Una chiavetta

Avevo preso la macchina per andare a vedere un nuovo centro commerciale di cui mi aveva parlato un’amica. Tra l’annoiato e incuriosito – non amo molto quei luoghi – cerco le strade seguendo le indicazioni che mi erano state date. Non c’è voluto molto a capire che mi ero perso per strade periferiche e desolate, alcune addirittura sterrate.

Il sole estivo aveva bruciato la misera erba ai lati della strada sconnessa sulla quale la mia povera macchinetta saltellava cercando di evitare buche e sassi sporgenti; l’autunno, ormai vicino, dava al paesaggio piatto e desolato, un colore caldo che contrastava con lo squallore del luogo. Oltre le dune di sabbia una striscia verde scuro punteggiate di crestine bianche: ero arrivata al mare. Senza rendermene conto, come per magia, il mare, accarezzato dal vento profumato di alghe e conchiglie, mi si parava davanti e mi attraeva irresistibilmente. Cercando di non affondare nella sabbia con le ruote, fermo la macchina e scendo. Un cane randagio, molto vecchio e malandato, mi si avvicina chiedendomi una carezza; i suoi occhi sono buoni e stanchi. È come se in quegli occhi ci fosse tutto il dolore del mondo.

Sulla sabbia scura vedo detriti d’ogni tipo: bottiglie di plastica, vecchi sandali, legnetti e cannucce ma anche povere conchiglie soffocate da quel ciarpame.

Camminando lungo la riva vedo luccicare qualcosa: è una piccola chiave; mi chino a raccoglierla e il contatto col metallo freddo mi dà un brivido. Comincio a fantasticare con la mia chiavetta in mano. Forse avrà custodito in uno scrigno prezioso oggetti rari o lettere d’amore profumate legate con un nastro. Chissà, poteva appartenere alla piccola serratura di un diario e proteggere segreti, gioie e qualche lacrima.

Giovani donne diafane danzano sull’acqua e vengono verso di me, chiamandomi. Ho paura che mi chiedano la loro chiave: è mia ora, non voglio separarmene. Sento confusamente che non ho il diritto di tenere la chiavetta, anche se l’ho trovata abbandonata sulla sabbia. Una chiave ha significati profondi, non si può raccogliere e mettere in tasca senza avere la sensazione di avere violato qualcosa.

Continuano a danzarmi davanti le figure diafane: ho paura. Che ore sono? Vorrei fuggire ma le mie gambe non rispondono, ho piedi incollati alla sabbia. Non riesco più a capire se c’è luce o se sono avvolta nel buio. Sento dietro di me una presenza rassicurante: sono avvolta nella luce e due grandi ali mi abbracciano, sollevandomi. Mi ritrovo a danzare leggera tra le figurine diafane che mi sono amiche e mi conducono per mano verso un’alta porta bianca. Capisco che m’invitano ad aprirla con la chiavetta lucida. Mi guardo intorno titubante e mi ritrovo accarezzata da mille sorrisi amichevoli. Avvicino la chiave alla serratura dorata con mano tremante e la inserisco; giro a destra una volta, poi un’altra, poi ancora un giro e, come per incanto, la grande porta si apre.

Sono di nuovo sola, le figurine sono scomparse e nessuno più mi sorride ma sono pervasa da una serenità e da una sicurezza che mi stupiscono.

Sono in un viale alberato, fresco e ventilato in fondo al quale vedo la mia macchina parcheggiata che mi aspetta. La raggiungo e salgo senza pensare a dove mi trovo. Non ricordo di aver perso la strada e non ricordo come sono tornata alla macchina; soltanto riconosco il vecchio cane triste che avevo incontrato non so bene quando. Chiudo lo sportello della macchina e il cane mi precede: in pochi minuti sono a casa.

 

***

 

Cerco le chiavi per rientrare, ma non le trovo.

 

(Rossana Bonadonna)