera intagliata.

Innamorata delle sue montagne, aveva rinunciato ad ogni comodità e certezza per trasferirsi in quel piccolissimo paesino tra i monti dove l’oro era nascosto in un’alba e in cui la vera ricchezza si misurava unicamente in sorrisi ed abbracci. Aveva abbandonato la metropoli confusionaria, Greta, e si era spinta alla ricerca di quel qualcosa così sconosciuto e desiderato che non aveva né forma né nome, ma che lei, entusiasta e timorosa, avrebbe scoperto, raggiunto e conquistato ad ogni costo.

Al suono della sveglia, si alzò con l’oro nel cuore, scese lentamente le scale soffermandosi ad ammirare le cime innevate che spuntavano simpatiche dalle finestrelle di legno chiaro ed arrivò in cucina. Persa nei suoi tanti, troppi pensieri, mise su il caffè, tagliò una piccola fetta di ciambellone al grano saraceno e si sedette a fare colazione in quell’accogliente angolo della casa che aveva creato con cura e attenzione, scegliendo uno ad uno la panca comoda, i cuscini decorati e i piccoli centrini affinché si armonizzassero delicatamente tra loro. Sorseggiò il caffè e, proprio mentre si apprestava ad assaporare ogni morso della sua fetta di torta, nell’assoluto e ovattato silenzio di un mondo nascosto sotto la neve, Greta udì uno strano e singolare lamento. Certa che in casa nulla potesse dar origine a quel suono, indossò il pile morbidoso e caldissimo, appeso accanto alla porta d’ingresso per le “emergenze”, calzò gli scarponi da yeti e si arrischiò nella neve. Dovette cercare non poco e impegnarsi a lungo, ma, alla fine, ben nascosto in un cestino di vecchie pigne decorate ai piedi di una panca sul retro della casa, trovò uno strano esserino azzurro dai grandi occhi dei colori dell’arcobaleno e dalle piccole orecchie pelosissime che la fissava, alternando teneri gemiti a sorrisi angelici. Greta lì per lì rimase interdetta: quella cosina buffa non assomigliava certo ad un animale, tanto meno aveva le fattezze di un cucciolo di uomo. Che fare? Improvvisamente si scatenò in lei una burrascosa tempesta di emozioni e sensazioni: paure, dubbi, ansie sembravano prendere il sopravvento sulla contentezza sincera dell’incontro per spingerla nel baratro di un fortissimo senso di impotenza, lo stesso terribile senso di impotenza che l’aveva quasi costretta a cancellare la sua vita precedente quando, semplicemente osservando la propria immagine riflessa nello specchio, aveva realizzato che, in quel mondo folle e confusionario, non era ancora riuscita a formare una vera famiglia e costruire un nido in cui accudirla, perché, presa dai ritmi frenetici della routine metropolitana, aveva solo corso e lavorato. Aveva da poco superato i quarant’anni e il bisogno di affetti veri l’aveva sconvolta e travolta fino a condurla lassù, in mezzo alla neve, in quella bianca e silenziosa mattina di novembre a chiedersi cosa ne avrebbe fatto di quel piccolo mostriciattolo.

- Potrei lasciarti qui, in questa morbida e gelida coltre bianca… magari ne saresti contento… o forse potrei portarti con me… in casa… al calduccio… – disse quasi sussurrando Greta, indecisa se abbandonare il piccoletto al suo destino o lasciarsi conquistare da quei dolcissimi occhioni e rischiare nuovamente se stessa in un’avventura sentimentale sui generis.

Le sembrava quasi impossibile, ma quell’esserino le stava parlando con gli occhi e agitava le orecchie come per rispondere ad ogni sua parola o impercettibile flusso di pensieri. Decise, quindi, all’istante che una tale empatia non poteva essere ignorata; sollevò il cestino, tolse i fiocchi di neve che lo avvolgevano e lo portò con sé in cucina per provare a scoprire qualcosa di più. Appoggiò delicatamente il contenitore di giunco sul tavolo, scansò una ad una le pigne dorate e rimase estasiata alla vista di un corpicino perfettamente proporzionato, lungo più o meno quaranta centimetri, azzurro come il cielo in una giornata di primavera, con piccoli sbuffi di pelo bianchissimo in corrispondenza di quelli che nell’uomo sono i polsi e le caviglie e con una foltissima codina a pon pon color arcobaleno.

Si innamorò subito di BlueSnow, come le venne naturale e istintivo chiamarlo. Corse in soffitta a prendere due caldi maglioni, qualche vecchio cuscino e un po’ di calzettoni di lana ormai spaiati e, in quattro e quattr’otto, approntò un vero e proprio rifugio per il nuovo ospite che la stava aspettando di sotto.

Ritornò in cucina e, quando entrò, trovò il buffo esserino comodamente accucciato accanto al piattino in cui aveva dimenticato la fetta di ciambelline, ormai sparita.

- Buono!

Di chi era quella vocina così squillante?

- Sì, buono! Forse un pochino troppo poco dolce e un po’ troppo salutare per essere una torta di compleanno, no?

No, non era possibile! Erano sicuramente i suoi pensieri che facevano rumore in quell’assoluto silenzioso innevato..

- A proposito, auguri Greta!

Come faceva quel frugoletto a sapere del suo compleanno? Lo aveva volutamente nascosto a tutti i suoi nuovi amici, non voleva più fare i conti col passare degli anni, non più. Aveva deciso che, dal momento in cui era arrivata in quel paradiso, avrebbe vissuto attimo dopo attimo immersa nella pace e nella serenità di quella nuova realtà.

- Non puoi nasconderti per sempre, Greta, non puoi rintanarti nel tuo nido e sfuggire al mondo. Io sono qui per ricordarti che il domani può essere una bella sorpresa, come lo sono io, del resto, no?

A quelle parole, tutto il coraggio che l’aveva sostenuta mentre rivoluzionava la sua esistenza sembrava venire meno. Quel piccolo, tenero sgorbietto, così carino e dispettoso, stava tentando di convincerla ad osare, a sognare, a rimettersi in gioco e fare davvero. Le stava ricordando che non bastava lasciarsi guidare dai doveri di ogni giorno per affermare che si stesse realmente vivendo. Si sentì preda della paura di sbagliare, di non essere abbastanza brava e bella, di non riuscire più a sentire ed amare ancora. Vide sfilare di fronte agli occhi della sua mente, uno ad uno, tutti quei compleanni orribili finiti rinchiusa in quella sua camera perfettamente ordinata e asettica a piangere e le lacrime presero a scendere sul suo volto.

Greta si guardò attorno, cercando i grandi occhi di BlueSnow e in quello sguardo trovò la risposta a tutte quelle domande che aveva sempre volontariamente ignorato, celandole in un angolino del cuore. Quegli occhi pieni di colore le stavano parlando di speranza, di amore, di fantasia, di opportunità; le stavano dicendo che, se solo avesse voluto, lei stessa avrebbe potuto illuminare e colorare la propria vita e realizzare il sogno che aveva tenuto nascosto in quell’angolino. Tra le tinte di quell’arcobaleno, Greta aveva potuto scorgere le cinque letterine di una parola magica, mamma, e tante faccine sorridenti che sembrava la stessero scrutando e studiando e capì. Si mise comoda sulla sua sedia preferita, quella col cuore intagliato nello schienale e il cuscino verde, finì il suo caffè e, finalmente, gustò una fetta di quel salutare ciambellone che ora sembrava essere ancora più buono, forse perché a farle compagnia c’era BlueSnow, che lei stringeva forte a sé, quasi a cercare in lui un solido sostegno, un valido aiuto, un’iniezione di sincera fiducia. Terminata la colazione, lo prese in braccio, si alzò e lentamente, quasi solennemente, si avvicinò alla scrivania, prese la stilografica preziosa e aprì l’unico cassetto di quell’unico mobile che aveva portato con sé dalla città. Dovette cercare un pochino, rovistando tra documenti, biglietti e scontrini vari, fin quando riconobbe al tatto una cartellina ruvida dalla quale estrasse un plico che sfogliò attentamente. Arrivata all’ultima pagina appose la sua firma, ripiegò il tutto e lo mise in una busta da lettera che chiuse accuratamente e affrancò dopo avervi scritto indirizzo del mittente e del destinatario. Nel silenzio di quella ormai tarda mattinata nevosa attese con trepidazione l’arrivo del postino al quale consegnò personalmente la missiva, pregandolo di spedirla al più presto. Rientrata in casa, abbracciò BlueSnow.

 

- Grazie, piccolo mostriciattolo – disse con un fil di voce, sull’onda dell’emozione – perché nei tuoi occhi ho potuto riscoprire il vero significato dell’essere famiglia! Noi due, ora, sì, proprio io e te, resteremo uniti e ci daremo tanto da fare per preparare, in questa casetta tra i monti, il nido più caldo e accogliente per tutti quei bimbi che, come noi, hanno bisogno di coccole e tutti insieme costruiremo una grande famiglia. Grazie BlueSnow, perché oggi mi hai fatto il più grande regalo che potessi desiderare, quel qualcosa che inseguivo da sempre, il coraggio di diventare mamma a tempo determinato!

 

Cristina Gerosa

*Incipit tratto da Marc Levy "Se solo fosse vero"